KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Schiave del sesso

20 min read

Schiave del sesso:
la tratta continua, e il diritto?
(nota)2

"La tratta delle donne è più redditizia del traffico delle armi e della droga"
(Jean Fernand Laurent, relatore speciale alle Nazioni Unite
per i problemi legati al traffico di esseri umani)

Appena le luci dei lampioni iniziano ad allungare le ombre sui marciapiedi delle città inghiottite dalla notte e i fari delle auto striano le vie tutte uguali, compaiono loro, scaricate da treni pendolari e da accompagnatori più o meno compiacenti, per iniziare la giornata, chiedo scusa nottata di lavoro: sono le migliaia di prostitute3, spesso vere e proprie schiave del sesso degli altri, che affollano le nostre città, grandi e piccole che siano, spesso ormai anche i paesi di campagna, dove è più facile appartarsi, e sempre più di frequente anche durante le ore del giorno.

Schiave del XXI secolo, rapite o indotte con l’inganno ad abbandonare il proprio paese e obbligate a prestarsi a questa attività da mercanti di schiavi e imprenditori del sesso a pagamento, come sempre più sovente le cronache riportano: sono loro, e sono tante! Per lo più straniere e clandestine (l’80% delle circa 30.000 presenti sulle strade).

Ma chi sono? Da dove vengono? Perché si prestano a tale abbrutimento della propria persona? E poi, la legge, quella famosa legge Merlin del 19584, non le aveva bandite una volta per tutte dalla nostra cattolicissima e pudicissima Italia?

Cerchiamo di capirne qualcosa di più partendo da una chiacchierata avuta una sera con una di queste donne, perché in fondo, nonostante a volte ce ne dimentichiamo, sono e rimangono pur sempre donne, esseri umani, figlie di quello stesso Dio che ci ha creati uguali, maschi e femmine, bianchi e neri, e andando poi ad esaminare ciò che il diritto, nazionale ed internazionale, prevede per simili fattispecie.

Una sera qualsiasi, verso le 22,30; torno a casa stanco dopo una lunga giornata di lavoro; sto attraversando i giardinetti che portano al mio appartamento nella periferia di una grande città del Nord Italia, ma potrei essere anche altrove; mi si accosta un’ombra ed inizia una conversazione, questa:

F (Felicia)- Ciao bello! Andiamo?
DC (Davide Caocci) – Dove?
F – A scopare, dai: ventimila.
DC – No, grazie!
F – Dai, tu frocio? Non piace donne?
DC – Sì, mi piacciono le donne, ma… per fare sesso ci vuole…
F – Dai, tu diverte con me e poi paga dopo…
DC – Come ti chiami?
F – Felicia, e tu?
DC – Davide. Quanti anni hai?
F – 22.
DC – Io 28. Da dove vieni?
F – Dalla Nigeria.
DC – E da quanto tempo sei in Italia?
F – Un anno.
DC – Come ci sei arrivata?
F – Un’amica, lei già qui a lavorare.
DC – Hai dovuto pagare per venire?
F – Sì, aereo molto caro; poi, amica e suo amico, aiutato me.
DC – Cosa facevi in Nigeria?
F – Lavoravo a casa, aiutavo famiglia.
DC – Quindi, hai una famiglia?
F – Mamma, papà, fratelli e sorelle.
DC – E loro sanno quello che tu fai qui in Italia?
F – No, loro sanno che io lavoro, guadagno soldi, mando soldi; basta!
DC – Quante ore lavori?
F – Da 10-11 di notte a 4-5 di mattina.
DC – E quanti clienti hai?
F – Dipende, a volte 5-6, altre anche 10-15.
DC – Quanto chiedi?
F – Anche questo dipende da persona: da quello che chiede, da macchina che ha, da simpatia. A volte ventimila per bocca, a volte per scopare; però, meglio trentamila per scopare e cinquantamila per dietro.
DC – Guadagni molti soldi, allora?
F – Trecentomila, cinquecentomila quando va bene.
DC – E i soldi li tieni tutti tu o li devi dare a qualcuno?
F – Sì, io e amici…
DC – Ma questi amici chi sono? E cosa ti offrono?
F – Amici, dare casa, vestiti, aiutare.
DC – Come vivi qui in Italia?
F – Bene [ma l’espressione del viso esprime ben altra risposta, N.d.A.].
DC – Pensi di tornare in Nigeria un giorno?
F – Sì, certo! Io torno e faccio casa grande per me e mia famiglia, con terra per lavorare tutti insieme [e anche qui il viso si illumina e dice molto di più, n.d.a.].
DC – Hai paura? Di cosa?
F – A volte sì… della strada e di quello che può succedermi.
DC – Cosa pensi degli uomini che vengono da te?
F – Loro chiedono, io dò; poi, se ne vanno e vengono altri; non penso…
DC – Hai mai pensato di trovare un altro lavoro?
F – No, io non posso: io non in regola: nessuno vuole donna nera; solo uomo, solo di notte, solo per scopare…
DC – Se potessi scegliere, cosa vorresti?
F – Soldi, per tornare a casa.
DC – Hai amici?
F – Sì, tante amiche, che lavorano con me.
DC – Credi in Dio?
F – Sì.
DC – Lo preghi?
F – A volte prego, ma non troppo, poi spero che finisca presto.
DC – Cosa pensi di quello che fai?
F – Brutto, ma non posso fare altro.
DC – Ed io posso fare qualcosa?
F – Adesso vai via e lasciami lavorare in pace [ed il suo volto torna a rabbuiarsi, n.d.a.].

