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Venezia 2005

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VENEZIA 2005

Festival di Venezia 2005: schermi roventi, tanti film come al solito (appena un po’ meno dell’anno scorso), ma blindati assurdamente, per esagerate misure di sicurezza, imposte dalle majors hollywoodiane per inviare i loro film con annessi divi. Per cui, quella che segue è una sintetica panoramica del meglio rimasto nella retina di uno dei vostri inviati.

Capolavoro. La sposa cadavere di Tim Burton, che ritorna all’animazione stop motion di Nightmare before Christmas, sempre con personaggi dark filiformi, con un nuovo rovesciamento di mondi. Là c’era il contro-Natale del regno di Halloween; in questo caso il regno dei morti che invade quello dei vivi, grigi, tetri esseri che pensano solo ai soldi, mentre i morti sono colorati e allegri. Coloro che tra i vivi sono delle eccezioni, diversi per la loro sensibilità (e non solo), stanno meglio nell’oltretomba: è il caso del protagonista, disegnato sulle fattezze di Johnny Depp, che gli presta anche la voce, come un novello Edward Mani di forbice. Per un errore poetico e macabro allo stesso tempo, infila l’anello di matrimonio nel dito di una sposa cadavere (dalla bocca rossa) e precipita quindi nel regno dei morti, dove si scatena un musical sub-umano, forse più che umano, fino a che i morti risaliranno nel mondo dei vivi, senza effetti da zombie ma con ricongiungimenti tra generazioni e tra affetti passati. Poesia finale: la sposa cadavere scomparirà in un volo di farfalle nel cielo lunare, per lasciare l’anello alla promessa sposa in carne ed ossa, anche lei timida e gentile, con la voce e le fattezze della compagna di Tim Burton, Helena Bonham Carter. Geniale. Da vedere insieme a La fabbrica di cioccolata.

Classici francesi. Les amants réguliers di Philippe Garrel: splendido bianco e nero, straordinaria rappresentazione delle manifestazioni sul 68, dei corpi e dei sentimenti dei giovani degli anni ’60; l’altra faccia dei Sognatori di Bertolucci, omaggiato esplicitamente insieme a Pasolini. Imperdibile e fuori dal tempo.

Classicismo (francese). Gabrielle di Patrice Chéreau. Cinema da camera, emozioni che esplodono fredde sullo schermo: un velo si lacera e scoppia la guerra civile tra lui e lei, una coppia di società. Lei scappa per 3 ore e poi ritorna, ma solo perché pensa che lui non la ami. A questo punto sparisce lui, per sempre, perché si accorge che nella casa non c’è più vita. Crudeltà estrema.

Percorsi cristologici. Due film raccontano dei percorsi di fede e passione, tra realtà e finzione. Mary dell’anarco-cattolico Abel Ferrara, girato in gran parte in Italia (attualmente Ferrara vive a Roma ma dice: “ovunque sono, io faccio sempre film su New York”) e ispirato al Vangelo apocrifo di Maria Maddalena. Matthew Modine è Gesù Cristo, nel film nel film da lui stesso diretto e dove Juliette Binoche interpreta una Maria Maddalena che siede con i discepoli nell’ultima cena; alla fine delle riprese lei rifiuta di tornare a New York e va a Gerusalemme per continuare un percorso spirituale ispirato dal suo ruolo. Il terzo personaggio della trinità di Ferrara è un giornalista televisivo americano (Forest Whitaker) che, mentre sta realizzando un programma sulla figura di Gesù, è costretto ad interrogarsi, da una inaspettata drammatica crisi familiare, sul senso della fede e il mistero del sacrificio. Si va avanti e indietro nel tempo, tra conflitti di ieri (come quello tra Pietro e Maria Maddalena raccontato nei Vangeli apocrifi) e di oggi (quello tra israeliani e palestinesi), con una interpretazione quotidiana e prosaica dei Vangeli. New York è quasi come una città fantasma, in cui una pietra che rompe il finestrino di una macchina è l’esplosione della violenza che riporta la vita reale nell’esistenza protetta del giornalista tv.

Ferrara costruisce il film con uno stile quasi da free jazz, con molta improvvisazione. Le vie del Signore sono come sempre infinite (il film è l’esatto opposto della Passione di Mel Gibson) e infatti avvertiamo che, a suo modo, il regista riesce a parlare in maniera sincera e anche intensa di spiritualità, fede e redenzione, come per altro aveva già fatto in opere precedenti. Ferrara vorrebbe anche girare un film sugli avvenimenti dell’11/9 ma nessuno vuole produrre una simile pellicola: peccato.

