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Intervista con Emanuele Bodo

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Emanuele Bodo, fenomenale chitarrista e arrangiatore italiano, rilascia il suo album solista “Unsafe Places” per Ænima Recordings, già disponibile online in tutto il mondo e sul sito ufficiale www.emanuelebodo.com 
Classe 1983, Emanuele Bodo inizia a suonare la chitarra elettrica all’età di dodici anni e nel 2015 inizia a maturare l’idea di quello che diventerà “Unsafe Places”.
Composizioni complesse e articolate, ciascuna basata su una tematica particolare, non il solito disco da chitarrista ma qualcosa di decisamente più ambizioso. Dapprima insieme al grande amico e batterista Mattia Garimanno, con il quale condivide la grande passione per il progressive rock e molta esperienza live e in studio di registrazione, ed in seguito con il tastierista Davide Cristofoli e il bassista Carlo Ferri realizza le sette imponenti tracce dell’album.
“Unsafe Places” è un’opera senza compromessi; anche se le tracce sono particolarmente complesse e variegate, l’armonia artistica e compositiva di ciascun e omogeneo, dalle atmosfere spaziali e piene di sfumature.
Il primo singolo “Black Dunes” è stato presentato al Musikmesse di Francoforte e al Guitar Show di Padova con grande riscontro da parte del pubblico, ed è ora il primo videoclip ufficiale dell’album.
 
Line-up:
Emanuele Bodo – guitar
Mattia Garimanno – drums
Davide Cristofoli – keyboards and orchestra
Carlo Ferri – bass
 
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Intervista
 
 
Davide
Ciao. “Unsafe places”… Cosa sono i luoghi non sicuri a titolo del disco?
 
Emanuele
Ciao Davide e grazie per le tue preziose domande. Il titolo dell’album riprende il filo conduttore comune a tutte le tracce e cioè una serie di ambientazioni immaginarie ma non solo, alle quali mi sono ispirato durante la composizione dei brani.
Se vogliamo addentrarci di più nell’emotività, gli “Unsafe Places” sono i viaggi che ognuno di noi è in grado di fare semplicemente attraverso l’immaginazione e che può rappresentare sfruttando i mezzi che ha a disposizione. Nel mio caso ciò che ho a disposizione è ovviamente la musica e, quando non ho vincoli compositivi a cui attenermi come in questo caso, mi porta quasi sempre in ambientazioni oscure e non rassicuranti; ecco quindi a cosa corrispondono i luoghi non sicuri del titolo: alle caratteristiche essenziali che potete trovare della mia musica.
 
Davide
Hai iniziato a pensare questo disco nel 2015, a maturarne l’idea. Qual era e qual è l’idea centrale?
 
Emanuele
Si nel 2015 circa ho iniziato a mettere giù alcune idee e a riprenderne altre che avevo sviluppato in passato più che altro per avere un po’ di mio materiale inedito da poter far ascoltare ecc.. ma non avevo assolutamente ancora in mente che sarebbe diventato un lavoro così complesso. Durante gli anni seguenti ho iniziato a spenderci sempre più tempo e ho avuto la fortuna di incontrare musicisti che sentendo alcune parti mi hanno spronato a farne un vero e proprio album. Quindi questi primi brani per chitarra sono diventati via via composizioni sempre più particolari e articolate; da qui l’idea di portare a termine un lavoro molto più ambizioso sotto ogni punto di vista, dove ho potuto veramente dar sfogo alla mia vena artistica non solo a quella strumentale.
 
Davide
Scorrendo le immagini del booklet viene da pensare che il disco si ispiri in particolare a tematiche fantascientifiche (a parte “House of 9”, che penso voglia rievocare l’omonimo thriller). Ciascuna traccia è basata su una tematica particolare. Ci puoi dire quale, titolo per titolo?
 