Come è accaduto a me, penso che a molti sia capitato di incontrare o di vedere una di queste professioniste del sesso a pagamento che popolano le notti delle nostre strade, e in egual misura abbiamo provato pena per loro e vergogna per noi e per la nostra società che permette ciò e che, secondo le regole del mercato, della domanda e dell’offerta, incentiva questo tipo di mercimonio.

Quasi sicuramente, però, a pochi è venuto in mente di scambiare due parole con queste donne, di cercare di conoscerle meglio, di capirle, di aiutarle per quel poco che è possibile.

Nigeriane, Polacche, Albanesi, ma anche Brasiliane (o Brasiliani), Ecuadoriane, Rumene e Russe; giovani o giovanissime, a volte delle vere bambine di quattordici o quindici anni. Fatte venire in Italia con la promessa di un lavoro onesto e ben remunerato, o coscienti di doversi vendere per racimolare qualche soldo da mandare a casa, o ancora rapite dai propri villaggi o, ancor peggio, vendute dalle proprie famiglie. Ecco chi sono e come sono giunti a popolare le nostre notti questi esseri umani di cui la società si vergogna, ma di cui il mercato ha bisogno per rispondere alla sempre crescente squallida domanda.

Ma veniamo al quadro normativo che, in Italia, oggi regola o dovrebbe regolare questo delicato settore. La legge n.75 del 20 febbraio 1958 "Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui", meglio nota come "legge Merlin", dal nome della parlamentare socialista che ne propugnò l’approvazione, è una legge che depenalizza il reato di prostituzione nel caso essa sia esercitata privatamente, elimina quella esercitata nelle case chiuse, fino ad allora controllate dallo Stato, e assegna rilevanza penale a tutte le attività collaterali. L’art.1 vieta "l’esercizio di case di prostituzione" sul territorio italiano, e l’art.2 ordina la chiusura delle case e dei cosiddetti "locali di meretricio" (chiusura che doveva avvenire entro 6 mesi dall’approvazione della legge). Dal 1958 quindi la materia è regolamentata da quanto disposto dall’art.3, che modifica le disposizioni contenute nel Codice Penale, agli artt.531-536. Tali articoli sono collocati nel titolo IX del Codice penale "Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume" e in particolare al capo II "Delle offese al pudore o all’onore sessuale".

Sulla base di tali disposizioni, sono quindi puniti i seguenti fatti:
* la proprietà, l’esercizio, l’affitto, di una casa dove si esercita la prostituzione;
* qualunque forma di partecipazione alle attività suddette;
* la tolleranza allo svolgimento di attività di prostituzione in locali aperti al pubblico o utilizzati dal pubblico (alberghi, pensioni, circoli o altro);
* il reclutamento di una persona a tal fine e l’agevolazione dell’avvio alla prostituzione;
* l’incitamento alla prostituzione, sia privatamente che in forme pubbliche;
* lo sfruttamento della prostituzione in qualunque forma.