L’altro percorso cristologico è La passione di Giosuè l’ebreo di Pasquale Scimeca, regista indipendente i cui film sono spesso invisibili. Alla fine del 400, ebrei e musulmani vengono cacciati dalla Spagna dalla regina cattolica Isabella. Il giovane ebreo Giosuè approda in Sicilia, in un villaggio di ebrei costretti alla conversione al cattolicesimo (come gli antenati del regista). Viene scelto, grazie alla sua erudizione, per interpretare la figura di Gesù nella messa in scena della Passione del Venerdì Santo. Il giovane si immedesima nel ruolo, proiettandoci la sua vicenda personale; la sua predicazione è talmente forte e dirompente, da vero rivoluzionario. che l’Inquisitore e gli altri notabili cattolici decidono di ucciderlo, anche nella realtà. Il potere religioso non sopportava ancora la verità, 1500 anni dopo la vicenda di Gesù Cristo. Oggi la Chiesa Cattolica ha chiesto perdono per la predicazione anti-ebraica (anche se non ha aperto gli archivi vaticani su Pio XII e il nazismo), ma in nome di Cristo si fanno ancora guerre e si rifiutano i diversi e gli stranieri, mentre Isabella potrebbe essere fatta santa. Dopo Placido Rizzotto, santo laico, Scimeca racconta con intensità un’altra storia di uomini liberi che non piegano la testa e non hanno paura dei potenti, anche a costo della vita.

Altri italiani. Texas di Fausto Paravidino: dal teatro arriva un giovane autore (Peanuts -Noccioline) che racconta con brio la campagna urbanizzata, la periferia allargata italiana, periferia dell’Occidente con il centro negli Usa; un Piemonte come il Texas, quindi, con cowboys, bandiere a stelle e strisce e rodei. Dentro questo ambiente fisico e sociale, tante piccole storie di personaggi provinciali un po’ cecoviani: rassegnati, indecisi, deboli ma anche ironici. Ci si spinge fino ai limiti del dramma ma il regista si arresta prima che questo esploda, confermando che il nostro è il paese della commedia e della farsa. Niente catarsi pubblica, collettiva o individuale, tutto rimane dentro, forse le cose cambieranno, ma tutto avverrà lentamente. Il film stà tra l’assurdo della vita alla Kaurismaki e la tenerezza ironica e affettuosa di un fellinismo romagnolo. Paravidino è un autore da tenere d’occhio, anche al cinema.

Romance and Cigarettes di John Turturro: storia d’amore musicale molto ruspantemente italoamericana ed un po’ trash, in maniera irriverente, con al centro la working class del Queens, New York, che evade dal grigiore e dalla noia della vita attraverso le canzoni, sulle note di classici da Janis Joplin a Bruce Springsteen: il pezzo cult è Quando m’innamoro di Anna Identici, ma anche Scapricciatiello di Albano non è male (in inglese è Do you love me like you kiss me). James Pandolfini (da I Soprano) è sposato con Susan Sarandon ed ha una relazione con una rossa, sboccata e scatenata Kate Winslet: prigioniero dei suoi stimoli primari, deve scegliere da che parte stare. C’è un po’ di tutto in questo film: Fellini, Bunuel, i musical americani e la commedia all’italiana. Imperdibile Christopher Walken in versione rock’n roll alla Elvis. Producono i fratelli Coen e questa è una garanzia.

Un’altra America. Nel nostro immaginario entrerà anche un altro luogo americano finora sconosciuto: Elizabethtown, Kentucky, colline blu elettrico. È il titolo e il luogo dove convergono i destini dei protagonisti. Il regista è Cameron Crowe che definisce il suo film “commedia riflessiva con molta musica”, fedele (con licenze) alla lezione di Billy Wilder, cui ha dedicato un libro-intervista: la curiosità verso la vita vera, in questo caso con molti riferimenti personali (la morte del padre e il confronto con la sua immagine).

Il protagonista compie un viaggio verso Elizabethtown, alla ricerca delle sue radici, per recuperare la salma del padre. Per il regista le radici del suo film sono nei classici della commedia, come L’appartamento di Wilder (o Pane e cioccolata!) o nelle immagini di Norman Rockwell. La parte più bella del lungo (forse un po’ troppo) film è il viaggio finale per riportare a casa le ceneri del padre, un percorso nel sud degli Usa e nella storia americana degli ultimi decenni, da Martin Luther King a Elvis Presley. Grande musica, come sempre nei film di Cameron Crowe (Quasi famosi). Strepitosa Susan Sarandon (ancora lei), nella scena in cui ricorda il marito ballando il tip tap. Il piacere di raccontare delle storie in maniera sincera.

La sorpresa: Crazy di Jean Marc Vallée (Canada). Ancora la storia di un rapporto padre-figlio: un ragazzo si sente diverso dai fratelli e non riesce a stabilire un rapporto equilibrato con il padre, da cui vorrebbe disperatamente essere amato. Ci vorranno vent’anni perché tra di loro ci sia affetto e rispetto reciproco. Dal 1960 al 1980, tra Pink Floyd e Rolling Stones, David Bowie e il punk dei Sex Pistols, ancora grande musica per un percorso di crescita in cui tanti potrebbero riconoscersi. Lacrime, risate, emozioni per un film che è stato un grande successo del cinema canadese. Chissà se lo vedremo mai in Italia…

Arrivederci a Venezia 2006

Paolo Baldi

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