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All’ombra delle pupazze in fiore – Alfonsina Bellio

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Antropologia di unrito nella Calabria grecanica
presentazioni acura di Leo Giovanni Andrea Casile
Annamaria Licio, Fabio De Chirico
prefazione di Vito Teti
postfazione diPasquale Faenza
con fotografie,Kurumuny (Lecce, 2010)
pag. 115, euro16.00.
 
La Calabria ha nel sangue forte misture diGrecia e Albania. Condensati di storia greca e mitologia albanese, tradizioniche fanno della Calabria d’oggi il pargolo che vive per merito d’una vastafamiglia dietro le sue spalle. Un nucleo composto da usi e costumi, da culturealtre. Negli ultimi anni, finalmente, spiega Alfonsina Bellio con il suoscorrevole saggio, che più che un saggio è esattamente una piccola inchiesta,un viaggio d’osservazione, alcune istituzione calabre, insieme ovviamente, anzipartendo dal supporto di diverse associazioni e singoli, provano, e ci stannogià in parte riuscendo, a ripartire dalle origini dell’area grecanica diCalabria. Il rito della ‘sfilata’ delle pupazze, del mostrare le variePersefone, adesso nel giorno delle festività pasquali, a Bova su tutti i comunidentro la cattolica domenica delle Palme – e si sorvoli sul fatto, evidente,che come per il maggio di Accettura della Basilicata e altri riti arborei ilcristianesimo con la tunica pregiata si sia impossessato d’una tradizione nonsua (nei boschi lucani tutta pagana, o quasi, in Calabria in principioaddirittura trasportata dalla mano degli dei) – ridiventa luogo di ricercadell’identità delle comunità. Che, ovviamente, non possono dimenticare, quantodevo fare i conti con qualche resto di presente, del greco parlato daglianziani o della storia dell’abitudine tramandata, appunto, di fare più grandela tipica palma che dalle nostre parti è una piccolezza benedetta dal prete diturno. Le pupazze, in sostanza, spiega la Bellio col suo studio antropologico,sono rito che incrocia valori religiosi, sociali, estetici e artistici. In chesenso? Se la religione, che in passato potremmo dire era aggiornata dallaleggenda di Persefone figlia di Demetra, ora non è che la consuetudine diabbellire la giornata della Palme; sociale, in quanto, innanzitutto il raccontoè legato alle spinte del mondo contadino che vedevano in questa ritualità ilfattore simbolico di una ‘speranza’ di fertilità ai raccolti e che, inoltre,sono oltre a essere dono dei maschi, poi ricambiati dalle femmine coi dolci,verso il fidanzamento o il matrimonio, sono passaggio di testimone digenerazione in generazione: i più vecchi o esperti, in pratica, dicono ai piùgiovani come si costruisce una bella pupazza, una Persefone che tuttidovrebbero invidiare; a beneficio, appunto, dell’agghindare spedito dellapalma, che diventa o corposa, addobbata di frutti o fiori, comunque nellamaggior parte dei casi somigliante, il più possibile, a una donzella, anzi auna figlia o a una madre (la Demetra greca). Alfonsina Bellio si lasciacontaminare sentimentalmente dalla terra che vive. Per dare al Mezzogioro eall’area mediterranea un altro studio utile a conoscerci. Non a caso, la Bellioche giustamente, a favore d’una certa ‘cronaca’ sottolinea come a Bova edintorni si ricominci a insegnare il greco a scuola, fa parallelismi fruttuosicon altre dimensioni geografico-esistenziali. Questo volume della studiosaBellio fa parte dei lavori che costituiscono il patrimonio a servizio dellamemoria storica.

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