Inoltre, ed entriamo qui nel vivo del tema, sono puniti anche:
* l’incitamento a trasferirsi in un luogo o in uno Stato diverso dal proprio per esercitarvi la prostituzione e l’agevolazione della partenza;
* l’attività in organizzazioni nazionali o estere per reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento di essa, o il favoreggiamento rispetto a tali organizzazioni.

Si aggiunga che i reati suddetti sono punibili anche se commessi in territorio estero, anche se per quello di incitamento si precisa che esso viene punito "in quanto le convenzioni internazionali lo prevedono".

A questo punto verrebbe, quindi, da dire che il nostro ordinamento permetta la libera professione del meretricio a persone capaci di intendere e di volere che scelgano liberamente e consapevolmente tale attività, mentre darebbe il bando ad ogni forma di organizzazione, di impresa nel senso civilistico del termine5, finalizzata ad agevolare e/o trarre vantaggio economico dall’altrui attività (fattispecie penalistica dello sfruttamento della prostituzione6).

Le convenzioni internazionali, invece, cosa prevedono? È possibile che oggi, in Europa, vi siano ancora esseri umani oggetto di compravendita, come nel romanzo Radici di Alex Haley7 o come a Khartoum, in Sudan, ove è tuttora attivo il mercato degli schiavi8?

Nella Convenzione supplementare relativa all’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù, firmata a Ginevra il 7 settembre 1956, e alla quale il nostro Paese è parte, si legge fra l’altro:

"[…] SEZIONE PRIMA
Articolo primo.
Ciascuno Stato partecipante alla presente Convenzione prenderà tutte le misure, legislative e altre, che saranno realizzabili e necessarie per ottenere progressivamente e non appena possibile l’abolizione completa delle istituzioni e pratiche seguenti, là dove queste esistono ancora, cioè quelle che rientrano o no nella definizione di schiavitù che compare nel 1° art. della Convenzione relativa alla schiavitù firmata a Ginevra il 25/9/1926;
a) la schiavitù per debiti ovvero la condizione che risulta dal fatto che un debitore è impegnato a fornire, come garanzia di un debito, i suoi servizi personali o quelli di qualcuno sul quale ha autorità; se il valore di questi servizi non è destinato alla liquidazione del debito o se la durata di questi servizi non è limitata, né il loro carattere definito, si ha la schiavitù per debiti;
b) la schiavitù, vale a dire la condizione di chiunque è tenuto per legge, abitudine od accordo, a vivere e a lavorare su una terra appartenente a un’altra persona e a fornire a quest’altra persona, in cambio di compenso o gratuitamente, alcuni servizi determinati, senza potere cambiare tale condizione;
c) Tutte le istituzioni ossia pratiche in virtù delle quali:
I) una donna, senza che abbia il diritto di rifiutarsi, è promessa sposa in cambio di una controparte in soldi o in natura versati ai suoi genitori, al suo tutore, alla sua famiglia o ad altre persone o gruppi di persone;
II) il marito di una donna, la famiglia o altri hanno il diritto di cedere la donna a un terzo, a titolo oneroso o in altro modo;
III) la donna può, dopo la morte di suo marito essere ereditata da un altra persona;
d) ogni istituzione o prassi in virtù della quale un bambino o un adolescente di meno di 18 anni è affidato, sia dai suoi genitori , o da uno di essi, sia dal suo tutore, ad un terzo, con pagamento o no "alla consegna", in vista dello sfruttamento del lavoro convenuto del bambino o dell’adolescente.
[…]
SEZIONE II (Tratta degli schiavi)
Articolo 3
Il fatto di trasportare o di tentare di trasportare degli schiavi da un paese ad un altro con un mezzo di trasporto qualunque o il fatto di essere complice di queste attività, costituirà un’infrazione penale nei confronti della legge degli Stati Partecipanti alla Convenzione e le persone riconosciute colpevoli di una tale infrazione saranno passibili di pene molto rigorose.
a) Gli Stati partecipanti prenderanno tutte le misure efficaci per impedire alle navi ed agli aerei autorizzati a percorrere il loro territorio, di trasportare gli schiavi e prenderanno tutte le misure efficaci per punire le persone colpevoli di questi atti o colpevoli di utilizzare il territorio nazionale a questo fine;
b) Gli Stati partecipanti prenderanno tutte le misure efficaci perché i loro porti, i loro aeroporti e le loro coste non possano servire al trasporto degli schiavi.
Gli Stati partecipanti alla Convenzione si scambieranno informazioni al fine di assicurare il coordinamento pratico delle misure prese da essi nella lotta contro la tratta degli schiavi e si informeranno reciprocamente di tutti i casi di tratta degli schiavi e di tutti i tentativi di infrazione di questo genere dei quali saranno a conoscenza.
[…]
SEZIONE IV (Definizioni)
Articolo 7
Al fine della presente Convenzione:
a) La schiavitù, così com’è definita nella Convenzione dal 1926 è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercita l’attribuzione del diritto di proprietà e lo schiavo è l’individuo che è in questa condizione.
b) La persona "in condizione di schiavitù" è quella che è indicata nello Statuto, ossia nella condizione che risulta da una delle istituzioni o pratiche viste nell’articolo primo della presente Convenzione.
c) La "tratta degli schiavi" stabilisce e comprende tutti gli atti di cattura, d’acquisto o di cessione di una persona per ridurre la stessa in schiavitù, tutti gli atti d’acquisto di uno schiavo in vista di vendere lo stesso o di scambiarlo, così come in generale tutti gli atti di commercio e trasporto degli schiavi e quelli che sono i mezzi di trasporto utilizzati.[…]".

