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La narrazione classica

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La narrazione classica

Se c’è una cosa che non cambierà mai nella storia della letteratura è la differenziazione che esiste tra gli scrittori che vogliono trasmettere al pubblico un messaggio preciso, e quelli che invece scrivono per comunicare. Punto. Spinti da un irresistibile bisogno di comunicare, esistono scrittori che possono essere identificati come Narratori Puri, i famosi Narratori Punto e Basta.

Erroneamente definiti come Scrittori di Seconda Mano, o creatori di Best Sellers, coloro che scrivono solo per raccontare, e scusate se è poco, si distinguono dagli altri per una certa freschezza del tocco narrativo, per una visione del mondo non contorta o sedimentata, per una felice coniugazione tra intuito e metodo, che si avvicina molto alla perfezione.

Non dimentichiamo che agli albori della storia la narrazione nasce appunto per esaurire se stessa nella sua principale funzione esplicativa, che è appunto quella di raccontare qualcosa, e di farlo bene, meglio che sia possibile. Istituita inizialmente come fattore aggregante della comunità, dove gli anziani radunavano attorno ai falò gli abitanti del villaggio per intrattenerli con piccole storie, leggende e racconti, la narrazione si è in seguito evoluta, trasformandosi in uno strumento adatto a tramandare le conoscenze dell’uomo e le sue paure, nonché ovviamente le sue fondate speranze.

Ponendo a confronto due grandi scrittori del Novecento, ad esempio Graham Greene e Henry James, possiamo infatti notare alcune fondamentali differenze che possono essere invocate come un distinguo universale tra le due categorie di scrittori, i latori di un messaggio, e i narratori dei falò sulla spiaggia.

Dimostrando un disinteresse quasi totale per la manipolazione del linguaggio e delle strutture tematiche Greene ha ottenuto un tipo di narrazione classica, universale, altamente fruibile, dove i personaggi non sono mai soffocati dalla loro psicologia, dove l’azione predomina sul pensiero, dove le notazioni di carattere non sono mai funzionali a se stesse, ma piuttosto subordinate al servizio primario del narrare.

Mentre James viceversa, considerato il padre del romanzo introspettivo, con la sua minuziosa analisi comportamentale dei personaggi, ci offre delle sfaccettature poliedriche, da fine cesellatore dell’animo umano, ma rischia entrando così nel profondo di perdere di vista lo scheletro osseo della narrazione, sottraendo alla letteratura la visione del contesto generale, in virtù della focalizzazione del particolare.

Oggi la medesima contrapposizione può essere reinterpretabile tra coloro che scrivono persi nella contemplazione del proprio ombelico, e quelli che assai più modestamente scrivono per raccontare una storia. Possibilmente una buona storia.

Al lettore poi l’arduo giudizio di valutare chi offre di più.

Sabina Marchesi

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