Sono nato a Nuova Dheli 37 anni fa e fin da piccolo mi resi conto di avere poteri mentali di cui solo pochi eletti possono far uso, i cosiddetti poteri paranormali: in particolare potevo leggere nel pensiero. Fino all’età di 15 o 16 anni ho usato sporadicamente questo dono, giusto per guadagnarmi di che vivere, mischiandomi con comuni ciarlatani che da generazioni si tramandano ridicoli trucchi di prestidigitazione poi scoprii, forse in ritardo rispetto a molti campioni, il gioco della vita sempre che non sia la vita stessa…
Non dirò che è il gioco della "mia" vita o la "mia" vita perchè gli scacchi, ed è di questa arte che stiamo parlando, sono lo specchio di qualsiasi anima anche se, a qualcuno, non piace specchiarsi. Provai a confrontarmi subito con alcuni miei coetanei e vinsi tutte le partite senza conoscere a pieno le regole: giocavo semplicemente la mossa che temevano di più, la mossa che non volevano facessi…
Iniziai a fare qualche torneo dopo aver affinato un po’ la conoscenza del gioco: leggevo nella mente del mio avversario il suo piano strategico e le contromosse che si aspettava: semplicissimo come bere un bicchiere d’acqua ma mi affascinava, anche durante il mio tempo di riflessione, percorrere alla velocità del pensiero tutte le linee che analizzava il mio contendente. Alle volte, durante il gioco, trovavo ridicoli i vani tentativi altrui di decodificare i miei piani cercando di carpire i miei pensieri: io peraltro non avevo alcun piano, il mio era "il controgioco" per eccellenza.
Nel mio tempo libero ho imparato per diletto alcune aperture ed ero affascinato dalla complessità del gioco, dalle infinite varianti, la tattica, la strategia e non ultimo l’aspetto psicologico. Ancora anni ed anni a prepararmi… per cosa? Io volevo sconfiggere Lui, il Campione del Mondo. Non ero ancora nessuno ma volevo uscire allo scoperto all’ultimo minuto, fare il colpaccio per alcuni milioni di dollari e sparire come Fischer: chissà, forse anche lui leggeva nel pensiero, meditavo…
Fare telecinesi mi aiutava a mantenere la concentrazione e, per un paio di anni, sviluppai questa facoltà imparando altre linee teoriche nel gioco degli scacchi per passare il tempo; nel frattempo facevo qualche torneo per uscire dall’anonimato sino a divenire maestro ma sempre rimanendo nell’ombra e pattando qualche partita, qua e la, con chi mi era più simpatico. Con i tornei guadagnavo di che vivere ma ero stanco di fare il giramondo, volevo sistemarmi su una bella isoletta e rilassarmi: i continui allenamenti mentali, soprattutto negli ultimi anni mi affaticavano sempre di più ma ormai il mio potere era all’apice. Tre anni ancora con questa idea fissa di sconfiggere il numero uno: avrei avuto il mio soggiorno a vita su una isoletta e sarei divenuto immortale come Bobby, nelle "mie" varianti estrapolate o peggio rubate dalle menti altrui.
Tre tornei a livello internazionale mi portarono alla ribalta in poco tempo: guadagnavo punti ELO in grande quantità, arrivai nei primi 50 del mondo a sorpresa e riuscii a qualificarmi per il prestigioso torneo di Linares. Qell’anno, non sapevo il motivo, il Campione del Mondo aveva disertato Linares dunque decisi di iscrivermi e di vincere a punteggio pieno! Si parlava di me come nuovo Fischer ma, in quel tempo, soffrivo di forti mal di testa e, dopo alcuni esami mi diagnosticarono un cancro al cervello.
Dovevo immaginarlo che si trattava di una cosa alla X-Files e deciso di scartare l’isola e tutte quelle inutili cure a cui pochi privati volevano sottomettermi, sfidai per il titolo Lui. Prima dovetti fare il torneo di qualificazone: una vinta e una patta e così via…
"L’invincibile Ray" – così ero soprannominato, non aveva mai giocato con il Campione ma gli avrebba sicuramente strappato il titolo e sarebbe passato alla storia. Era questo ciò che volevo: passare alla storia; essere ricordato come un campione, un genio, e non un fenomeno da baraccone o un Uri Gheller di cui ancora si discute.