Emanuele
Grazie Davide, finalmente qualcuno che mi ha fatto questa domanda! Tengo particolarmente a spiegare le tematiche di ogni brano in quanto ho dedicato parecchio tempo a questo aspetto per fare in modo di dare maggior risalto alla musica.
Dunque “Black Dunes” è sicuramente il brano maggiormente fantascientifico. Sono stato ispirato negli ultimi anni dai film di fantascienza, soprattutto dalla saga di alien… Con questa traccia approdiamo su un pianeta lontano la cui superfice sembra un deserto di sabbia nera e l’ascoltatore deve quindi immergersi in questa ambientazione ventosa, priva di qualsiasi forma di vita e piuttosto oscura e misteriosa che però mano a mano che viene esplorata ci farà scoprire piacevoli sorprese.
La seconda traccia come hai ben detto è anche il titolo di un thriller, altro genere cinematografico che prediligo particolarmente; in questo caso però c’è anche una tematica più ermetica che va ricercata nella metrica del brano che si sviluppa in modo ossessivo su misure di 9/8 e di 4+5/4; mi sono quindi divertito a giocare con il numero nove e successivamente ho pensato alla casa dei 9.
Con “Challenger Deep” invece ho voluto ripercorrere, attraverso la musica, il viaggio che James Cameron fece nel 2012 in solitaria, all’interno di una piccola capsula con cui raggiunse il punto più profondo dell’oceano. Quella frattura nella crosta dove si raggiungono i meno 11 mila metri sotto il livello del mare chiamata fossa delle Marianne.
Il quarto brano “Landing to Giza” è legato al mito e al mistero delle piramidi di Giza; questa volta ho cercato di proporre un atterraggio alieno proprio sull’antico Egitto che consegnò all’umanità le misteriose costruzioni che rimangono sempre avvolte da un fascino ineguagliabile.
Arriviamo ora al brano più romantico dell’album “2 Strangers”. La breve storia, ambientata in un tempo fluttuante tra passato e futuro, di due sconosciuti che si abbandonano ad un vortice di passione per poi lasciarsi nuovamente come 2 estranei appunto.
“The Omen” è un brano legato alle religioni; al ruolo che hanno da sempre avuto sulle arti in generale ed in particolare sulla pittura e sulla nostra letteratura. Sono innumerevoli le opere legate al tema dell’inferno e da questo spunto sono partito per comporre questo viaggio mistico che ci porta, partendo dai canti cregoriani ad ambientazioni oscure che rievocano un antico presagio.
L’ultima composizione si intitola “Chernobyl”ed è probabilmente la più articolata e impegnativa del disco; dopo essermi documentato in modo dettagliato sulla tragedia della tristemente nota centrale nucleare, ho ripercorso minuto per minuto la successione di avvenimenti che si susseguirono la notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 e che hanno portato al più grande disastro nucleare che la storia ricordi.
 
Davide
Qual è stato il tuo percorso formativo con la chitarra?
 
Emanuele
Premesso che ritengo di aver compiuto solamente una parte del mio percorso formativo musicale e chitarristico, ho iniziato a suonare la chitarra elettrica all’età di 12 anni e fin da subito mi sono iscritto all’accademia Lizard dove mi sono diplomato dopo circa dieci anni di corsi ininterrotti con il massimo dei voti. Durante questo periodo, diciamo dai 16 anni in poi, la passione per questo strumento è cresciuta a dismisura e avevo già chiaro che la musica sarebbe stata in qualche modo la mia professione. Ho avuto la fortuna di suonare fin dagli albori con svariate band e credo sia stato un grande incentivo per la mia formazione chitarristica e non solo, durante questi 23 anni di musica ho potuto sperimentare veramente una moltitudine di generi musicali diversi, cercando sempre di cogliere gli aspetti positivi da ciascuno di essi. Mi sono anche laureato al DAMS di Torino con indirizzo musica, e in quel periodo ho allargato di parecchio i miei orizzonti in ambito non solo musicale ma artistico in generale.
 
Davide
Da quali chitarristi pensi di aver imparato di più nell’esplorazione dello strumento?
 
Emanuele
Sono sempre stato attratto dai grandi virtuosi della chitarra elettrica degli anni ottanta e novanta, ovviamente nel metal da ragazzo e in seguito anche da quelli più orientati verso la fusion e il jazz. Quindi quello da cui credo di aver imparato di più sia dal punto di vista tecnico che compositivo è John Petrucci, poi sicuramente Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie Malmsteen, Jason Becker e Marty Friedman; in ambito più fusion direi Frank Gambale, Greg Howe, Guthrie Govan e l’inarrivabile Allan Holdsworth. Invece tra i jazzisti Bireli Lagreene e Pat Metheny. Poi in tempi più recenti sono arrivati una moltitudine di chitarristi spaventosi con una preparazione praticamente totale sullo strumento da cui cerco ispirazione; ad esempio Tosin Abasi o Plini…
 
Davide
Hai partecipato all’opera rock “Errant Shadow” di Seren Rosso. Ci sono altri lavori o gruppi, altre collaborazioni in cui sia possibile ascoltare la tua chitarra?
 
Emanuele
Certamente, dopo il primo album di “Errant Shadow” è uscito sempre dalla stessa band, per ora solo sulle piattaforme digitali, un EP dal titolo “The Labyrinth”; poi sta per uscire l’album di “Lord Byron” dal titolo “Remnants of an Empire” dove mi potete ascoltare alle chitarre insieme all’amico Jacopo Garimanno e infine sempre in fase di ultimazione, mi troverete sul lavoro solista di Dino Fiore (bassista della storica band di progressive rock italiano “Il Castello di Atlante”).
 
Davide
Il disco è strumentale. Perché prediligi la componente strumentale a quella vocale?
 
