KULT Underground

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Abend

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Abend

Questa è una di quelle sere strane… Non so come spiegarlo. E’ un insieme di sensazioni che prese una ad una non dicono un granchè, ma tutte assieme sì.
Prima di tutto il silenzio. Sembra che tutto il mondo abbia appena preso una grande respiro e stia trattenendo il fiato per un attimo prima di sospirare sommessamente.
L’aria è tiepida e quasi immota. Pare davvero il fiato del mondo. E l’odore… E’ davvero incredibile quante sensazioni ti fioriscano dentro al timido solletico di un particolare odore. Non riesco a tradurlo in parole! Provate a pensare al profumo del pane fresco, al caldo, pungente aroma del legno dei vecchi mobili rimasti troppo tempo al sole attraverso i vetri di una finestra, al morbido odore del cuscino dove ogni sera appoggiate la testa per dormire. O ancora all’effluvio caldo della sabbia arroventata dal sole, all’afrodisiaco odore della terra bagnata e fecondata da un temporale. Pensate a tutti questi odori e mescolateli assieme, se potete. Poi affievoliteli fino a ridurli ad una traccia appena percettibile. Ecco… questa è la descrizione migliore che riesco a farvi.
E poi, la luna. E’ proprio come piace a me: a mezza strada tra l’orizzonte e lo zenith, non luminosa e algida come sa fare in certe sere d’inverno, ma giallo ocra, calda e rassicurante come il fuoco di un camino, come la risata tranquilla e sommessa di una vecchia amica.
Colto da una improvvisa ispirazione, stacco la chitarra dal gancio a muro e la tengo un attimo in grembo, accarezzando la liscia solidità del manico, il metallo teso delle corde. Attacco sottovoce un blues, ma senza tristezza, quasi una ninnananna. O una serenata. Per te, o mia luna.
Le note ondeggiano nell’aria come bolle di sapone, e svaniscono nel caldo ventre della notte. Gradualmente rallento il ritmo fino a fermarmi: le vibrazioni delle corde che tramutano l’aria in suono si smorzano lentamente. In lontananza un rapace notturno emette un grido. Le mie note sono ora parte dell’oscurità.
Le cime degli alberi del parco dall’altra parte della strada ondeggiano, mosse dalla calda brezza che avvolge anche me nel suo abbraccio. Mi viene da pensare a come dev’essere stato questo posto molte ere fa. Gli incredibili bestioni che calpestavano la terra e ne reclamavano la potestà sono scomparsi da lunghissimo tempo ormai: da molto, molto prima che gli egiziani costruissero le loro piramidi o i cinesi la Grande Muraglia. Le loro ossa sono polvere o pietra, le loro giornate granelli di sabbia ormai caduti nella grande clessidra del tempo. Eppure anche loro erano bagnati dalla luce di questa stessa luna, e sulla loro pelle la notte soffiava allo stesso modo.
Pallida Luna, quante cose il tuo occhio tranquillo ha visto da lassù! Sotto il tuo sguardo benevolo anch’io mi sento Parte del Tutto.
Un grillo solitario frinisce nella notte, e la sua canzone è come un battito cardiaco, ritmico ma mai ossessivo, rassicurante, carezzante, soporifero. Si fonde col tessuto della notte stessa e ne diventa parte integrante. Anch’io vorrei farlo. Mi lascio cullare dai suoni che sottovoce l’oscurità mi sussurra. Oh, come vorrei potermi librare nell’aria e solcare le tenebre con ali vellutate e silenziose come quelle della civetta!
Resto ancora a lungo ad ascoltare, fino a quando, vinto dal sonno che chiude i miei occhi, mi lascio andare all’abbraccio della Notte, Madre Eterna, Grembo del Mondo.

Massimo Borri

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