Eravamo uno davanti all’altro, mi guardava fisso apparentemente senza sentimenti ma con una freddezza inaudita:
– E se fosse un robot? – pensai. Contro i computer perdevo sistematicamente, era umiliante e cercavo di non giocare perchè mi abbatteva il morale. Diedi un occhiata a cosa c’era nella sua testa. Mi sollevai il morale perchè pensava un po’ alla borsa del torneo e un po’ alla biondina in terza fila: forse l’inviata di qualche network. Mi concentrai su di lei ed infatti era una giornalista.
Io feci la prima mossa del match: una valeva l’altra ma mi dilettavo con 1.d4. Lui giocava veloce e deciso: praticamente a memoria 1…Cf6 2. c4 g6 3. Cc3 Ag7 4.e4 d6. Una difesa est-indiana forse in mio onore che venivo proprio da quelle parti: si era studiato delle novità sulla variante Samisch e sulla variante Averbach ed era ansioso di metterle in mostra perchè si dicesse di un’altra novità teorica del campione, magari per fare il gradasso con quella biondina. Era un uomo, solo un uomo, come si recita in Jesus Christ Superstar dunque era in mio potere: lui non mi odiava come mi era spesso capitato con altri avversari ma era solamente curioso di vedere chi ero. Mi buttai nel sistema ortodosso con 5.Cf3 0-0 e con grande dispiacere del Campione che effettivamente scandagliava nel suo "database" di aperture una quantità esorbitante di mosse. Il piano era il solito: lo mettevo sotto in apertura e gli consentivo di autoconfutarsi nel mediogioco. Gli sarebbe piaciuto, leggevo, rientrare in quelle varianti strategicamente complicatissime del sistema Petrosian ma ovviamente scelsi la strada meno chiara e quella che temeva di più. 6.Ae2 e5 dentro il sistema Gligoric’: che bel gioco gli scacchi!!! Lui sperava che giocassi una mossa tipo 7.Ae3 che riconduceva a molte partite patte giocate in passato ma io arroccai. Lo stato d’animo del mio avversario era ancora di curiosità anche se leggermente allarmato per un sistema a lui non congeniale e per la pipì che doveva prima o poi andare a fare…
Decise serenamente per 7…Cc6 8. d5 Ce7: dentro a piedi pari nella variante Mar del Plata. Questa variante è normalmente favorevole al bianco e giocai la continuazione principale mentre Lui sorseggiava un caffè pensando che era troppo amaro. Schiacciai l’orologio ma invece che mettersi a meditare, il mio avversario, decise prima di andare in bagno: era passata quasi un ora di gioco dalla prima mossa… Tornò quasi subito in sala di con uno sguardo interessato: aveva avuto una idea che reputava quantomeno intrigante. Iniziò a pensare alcune linee di gioco forzate: io aspettavo di entrare nel mediogioco ma lui calcolava ancora… Mi spinsi dentro la sua mente e vidi migliaia di semimosse ponderate e soppesate per quasi mezz’ora di riflessione: arrivai alla fine dell’analisi con lui.
In fondo a quella sequenza infinita di varianti e di cambi avevo gia perso e non c’era nulla da fare. Pochi si resero conto di quel che era successo quando abbandonai, forse solo io e Lui. Era stupito della mia resa come se non potessi aver "visto" tanto lontano ma si rimise a pensare alla borsa del torneo, agli sponsor e alla biondina in terza fila. Io salii frettolosamente nella mia stanza pensando a quanto fosse bello ma pericoloso il gioco degli scacchi.
Ora sono qui a fare queste mie ultime riflessioni appeso ad una corda trovata nello sgabuzzino di una fredda camera d’albergo ed aspettando di leggere nella mia mente il vuoto delle cose.
Federico Malavasi
1
2
Il controgioco
Fino a questo punto le tre partite coincidono: si tratta appunto della variante jugoslava della difesa est-indiana.
Chessbase File