Stando così le cose, sembrerebbe che in Italia, come in altri Paesi di democrazia matura, non si possa più de iure parlare di schiavi ("individui sui quali si esercita l’attribuzione del diritto di proprietà") dal momento che istituzioni o pratiche relative a simile status sono state abolite, ma l’intervista iniziale, le cronache di tutti i giorni e i viali delle nostre città di notte, dimostrano de facto un differente stato di cose: nonostante la schiavitù sia stata formalmente messa al bando, gli schiavi e le schiave esistono, gli schiavisti pure, e la tratta di esseri umani continua.

Come si comporta, dunque, il nostro ordinamento? Cosa può fare per combattere efficacemente una situazione fattuale divergente dall’astratta fattispecie giuridica precisamente (ma altrettanto astrattamente) normata?

Può dimostrarsi interessante esaminare una sentenza abbastanza recente di una corte di merito (Corte d’Assise di Rimini, 6 luglio 1996), nella quale, proprio in un caso ove era in discussione l’applicabilità dell’art.600 c.p.9 prevalse l’interpretazione fattuale della norma, arrivando ad esprimere il principio secondo il quale: 1. "La condizione di donne acquisite a scopo di prostituzione e sottoposte a riscatto rientra concettualmente nella previsione di cui all’art.600 c.p." e 2. "Non esiste alcuna ragione di ordine logico o sistematico per cui le nozioni di schiavitù e di condizione analoga alla schiavitù non possano consistere anche in situazioni di fatto".

La pronuncia emessa dalla Corte di Assise di Rimini10 offre uno spunto di riflessione in ordine alla configurazione del reato di riduzione in schiavitù e in condizione analoga alla schiavitù contemplato dall’art. 600 c.p.

La vicenda posta all’esame del Collegio prende le mosse dal generale fenomeno di sfruttamento della prostituzione che, nel caso di specie, assume contorni che consentono, per lo svolgimento fattuale degli episodi criminosi, la più grave qualificazione giuridica di riduzione in condizione analoga alla schiavitù di cui all’art. 600 c.p.

La condotta criminosa viene ravvisata dall’organo giudicante nel totale asservimento di giovani nigeriane tradotte in Italia con la promessa di una attività lavorativa lecita e ben remunerata, ma in realtà, una volta giunte in loco, vincolate da accordi contrattuali che prevedono il riscatto da detta condizione di assoggettamento solo al versamento di cospicue somme di denaro.

In buona sostanza si evidenzia una sorta di "tratta" avente ad oggetto l’acquisto delle giovani individuate e prescelte nelle rispettive località di origine e, una volta condotte in Italia, destinate ad essere "acquistate" da coloro che vengono definite "madame", e da queste ultime costrette, sovente con minacce e percosse, all’esercizio della prostituzione, i cui proventi sono conteggiati a titolo di parziale pagamento del riscatto finale.

