traduzione diDamiano Abeni
testo inglese afronte
disegno dicopertina dell’autore
minimum fax (Roma,2011)
pag. 185, euro9.00.
Questa volta, per almeno un paio diragioni, è più che utile seguire il saggio consiglio di Giorgio BàrberiSquarotti. Nel 2010, ovviamente l’attenta e intraprendente e fondamentaleromana minimum fax, che con Guanda in Italia pubblica Bukowski ha ben pensatodi lanciare la seconda edizione di “Santo cielo, perché porti la cravatta?”;volume che, come dicono i cattedratici, riempie un vuoto. O perlomeno aiuta afarlo. Infatti la raccolta presenta in Italia, e in edizione giustamentebilingue, che la brillante e acuta’ traduzione e del maestro di questo lavoroD. Abeni, la prima parte “The Night Torn Mad with Footsteps”. Libro ineditofino alla morte del poeta. E che resterà non edito fino ai giorni nostri. Composto,va precisato, sempre in ragione di non far sgarbo al critico e poeta Squarotti,componimenti scritti tra l’anno dei signori 1970 e l’anno dei signori 1990. Mapartiamo, con calma, dall’inizio. La copertina insomma che ci proponeun’elaborazione elettronica d’un disegno dello stesso Bukowski. Cravatta ebottiglia, possiamo o potremmo osservare, spiegano senza spiegare. Inutileridire che questa silloge è una delle bellezze della spassosa collana dei”Sotterranei”. Ma forse mai basterà ripetere. Però lasciamo stare i dettaglieditoriali, insomma, per entrare con la mente nelle parole dell’autore. Oalmeno per tentare di farlo nella maniera, quindi, più lucida possibile. “Santocielo, perché porti la cravatta?” – non in forma di titolo (diciamo) – ma informa di verso non è periodo, come si potrebbe chiedere, creatadall’irriverenza di Hank. Ma questo grido di curiosità, anzi, Cinaski lo ricevedall’impiegato che forse normalmente l’incontra all’ippodromo e che maievidentemente aveva avuto il piacere di vedersi apparire un Bukowski elegante.Che il poeta arrivava direttamente dal funerale di Fante. Per dire. Il librocustodisce e si fa custode di versi indimenticabili: “ma decisi di andarmene ingiro / e trovare un altro posto dove stare e scrivere / e forse un giorno darea quelli che odiano qualcosa di vero / da odiare”. Chiuse che non potremocancellare ricorrendo ai rimedi’ dei tempi: “il prete era un tipo / simpatico/ ma noi non volevamo portare sfortuna / alla nostra / estate” (The priest). Ilpoeta, immobile in un mondo che è “un’arancia immensa”, scruta una partedell’umanità. E vive, invece, la parte che più sente. Gli uomini che sono lostesso margine dell’arancia, magari che hanno avuto fortuna, spesso, per poiperderla, e a volte definitivamente. La gente assediata dalla propriaquotidianità, ritenuta, persino quando piccola piccola e dal resto del mondonon proprio ben vista, che è almeno apparentemente soddisfatta. Lo sguardo diCharles Bukowski, che non solamente si posa, come è ovvio che sia, sul fattoreautobiografico, aggancia l’uomo che è al suo fianco e di fronte, la donna chesta davanti e dietro. Assicurando un’emozione che scalda la parola. Un destinoinviato a chi si trova all’ultimo posto, come alla gioia, assecondata da alcunidolori, di bere senza sosta. Bukowski legge i suoi giorni e con pochi terminispiega tutto il mondo che conosce. Quello che vede. Tra attori in crisipsicologica e portieri di nulla. Scherzando su questi ragazzi, che sono allafine buona parte della critica dagli anni Settanta a oggi e fino a domani, chestudiano il maestro. Facendo del poeta più di quanto a questo punto della suavita vorrebbe. Siamo certi che Cinaski sarà ancora forza per il divenire.Comunque. E chi conosce un po’ poesia e alcol, sa perché.