PROJECT-TO
Black Revised
Il collettivo torinese Project-TO formato dallo sperimentatore sonoro Riccardo Mazza e dalla fotografa e videomaker Laura Pol, a meno di un anno dal debutto del loro primo album “The White Side, The Black Side”, presenta il nuovo lavoro “Black Revised”. Si tratta di una versione completamente rivisitata in chiave techno-ambient-sperimentale dei brani che compongono “The Black Side” e per la quale sono stati utilizzati in modo massiccio sintetizzatori analogici.
Con i nuovi brani, che saranno suonati interamente dal vivo come i video, è stato creato un nuovo Live Audio-Visual che trasporterà l’ascoltatore in una dimensione dark, ipnotica e immersiva.
Con i nuovi brani, che saranno suonati interamente dal vivo come i video, è stato creato un nuovo Live Audio-Visual che trasporterà l’ascoltatore in una dimensione dark, ipnotica e immersiva.
L’album è pubblicato in vinile 12” in tiratura limitata disponibile dal 20/10 in esclusiva presso Gravity Records e in digital edition su tutte le principali piattaforme.
Intervista
Davide
Ciao Riccardo e ben tornato su Kult Underground. Chi fosse interessato, può leggere una nostra precedente chiacchierata a proposito del tuo lavoro del 2016, The White Side, The Black Side. Questo è il link http://www.kultunderground.org/art/18358 C’è, si direbbe a cominciare dal titolo, un legame con esso, quanto meno alla “Black Side”, una qualche “revisione”. Di cosa si tratta e perché?
Riccardo
Project-TO è un progetto in evoluzione, nasce, come ti avevo accennato la volta scorsa, dall’insieme di elementi visivi e sonori che hanno la loro espressione ideale nel live, mentre la produzione discografica e del videoclip ne è la conseguenza. Il primo album era già nato all’insegna della dualità, dove the White Side rappresentava la parte più costruita e razionale, anche nella videostory, e the Black Side il suo mondo parallelo più scuro, una specie di negativo fotografico.
Black Revised è una sperimentazione nella direzione di questo mondo più scuro, che ci affascinava e così abbiamo deciso io e Laura di esplorarlo con i suoni e con le immagini. Il risultato è stato un lavoro completamente nuovo. Direi che più che una revisione si tratta di una prova di laboratorio anche per capire la direzione che stiamo prendendo con il prossimo album.
Davide
Di recente ho avuto modo di guardare le 12 vecchie puntate di un programma televisivo degli anni ’70 ideato e condotto da Luciano Berio (“C’è musica e musica”). Una domanda che vi ricorre spesso, ma che anch’io provo a fare da molti anni, è: perché la musica? E poi in particolare, nel tuo caso, cosa prevale tra i due poli della “funzionalità/quotidianità” e della “trascendenza”?
Riccardo
La musica è un linguaggio completo a tutti gli effetti e come tale è comunicazione. Ciò che mi affascina è che, pur essendo un linguaggio evoluto, risulta immediato e diretto senza necessità di traduzione. Sebbene la musica possa avere precise connotazioni legate ad una cultura piuttosto che ad un’altra (pensiamo ad esempio come una melodia orientale venga subito percepita come tale da un’orecchio abituato alle scale occidentali) essa viene comunque compresa, o per lo meno percepita, nella sua essenza in quanto musica. Credo che non esista altra forma di comunicazione al mondo così universale e trasversale e questo, per rispondere alla domanda, forse trascende la funzionalità.
Davide
Anche in questo lavoro c’è la collaborazione con la videomaker e visualist Laura Pol. Cosa dell’immaginazione e della mente avete dunque inteso rendere visibile nel live set di questa rivisitazione o revisione del “Black Side”?
Laura
Il lavoro sull’immagine nasce da un progetto fotografico analogico realizzato con Polaroid, una riflessione sui concetti di tempo e spazio attraverso sequenze non logiche, che è diventato ispirazione e sintesi dei video che ho realizzato ascoltando la musica composta da Riccardo.
Nelle immagini dei video una bambina, citazione di Alice di Lewis Carroll, rappresenta l’istinto primario e l’energia dell’immaginazione che si proietta verso l’infinito. Apre porte e attraversa spazi immaginati, che appartengono al passato o al futuro secondo il concetto di Bergson di tempo non fisico e misurabile ma interiore, flusso continuo, indivisibile e irripetibile che è quello della nostra coscienza, nella quale i vari momenti si compenetrano gli uni negli altri senza soluzione di continuità. Apre porte del proprio mondo interiore, fatto di luce e di ombra, proiezione di sé e del proprio doppio.
Il riferimento per la parte visiva di questo “black revised” é anche William Blake ed in particolare il verso tratto dalla sua opera Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno: “Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito”.
Ogni momento è infinito, non esiste una reale e univoca concezione di passato e futuro: il vero passato è sempre come appare a noi ora, poiché il vero tempo viene dato dall’immaginazione.