Ulteriore elemento significativo dello stato di asservimento, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600 c.p., viene ravvisato nei condizionamenti di natura psicologica connessi ad aspetti di tradizione religiosa esplicantesi in rituali magici, utilizzati a fini coercitivi e di intimidazione, avuto riguardo soprattutto alla povertà culturale e alle credenze popolari delle giovani vittime, altresì private dei documenti di viaggio e identità personale allo scopo di realizzare un controllo assoluto sulle stesse.

In punto di diritto la Corte d’Assise di Rimini si è trovata a fronteggiare i non pochi ostacoli giuridici posti, in primis dalla Relazione al codice penale del 1930 che, a proposito del reato di cui all’art. 600 c.p., esclude che il delitto di riduzione in schiavitù, intesa esclusivamente come condizione di diritto, possa commettersi in Italia ed in tutti quei Paesi dove la schiavitù non è ammessa o riconosciuta come istituto giuridico, e altresì dalla successiva giurisprudenza, di legittimità e di merito, intervenuta sulla materia, che in diverse occasioni ha avallato l’orientamento espresso nella Relazione, attraverso l’interpretazione della nozione di "condizione analoga alla schiavitù" come esclusivamente indicativa di situazioni di diritto (Cass. 21.10.1971, ric. Braibanti e Cass. 22.12.1983, n. 3855 ric. Barberio).

Tuttavia il Collegio giudicante ha superato gli ostacoli interpretativi segnalati attraverso una ricostruzione della norma mirata, al di fuori di una visione esclusivamente formalistica della realtà storica, alla valutazione della condizione effettiva e concreta della persona, privata, di fatto, prima ancora che di diritto, della propria libertà per essere assoggettata al dominio di un terzo, ponendo attenzione al grave pericolo che la schiavitù, civilmente bandita dagli ordinamenti moderni e di diritto, possa di fatto essere esercitata in altre forme di privazione della libertà personale altrui, parimenti incisive e vessatorie. In effetti l’orientamento espresso dalla Corte d’Assise di Rimini trova riscontro nella sentenza della S.C. 7.12.1989, ric. Izet Elmaz secondo cui la schiavitù e la condizione analoga alla schiavitù previste dagli artt.600 e 602 c.p., non sono necessariamente solo condizioni di diritto ma possono essere costituite anche da situazioni di fatto.

A siglare definitamente il suddetto orientamento sono di recente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione esprimendo il principio in base al quale "la condizione analoga alla schiavitù non è costituita da una condizione di diritto ma da una situazione di fatto, identica, quanto al peso che ne subisce chi ne sia oggetto, alla condizione materiale dello schiavo, con la sola particolarità che – a differenza di quest’ultimo – la vittima non può perdere lo stato giuridico di uomo libero. Nella specie la nozione non è esauribile nelle sole ipotesi descritte dall’art. 1 della Convenzione Supplementare di Ginevra del 1956 ma si sostanzia altresì tutte le volte in cui sia dato verificare l’esplicazione di una condotta, cui sia ricollegabile l’effetto del totale asservimento d’una persona umana al soggetto responsabile della condotta stessa" (Cass., S.U., sentenza 22 novembre 1996 – 16 gennaio 1997, n. 261).

Il fondamento normativo di tale orientamento è rappresentato dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, rinnovata nella Convenzione di Ginevra del 7 novembre 1956, approvata con legge 20 dicembre 1957 n. 1304, laddove, nell’elenco delle varie attribuzioni che la Convenzione considera "istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù" varie di esse sono condizioni di fatto e non di diritto perché realizzabili senza che alcun atto o fatto normativo le autorizzi.

Da ciò ne dovrebbe conseguire che "condizione analoga alla schiavitù deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile per prassi, tradizione e circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio".

A rafforzamento della propria tesi le Sezioni Unite propongono una interpretazione di chiusura della norma volta a dimostrare che se il termine "condizione analoga" dovesse essere ritenuto espressione di uno status di diritto si perverrebbe ad una interpretazione abrogante dello stesso, in quanto ogni "condizione analoga" dovendo essere apprezzata come condizione di diritto, "dovrebbe definirsi non già analoga al referente, ma in questo immedesimata, ripetendone l’analogo contenuto di schiavitù".