Emanuele
Non me ne vogliano i cantanti, ma personalmente credo che la massima espressione della musica sia proprio quella strumentale; così come in ambito classico è proprio nella sinfonia che si sono toccati i punti più alti della composizione in generale. Capisco che la musica strumentale sia meno fruibile rispetto alle canzoni però penso che, essendo un linguaggio universale, così come l’arte visiva, non necessiti per forza di un supporto vocale, ma che se ben strutturata si possa ritenere completa anche senza testi. In realtà lo sforzo compositivo è decisamente maggiore perchè se con la voce puoi usare le stesse note ma dire cose diverse attraverso il testo, con uno strumento è più facile cadere nelle ripetizioni, cosa che sei hai notato cerco di evitare il più possibile!
 
Davide
Cos’è per la musica? Cosa sopra tutto deve indurre o cosa vuoi che induca nell’animo, sia quella degli altri nel tuo, sia la tua nell’altrui?
 
Emanuele
Semplicemente trasmettere emozioni, per me la musica è tutto, ci sono a contatto praticamente da quando mi sveglio a quando vado a dormire, però non sono un ascoltatore passivo di musica, nel senso che se ascolto musica mi piace farlo con attenzione, e non tengo mai musica di sottofondo se faccio altro, preferisco il silenzio piuttosto!
Nella musica degli altri cerco nuovi stimoli, mi piace quando riesce a creare un particolare stato d’animo, un’atmosfera particolare, o comunque qualcosa che non ti aspetti.
Con il mio lavoro mi piacerebbe portare parte delle mie sensazioni negli ascoltatori, accompagnarli in viaggi sempre nuovi e trasmettere attraverso armonie, melodie e ritmi gli stati d’animo che mi hanno guidato nella composizione. Spero che all’ascoltatore arrivi l’impegno, la dedizione, la gioia ma anche la tristezza e la sofferenza che ci sono dietro la mia musica. 
 
Davide
Sei, siete di Torino? Come sei approdato alla Ænima Recordings di Cavagnolo?
 
Emanuele
In realtà io abito a Palazzolo, un piccolo paese in privincia di Vercelli, non molto distante dagli studi di Ænima Recordings di Cavagnolo. Conosco il titolare Mattia Garimanno da quando suonavamo al liceo e ho seguito tutto il suo percorso musicale così come lui ha seguito il mio; adesso siamo amici inseparabili oltre che “colleghi”! Spesso lavoriamo insieme in studio e anche dal vivo con la band “Errant Shadow” ad esempio, quindi sono estremamente orgoglioso di aver pubblicato il mio album con la sua etichetta discografica.
 
Davide
Sul booklet si legge che tu e Carlo Ferri usate orgogliosamente chitarre e bassi Ego by Marconi Lab. Due parole su questi strumenti e su cosa ve li rende peculiari?
 
Emanuele
Sì, è un endorsement per cui vado particolarmente fiero e da poco anche il mio bassista di fiducia Carlo Ferri è entrato a far parte della famiglia. Sono sempre stato alla ricerca di uno strumento il più possibile funzionale, comodo e dalle massime prestazioni e quando nel 2015 è nato il progetto Ego Guitar l’ho appoggiato fin dalla nascita del primo prototipo. Si tratta di strumenti particolarmente innovativi e assolutamente personalizzabili secondo le esigenze più particolari dei musicisti. Io me ne sono innamorato tant’è che attualmente posseggo solamente chitarre Ego… Oltre a produrre strumenti eccezionali e estremamente affidabili, i ragazzi di Marconi Lab sono sempre alla ricerca di novità estetiche sbalorditive tipiche del design italiano ed è anche per questo che in pochi anni sono diventati una realtà internazionale di tutto rispetto.
 
Davide
Non sfugge che le tue iniziali con la E poggiata di “schiena” alla B… rimanda al logo della Bugatti. Voluto o casuale?
 
Emanuele
Eh, in effetti c’è parecchia somiglianza, ma devo dire che è assolutamente casuale, il mio logo così come la copertina e tutti gli artwork del booklet, sono stati creati da Jakhangir Zeynalov un grafico di Baku in Arzerbaijan e sinceramente non so se conoscesse il logo della Bugatti!
Certo sarebbe bello avere almeno qualcosa in comune con la famosa casa automobilistica, magari un po’ del loro stile inconfondibile… 
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Emanuele
Attualmente sto puntando molto sulla promozione dell’album e spero di portarlo anche live a partire da quest’autunno, poi abbiamo iniziato a lavorare sul nuovo album di Errant Shadow e anche quello richiederà parecchio impegno. Inoltre sarò presente nel lavoro di un musicista siriano che ha creato un progetto musicale contro la guerra in Siria, chiamato “Storm of Death”, dove saranno presenti musicisti di tutte le nazionalità.
In futuro mi piacerebbe utilizzare alcuni estratti di “Unsafe Places” per creare del materiale didattico che possa stimolare oltre che la tecnica chitarristica la composizione e la creatività.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Emanuele
Grazie a te per l’intervista e permettimi di rigraziare i miei compagni di avventura Mattia Garimanno, Carlo Ferri e Davide Cristofoli…

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