Davide
Marx scrisse che l’arte è la gioia più grande che l’uomo dà a se stesso. In questo suo dire è stato molto attento a non usare invece la parola “felicità”: la felicità infatti ha a che fare con l’ambiente esterno, con la realtà, forse anche con la durabilità dei sentimenti, mentre la gioia nasce dentro e vive fragile e precaria (come ci ricorderebbe Lucrezio) dentro ogni singolo sé dopo il raggiungimento di un qualche cosa. Ecco, che significato ha per te lavorare con uno strumento così importante e potente, la musica come l’arte in generale, nel richiamare, suscitare o amplificare emozioni (già di per se stesse temporanee, transitorie), ma pur sempre per un tempo limitato, labile, strettamente collegato al momento della fruizione, dell’ascolto/visione?
Riccardo
Riprendendo un concetto già espresso nella risposta precedente, la musica come linguaggio e comunicazione, una delle caratteristiche riconosciute alla musica è quella di poter veicolare in qualche modo le emozioni del compositore. Ma in realtà non è del tutto vero perché a me, come credo alla maggior parte dei compositori, capita spesso di non riuscire ad avere la misura reale di come la mia musica sarà percepita dall’ascoltatore. Potremmo quindi ipotizzare che sollecitato dalle onde sonore e dai suoi rapporti armonici sia poi l’individuo stesso a creare le proprie emozioni. Ecco perché la musica forse non può creare felicità, che ha una connotazione di stato, ma essendo per natura transitoria rimane legata allo stato d’animo del momento. Per me quell’attimo avviene quando suono dal vivo o quando registro in studio. Il momento in cui giro le manopole dei sintetizzatori, in cui collego oscillatori, muovo i fader della console, è quella la magia dell’attimo che spesso mi ripaga di tutta la fatica fatta.
Davide
Xenakis disse che la musica è un modo di analizzare e superare se stessi. A te capita di affrontare la musica e il suono anche in questi termini?
Riccardo
Il mio è un processo compositivo molto differente da quello di Xenakis. Lui, forse anche perché ingegnere, ha un approccio matematico che è tendenzialmente progettato sulla prevedibilità e diventa parte della composizione, mentre io utilizzo e sviluppo algoritmi a volte anche matematici, ma per crearmi degli strumenti con i quali potermi esprimere senza regole e spesso in modo addirittura istintivo. Sviluppo quindi la ricerca nella fase di costruzione di elementi singoli (patch di sintesi, modelli fisici o sintetici computer generated, patch modulari ecc.) per poi essere libero nella fase compositiva, nella quale cerco di trovare me stesso, ma senza un’analisi di sé proprio perché la dinamica del momento espressivo non è ponderata. Mi sento perciò forse più vicino a Jackson Pollock che a Xenakis.
Davide
Cosa pensi della attuale scena elettronica torinese, e poi anche italiana?
Riccardo
Torino penso stia vivendo un bel momento per l’elettronica e per l’underground d’avanguardia. È sicuramente la città più in linea con le grandi capitali europee come Berlino o Amsterdam.
Abbiamo dei festival veramente al top come Club to Club, Movement, Todays con artisti internazionali che si esibiscono insieme a personalità locali di grande qualità. D’altra parte la nostra città è stata sede di grandi innovazioni come la televisione, la fotografia, il cinema. Anche l’arte contemporanea qui trova grande spazio con manifestazioni come Artissima e Nesxt o nel cinema con festival internazionali d’eccezione come Seeyousound e TFF. Non penso sinceramente che in questo specifico settore in Italia vi siano città cosi post contemporanee come Torino. Speriamo che riesca ad andare avanti sempre di più.
Davide
Il cosiddetto “DIY” (“Do It Yourself”) ha reso molto più facile (ed economica, rispetto alla costosa e complessa strumentazione analogica di un tempo) l’autoproporsi di una infinità di singolarità disperse, col limite però di non riuscire più a costituire una scena collettiva forte e incisiva com’è stata in passato, dei punti di riferimento rispetto a una ricerca più allargata e “significante”, non solipsistica. In che modo stai cercando di costituire o coinvolgere una collettività musicale e artistica?
Riccardo
Sto cercando insieme anche a Laura di costruire una modalità artistica nella forma di collettivo, coinvolgendo anche altri artisti, dove con arti diverse ognuno possa esprimersi liberamente interpretando a proprio modo il tema degli altri. Ad esempio l’anno scorso nell’ambito di Seeyousound International Film Festival che si è tenuto qui a Torino, abbiamo realizzato un’opera multi disciplinare che partendo dalla graphic novel di Matteo Regattin, che narra la parabola di Syd Barrett, si è sviluppata un’opera originale con musica elettronica, video immersivi di Laura Pol e video narrativi di Cristina Iurissevich. Quest’anno con lo stesso collettivo nell’ambito dell’edizione 2018 presenteremo una nuova produzione sul “Club 27”. Questo penso sia un modo nuovo di recuperare l’insieme che non può più essere costituito in modo analogico e con strumenti tradizionali perché la nostra è un’epoca digitale dove inevitabilmente le arti come il video, il suono, la grafica, la fotografia sono interconnesse. Si tratta di produzioni sperimentali al momento, ma sono fiducioso possa diventare una strada interessante e innovativa.