Più corretto appare allora definire e valutare la "condizione analoga alla schiavitù" come "una situazione di fatto, identica, quanto al peso che ne subisce chi ne sia oggetto, alla condizione materiale dello schiavo, con la particolarità che – a differenza di quest’ultimo – la vittima non può perdere lo stato giuridico di uomo libero".

In buona sostanza la S.C. con la sentenza n. 261/97 ha posto in evidenza che se il termine "schiavitù" rappresenta una nozione a stretto contenuto giuridico, eguali connotati di diritto positivo non possono essere attribuiti alla diversa nozione di "condizione analoga alla schiavitù", caratterizzata da "dati o estremi puramente fattuali e non pure di diritto positivo".

Ma già una sentenza della Corte Costituzionale, la n.96 dell’8 Giugno 1981, statuiva che: "La nozione di schiavitù o condizione analoga alla schiavitù intesa come condizione di diritto contemplata negli articoli 600-602 del codice … non teneva conto dell’art.1 della Convenzione di Ginevra 25 settembre 1926 diventata legge interna italiana con r.d. 26 Aprile 1928 n. 1723… e rinnovata nella Convenzione di Ginevra 7 Novembre 1957 approvata con legge 20 dicembre 1957 n. 1304. Nell’elenco delle varie situazioni che la Convenzione considera istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù varie di esse sono situazioni di fatto e non di diritto perché realizzabili senza che nessun atto o fatto normativo le autorizzi".

Se la situazione è questa, non resta che sperare che tutte le corti del nostro Paese si trovino a dover decidere in situazioni similari per permettere al diritto di procedere sulla sua via di civiltà verso un reale Stato di Diritto per tutti (anche per coloro che si trovano costretti in situazioni di schiavitù di fatto!) e che le parole del consigliere comunale di Genova, Roberto Quaglia, pronunciate in Consiglio il 9 giugno 1997, possano essere di monito a tutti (in particolare per coloro che usufruiscono ed incrementano il meretricio!): "La schiavitù in Italia oggi esiste, ma agli utenti finali di questo abominio – coloro per i quali esso viene compiuto – non fa comodo sapere che di schiavitù si tratti. Rovinerebbe magari il loro pubico piacere. La schiavitù moderna si traveste per evitare scrupoli di coscienza a chi faccia uso dei servizi che essa offre".

Davide Caocci

Appendice1

1
Appendice

"Ho paura della strada e di quello che può succedermi,
… a volte prego, ma non troppo,
poi spero che finisca presto"
(Felicia, prostituta nigeriana)

Appendice
La normativa italiana di specie

CODICE PENALE
Riduzione in schiavitù.
Art. 600. Chiunque riduca una persona in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da 5 a 15 anni (9, 10, 604)
Note procedurali :
  • Arresto : obbligatorio in flagranza
  • Fermo di indiziato di delitto : consentito
  • Misure cautelari personali : consentite
  • Autorità giudiziaria competente : corte d’assise
  • Procedibilità : d’ufficio

    Tratta et commercio di schiavi
    Art. 601. Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in posizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da 5 a 20 anni.
    Note procedurali :
  • Arresto : obbligatorio in flagranza
  • Fermo di indiziato di delitto : consentito
  • Misure cautelari personali : consentite
  • Autorità giudiziaria competente : Corte d’assise
  • Procedibilità : d’ufficio

    Alienazione e acquisto di schiavi
    Art. 602. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’art. precedente, aliena o cede una persona che si trovi in stato di schiavitù (600) o in una condizione analoga alla schiavitù, o se ne impossessa o ne fa acquisto o la mantiene nello stato di schiavitù, o nella condizione predetta, è punito con la reclusione da 3 a 12 anni.
    Note procedurali :
  • Arresto : facoltativo in flagranza
  • Fermo di indiziato di delitto : consentito
  • Misure cautelari personali : consentite
  • Autorità giudiziaria competente : Corte d’assise
  • Procedibilità : d’ufficio

