(Isabella Santacroce)
Più che raccontare una storia Revolver spara addosso al lettore una serie infinita di immagini, scandite al ritmo sincopato di un linguaggio che ha oramai abbandonato la sperimentazione per concentrarsi esclusivamente sul sensazionalismo (gratuitamente volgare). Istantanee che sono frammenti più o meno squallidi di un mondo che non ha un nome né un centro; ma che è tutta una grande periferia di quell’alienazione anni novanta che evidentemente la scrittrice romagnola, qui al suo quinto romanzo, non è ancora riuscita a superare. L’orrore di esistere è sicuramente grande nella società di oggi e la Santacroce, a tratti, riesce a rappresentarlo ottimamente attraverso una galleria di personaggi degni del miglior David Lynch (lui si, vero maestro del surrealismo). Si passa così dalle scimmiette da camera, alle galline che ridono, dalle tentazioni pedofile ai confidenti muniti di arti meccanici. Ma più che a veri e propri mostri del quotidiano tutte queste figure finiscono il più delle volte, proprio perché sovraccaricate di significati, con il ridursi a semplici macchiette. Esattamente come Revolver, un romanzo che minaccia come un arma ma che in conclusione si scopre caricato a salve.
Revolver
Da sempre alla vita di Angelica manca tutto. Una famiglia, fuggita all’estero per liberarsi di lei, un lavoro decente e la dignità di provare a sopravvivere in tutto questo. La sua esistenza scorre quindi, devastante, tra ciò che la vita le ha riservato. Il sesso promiscuo e frigido, usato quasi come una droga per anestetizzare, una zia paralitica da accudire più con rabbia che con compassione, ed il lavoro in una fabbrica opprimente dove incollare tutto il giorno occhi di plastica alle bambole. Anche alla vita di "Veronica-culo-da-favola" manca tutto. Ed allora è quasi inevitabile che queste due esistenze maledette entrino in contatto, si sfiorino per un istante, e provino a darsi una spinta per ricominciare altrove. Angelica lo fa sposando Gianmaria, un borghese piccolo piccolo, vittima delle televendite e di una madre non meno dittatrice di certi destini. Anche a Veronica tocca in sorte un marito insano, un magnaccia iperviolento che la costringe nottetempo dentro un armadio. E proprio del buio di quel ripostiglio si nutre l’amicizia tra le due "star numero uno della sofferenza". Un velo oscuro dietro al quale mostrare favole surreali ed oltre il quale fingere di crederle vere. Perché i personaggi della Santacroce sono da sempre così, obbligati a non diventare adulti e a crogiolarsi nella decadenza con un vittimismo che alle volte diventa perfino irritante.
Pietro Paolo Bortoloso