Davide
Nella nuova musica elettronica si parla ormai di team multiprofessionali che comprendono dai creatori di un software specifico alle diverse competenze multimediali. Il clou dell’evento diviene dunque la rappresentazione, il live set o come vogliamo chiamarlo. Se da una parte abbiamo una partitura per orchestra di Beethoven o di Debussy o la coreografia di un balletto di Stravinsky che possono essere eternamente riproposte nella loro interezza (salvo differenze interpretative), dall’altra si stanno creando sempre più lavori che sarà molto complicato riproporre tra cent’anni o molto meno nella loro completezza progettuale iniziale. Questo, a mio parere, può togliere forza espressiva a una musica che sia strettamente funzionale a una installazione, a un live set multimediale, qualora gli altri mezzi artistici non la sorreggano e completino come nelle intenzioni iniziali. Come affronti la qualità della scrittura musicale da questo punto di vista, affinché cioè non venga meno senza tutto il resto?
Riccardo
È lo stesso problema che ha un’opera d’arte concettuale come quelle di Cattelan o Damien Hirst. Da una parte c’è la conservazione dei materiali impiegati che spesso sono soggetti a deterioramento e dall’altra la progettualità pura. Nella musica elettronica ad esempio c’è il problema della volatilità dell’esecuzione dal vivo, che in parte può essere risolto con la registrazione diretta o con la ripresa in video per poi essere appunto riprodotte all’infinito e forse anche conservate per un certo tempo. Quindi l’opera in questo caso è il live che diventa performance unica in originale per chi assiste, mentre la sua copia digitale è la replica. Il problema della scrittura in questi casi non è cosa nuova, già Cage negli anni ’50 proponeva modelli di scrittura per poter riproporre in qualche modo o almeno interpretare le sue opere durante le esecuzioni dal vivo e così han fatto molti altri a cominciare da Berio. Io ad esempio costruisco delle forme di scrittura funzionali, come schemi colorati e diagrammi che poi mi servono durante il live set per poter riprodurre un brano sempre con lo stesso criterio all’interno del quale poi, come nel jazz, avviene l’improvvisazione. È un tema ciclico e tipico della nostra epoca digitale dove non è più possibile codificare uno strumento in quanto tutto è mutevole e i tempi sono sempre più brevi.
Davide
Un tempo l’elettronica guardava in modo quasi del tutto unidirezionale al futuro, creandolo. Oggi capita che volga il suo sguardo anche verso il passato, recuperando per esempio linguaggi tonali e ritmici convenzionali, mezzi elettronici analogici obsoleti o, nel caso dei supporti, il vinile (che per me tuttavia ha il pregio di essere ad oggi l’unico supporto davvero futuribile… nel senso della durata nel tempo della memorizzazione analogica rispetto ai supporti hardware e software o alla “liquidità” digitale). Dal tuo punto di vista, cosa stiamo costruendo per il nostro futuro?
Riccardo
Penso che stiamo vivendo una grande occasione, il vinile rappresenta di nuovo il desiderio di possedere in qualche modo l’opera non accettando più il solo ascolto liquido. Infatti il vinile è analogico e l’imperfezione dei solchi e della lacca rende ogni singola copia un unicum diverso dalle altre. Io ad esempio ho pubblicato la mia raccolta antologica in 9 CD di musica sperimentale degli ultimi 15 anni (Riccardo Mazza Experimental Works 2000-2015 su tutti i digital store e in CD) dove ho ripreso tutti i miei lavori riarrangiandoli ma li ho masterizzati su bobina, proprio per avere un master analogico in copia unica originale. Non penso sia un guardare al passato, ma forse una voglia di recuperare quella parte del nostro passato che si era persa e che costituiva una parte di anima artistica e culturale importante. Questa parte analogica oggi la si sta integrando nel mondo del digitale e ciò secondo me rende il mondo della musica più completo.
Davide
Cosa seguirà?
Riccardo
Non ne ho la più pallida idea, quello che penso è che viviamo in un mondo veramente liquido e di conseguenza occorre imparare ad andare sul surf, aspettare l’onda e cavalcarla al momento giusto senza fare troppi programmi.
Davide
Grazie e… à suivre…
Riccardo
Mi fai sempre un po’ sudare perché poni delle questioni davvero profonde e impegnative, ma ogni volta ne esco sempre con delle riflessioni in più che mi stimolano e mi suggeriscono nuove idee. Quindi grazie Davide e a presto!