    LEGGE DEL 6 MARZO 1998, n. 40
    Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
    Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 marzo 1998, n. 59, S.O.
    Capo III – Disposizioni di carattere umanitario
    16. Soggiorno per motivi di protezione sociale.
    1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (14), o di quelli previsti dall’articolo 380 del Codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio il questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza e integrazione sociale.
    2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo e alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale, ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza ed integrazione sociale sono comunicate al sindaco.
    3. Con il regolamento di attuazione sono stabilite le disposizioni occorrenti per l’affidamento della realizzazione del programma a soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali dell’ente locale e per l’espletamento dei relativi controlli. Con lo stesso regolamento sono individuati i requisiti idonei a garantire la competenza e la capacità di favorire l’assistenza e l’integrazione sociale, nonché la disponibilità di adeguate strutture organizzative dei soggetti predetti.
    4. Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Esso è revocato in caso di interruzione del programma o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal servizio sociale dell’ente locale, o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
    5. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. Qualora, alla scadenza del permesso di soggiorno, l’interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di soggiorno. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi.
    6. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì rilasciato, all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena, anche su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni, allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva, inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale.
    7. L’onere derivante dal presente articolo è valutato in lire 5 miliardi per l’anno 1997 e in lire 10 miliardi annui a decorrere dall’anno 1998.

    DISEGN0 DI LEGGE N°5839
    Misure contro il traffico di persone.
    Presentato il 23 marzo 1999
    ART. 1
    1. Dopo l’articolo 602 del codice penale è inserito il seguente:
    "Art. 602-bis – (traffico di persone) – Chiunque, mediante violenza, minaccia o inganno, costringe o induce una persona a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato, o a trasferirsi all’interno dello stesso, allo scopo di sottoporla a sfruttamento sessuale, ovvero ad altre forme di sfruttamento tali da ridurla in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni"
    1. Nei confronti delle persone esposte a grave et attuale pericolo per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, relativamente ai delitti previsti dagli articoli 600, 601, 602 e 602 bis del codice penale, (…), possono essere adottate delle misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità. (…)

    PROPOSTA DI LEGGE N°5350
    Introduzione dell’art. 601-bis del codice penale recante istituzione del reato di tratta degli esseri umani
    Presentata il 2 novembre 1998
    ART. 1
    1. Dopo l’articolo 601 del codice penale è inserito il seguente articolo:
    "Art. 601 bis – (Tratta degli esseri umani) – Chiunque induce o agevola l’ingresso clandestino di un cittadino proveniente da un Paese terzo ai fini del suo sfruttamento è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni.
    La pena di cui al primo comma è aumentata da un terzo alla metà se la tratta è gestita ai fini dello sfruttamento della prostituzione.
    La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto".
    (…)

  • 2
    Nell’articolo che segue, vengono utilizzate espressioni forti che ripropongono un reale colloquio avuto dall’Autore con una prostituta; si spera di non offendere la sensibilità di nessuno presentando simili verità con il linguaggio della Verità. L’Autore, comunque, se ne scusa anticipatamente.

    3
    Secondo una ricerca presentata dal PARSEC (Associazione di ricerca e intervento sociale in collaborazione con l’Università di Firenze e Caritas Italiana) nel 1997, la presenza di prostitute straniere nel nostro Paese si attesterebbe tra le 19.000 e le 26.000 unità; diverse sono le stime del Comitato per i diritti civili delle prostitute che parla di circa 35.000.

    4
    Cfr. Legge n.75 del 20 febbraio 1958, "Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui".

    5
    Cfr. artt.2082 c. c. e segg. e tutto il Titolo II, Del lavoro nell’impresa, Capo I, Dell’impresa in generale, Libro V, c. c.

    6
    Cfr. Appendice.

    7
    Cfr. Alex Haley, Radici, Rizzoli, 1978.

    8
    Cfr. il sito del Comitato Europeo contro la schiavitù, http://www.ccem-antislavery.org, ricco di materiali ed iniziative.

    9
    Cfr. Appendice.

    10
    Cfr. Giovanna Ollà, Prostituzione: condizione analoga alla cattività. Riduzione in schiavitù? Innovativa sentenza della Corte d’Assise, in sito web dell’Ordine degli Avvocati di Rimini.

    Commenta