Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
Pagg. 192
ISBN 9788806237417
Prezzo Euro 18,00
Heimat
Chi percorre la val Venosta, diretto al passo Resia, a un certo punto, all’incirca a 1.500 m. s.l.m., si imbatte in un grosso lago, il più grande della provincia di Bolzano, un lago alpino ottenuto con uno sbarramento artificiale. Fin qui niente di strano, se non si notasse un campanile che emerge dalle acque, meta di tanti fotografi. Quella guglia aguzza risale al 1357 ed era la caratteristica preponderante della parrocchiale di Curon; intorno e sommerso c’è un paese, Curon Venosta, 163 case e 523 ettari di terreno che era adibito soprattutto a frutteto. Gli abitanti ingaggiarono una battaglia per conservare intatto il loro luogo, ma fu tutto inutile. Ed è di questo, o meglio anche di questo che parla il bel romanzo (Resto qui) di Marco Balzano, finalista al premio Strega 2018. Con l’escamotage di una lettera che una madre (Trina) intende inviare alla figlia, scomparsa durante il famigerato ventennio senza lasciare traccia, ci viene raccontata la storia di un periodo particolarmente fosco per il Sud Tirolo che va grosso modo dall’avvento del fascismo agli anni dell’immediato dopo guerra. Si tratta indubbiamente di una serie di memorie di famiglia, ma soprattutto del ricordo del paese in cui Trina è vissuta, ora purtroppo sommerso dalle acque. In queste pagine scritte con uno stile asciutto, per nulla ridondante e con una particolare attenzione a non cadere nella retorica, si snodano l’illogicità di un regime che pretende di italianizzare a manganellate e a somministrazioni di olio di ricino, l’immigrazione di massa di tanti italiani, soprattutto del sud, per occupare i posti pubblici che prima erano dei tirolesi, le persecuzioni a cui fu soggetta la popolazione che a un certo punto, in base agli accordi fra Mussolini e Hitler, ebbe l’opportunità di trasferirsi in Germania (opportunità sfruttata solo da una parte degli interessati con l’unico scopo di fuggire dall’oppressione italiana), gli anni dolorosi della guerra, la dura e feroce occupazione nazista e infine l’insensibilità dello stato italiano repubblicano di comprendere le ragioni di quella gente, legata atavicamente alla propria terra, quella che si potrebbe definire con un termine tedesco Heimat, ossia il luogo nativo, non una mera espressione geografica, ma la propria identità.
Per quanto possa sembrar strano, il sacrosanto diritto dei tirolesi di non vedere calpestata la loro cultura non poteva trovare miglior difensore di un italiano, cioè Marco Balzano.
Si arguisce fra le righe l’intenso lavoro di ricerca effettuato, di cui l’autore parla nella Nota finale, con l’aiuto anche di alcuni sud tirolesi, come si evince dai ringraziamenti che chiudono il libro.
La serietà con cui sono state esaminate le fonti, la presenza frequente in loco di Balzano finiscono con il dare a quest’opera una struttura propria del romanzo storico, ma con un calibrato ricorso alla fantasia, perchè se Trina, suo marito Erich e altri sono frutto di creatività, non è così per padre Alfred, intorno alla cui figura si raccolgono le istanze di sopravvivenza del suo gregge; infatti questo personaggio è ispirato al pastore Alfred Rieper, parroco di Curon per circa cinquant’anni, un uomo che si è battuto con tutte le sue forze, ma invano.
Resto qui, capace di avvincere dalla prima all’ultima riga, è un gran bel romanzo.
Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante di liceo. Ha esordito nel 2007 con la raccolta di poesie Particolari in controsenso (Lieto Colle, Premio Gozzano). Nel 2008 è uscito il saggio I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo (Marsilio, Premio Centro Nazionale di Studi Leopardiani). Il suo primo romanzo è Il figlio del figlio (Avagliano 2010, finalista Premio Dessì 2010, menzione speciale della giuria Premio Brancati-Zafferana 2011, Premio Corrado Alvaro Opera prima 2012), tradotto in Germania presso l’editore Kunstmann.
A questo primo romanzo hanno fatto seguito Pronti a tutte le partenze (Sellerio 2013), L’ultimo arrivato (Sellerio 2014), con il quale vince nel 2015 il premio Campiello.