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Valzer con Bashir

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L’animazione al servizio della memoria
 
“Valzer con Bashir”, dell’israeliano Ari Folman, è un film che tematizza i meccanismi della memoria: i percorsi attraverso cui la memoria dimentica, recupera, disfa, ricostruisce. Oggetto della rimozione/recupero, in quest’opera, è un “crimine contro l’umanità” al quale il protagonista ha in qualche modo preso parte (quale il pianificato sterminio di civili inermi nel corso di una guerra).
L’uso dell’animazione, che dal punto di vista tecnico permette una grande libertà rappresentativa, nello stesso tempo risponde precisamente a quello che nel film viene affermato: la memoria è creativa.
In questo film, il protagonista (che è lo stesso regista Ari Folman) scava alla ricerca del rimosso, di ciò che – più che aver dimenticato – non ha mai voluto sapere. E che, alla fine, riemerge.
E non appena riemerge l’orrore vero, sullo schermo cessano le immagini animate e compaiono, raggelanti, le immagini vere, documentali, storiche, del genocidio di Sabra e Chatila.
 
L’uso del cartoon, si diceva, permette una grande libertà rappresentativa: infatti, esso permette la ricostruzione più precisa, o inventiva (anche mnemonicamente più precisa…o inventiva) di qualsiasi evento. Inoltre, l’animazione consente di mettere in immagini effetti e suggestioni visive (il film non lesina sulle vere e proprie visioni, come la donna gigante che esce dal mare), che altrimenti non sarebbero possibili (e non solo per motivi di costo) con un film “messo in scena” in maniera tradizionale.
A questo proposito, vale la pena considerare come il film sia stato animato a partire dal montato di una pellicola composta da scene girate su di un set improvvisato: per intenderci, il regista ha voluto che il lavoro di animazione fosse preceduto da “disegni preparatori” costituiti, in questo caso, da riprese nel senso tradizionale del termine.
Tutto questo da un punto di vista tecnico. Quanto alla scelta singolare dell’uso dell’animazione (che regala alla pellicola la sua maggiore originalità) occorre però notare come il valore aggiunto del film risieda principalmente nel fatto che usare disegni animati per un tema, un’ambientazione così impegnati e tanto drammatici, ripulisce totalmente lo sguardo, costringe lo spettatore a riazzerare i propri codici visivi abituali e a ricodificare quanto viene visto secondo parametri nuovi, “vergini”: non influenzati da quanto appartiene al “già visto”. In questo risiede l’innovazione e, soprattutto, la vera forza del film, oltre che nella “fucilata” finale tenuta in serbo per lo spettatore: le immagini “vere” di repertorio entrano nel film con una potenza inimmaginabile se il film fosse stato sin lì tutto in immagini “reali” e non disegnate. A questo riguardo, un’ultima precisazione per discostarci da quanti possano aver visto una sorta di “ruffianeria” nel passaggio ad immagini tanto crude e dall’impatto tanto forte emotivamente. Come si diceva, per noi è possibile, se non addirittura necessario, rileggere tutto quanto il film, con il suo faticoso percorso di recupero della memoria, a partire da quel passaggio finale ad immagini reali, imprevedibile a una prima visione: quel passaggio rappresenta la saldatura avvenuta a livello di memoria, il recupero definitivo, la realtà che esplode con tutta la sua potenza dentro al ricordo. Senza trascurare nemmeno il fatto che, appartenendo quelle immagini a una memoria che non è più del protagonista, ma è di tutti, il finale allarga il discorso dalla memoria individuale a quella collettiva, e rende esplicito che il percorso di recupero compiuto dal protagonista ci riguardi tutti. Anche se a livelli diversi a seconda dell’individuo, infatti, questo film ci fa riflettere sul fatto che chiunque possa avere un passato rimosso ancora da recuperare, e con il quale ancora iniziare a fare i conti, se vuole accedere a una dimensione più autentica del proprio vissuto e del proprio essere.

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