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Genio o sregolatezza?

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Genio o Sregolatezza?

Una delle cose che mi piace di più è andarmi a leggere le biografie e le interviste degli scrittori.

Un po’ come gli appassionati delle soap opere amano conoscere tutto dei loro beniamini, allo stesso modo io nutro una curiosità inveterata per i dettagli di operatività quotidiana dei veri scrittori.

Sono curiosa di sapere quando scrivono, dove, come, che metodo di lavoro usano, se sono abitudinari o irrazionali, se inseguono l’ispirazione o se è l’ispirazione che li insegue. Cose così, insomma, stupidi dettagli se vogliamo.

Ma mi piace sapere che lo scrittore XXX lavora su un vecchio scrittoio del nonno seduto sopra una sedia di pelle rossa, che scrive prima a mano e poi lo ricopia, che legge tutto tre volte prima di passare al capitolo successivo.

Piccole sciocchezze di questo tipo.

Quello che però mi sconcerta spesso nel leggere le interviste fatte agli scrittori “professionisti”, al di là delle futilità delle domande dei giornalisti che possono essere, purtroppo, più o meno intelligenti, è sentire frasi di questo tipo.

“Io scrivo tutti i giorni dalle 10 alle 12, poi pranzo, mi riposo, curo il giardino e scrivo di nuovo dalle 16 alle 18.”

Ora per me e per tutti gli scrittori della Domenica, i “dopolavoristi”, scrivere significa generalmente rubare stentatamente qualche ora o frazione di ora dalle mille incombenze quotidiane, tra l’ufficio, il traffico, la famiglia, la cena, le gite al mare, il dentista dei bambini, le visite alla nonna, e le ore del sonno, che sono poi quelle dalle quali, alla fine, inclementi sottraiamo il tempo necessario che ci occorre per creare.

Che poi qualcuno di noi in queste condizioni riesca perfino a partorire ogni tanto un’opera degna di essere chiamata tale e che possa ambire al traguardo della pubblicazione mi pare già un miracolo.

Per cui mi domando: perché mai uno scrittore, un uomo libero, uno che ha tutto dalla vita, o per lo meno ha il dono più grande, cioè il tempo, perché mai dovrebbe complicarsi la vita con degli orari e delle regole ferree? Perché dovrebbe insomma trasformare la passione in lavoro?

Ad esempio mi piace molto ma molto di più la risposta di Stephen King, che nella sua autobiografia afferma: “Quando i giornalisti mi chiedono come scrivo, io rispondo, una parola alla volta. Quando i giornalisti mi chiedono quando scrivo, io rispondo, tutti i giorni, tranne Natale e Pasqua.” Poi alla riga sotto candidamente confessa: “La verità è che io scrivo tutti i giorni, anche il giorno di Natale e quello di Pasqua. Perché non ne posso fare a meno.”

Ecco se io fossi un autore famoso, cosa che non sono, alla domanda in questione risponderei. “Sempre”.

Alla domanda invece del perché scrivo, risponderei, e senza esitazioni. “Perché mi fa sentire bene”

Certo mi sento bene anche quando leggo, ma quando scrivo mi sento bene in un altro modo.

Ora uno scrittore americano di quelli da best sellers, per intenderci, se fosse onesto alla domanda “Perché Scrivi?”, ti dovrebbe rispondere, “Perché mi devo mantenere la Villa in California, la Casa ad Aspen, e tre ex-mogli” .

Noi in Italia, dove tutti gli scrittori che conosco mi dicono che è impossibile sopravvivere solo facendo il mestiere di scrittore, se non lo integri con altre attività extracollaterali, siamo molto più prosaici e osiamo affermare che per molti di noi basterebbe guadagnare quel che tanto per basta per aumentare proporzionalmente il nostro tempo libero, quello che poi dedicheremmo, tutto, con sano entusiasmo, alla scrittura.

Altro che dalle 9.00 alle 12.00.

Intanto scriviamo di notte, badiamo ai bambini, lasciamo il gatto sul fuoco, e mettiamo fuori la pentola a pressione, sperando che poi i nostri lettori ci perdoneranno se, di quando in quando, non azzecchiamo un congiuntivo.

Sabina Marchesi

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