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Una terribile eredità – Gordiano Lupi

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Gordiano Lupi ha un tale legame con Cuba e una conoscenza così profonda del paese, della sua vita quotidiana e delle sue peculiarità che, in molti suoi scritti, è impossibile seguire “solo” la storia, senza rimanere invischiati e stupiti dalla cura e dal dettaglio dell’ambientazione. E “Una terribile eredità” non fa eccezione. Il protagonista – che nella prima parte di questo romanzo breve viene spedito in Angola, strappato dalla moglie in attesa del loro primo figlio – è in qualche modo una persona normale e come tale, lontano da casa, spaventato dall’orrore di una guerra che non sente sua, filtra con la sua cultura, con i suoi ricordi, con le sue emozioni, tutto ciò che lo circonda. Raccontandoci quindi, sì, delle sparatorie e degli agguati, come delle prostitute che gli “alleviano” la pena del suo mondo lontano, ma facendolo mentre ci ricorda dei liquori del suo paese, del cibo che non ha a disposizione, di ciò che gli piace e che sa separato da un oceano, della sua terra lontana. E così, in questo iniziale racconto di guerra, in cui molti capitoli, memorie raccontate come in un diario, spesso sono principalmente immagini a frammenti, tanto che l’ordine di molte vicende potrebbe non essere mescolato senza cambiarne l’impatto, la guerra stessa non è che un dipinto sfumato sullo sfondo – almeno fino alla missione nel deserto. Un dipinto sul quale si muovono, più a fuoco, Cuba e l’essere cubano, e il principio dell’orrore che l’autore vuole sviluppare nella seconda parte della storia.
Una sorta di dissociazione che, innestata nella tecnica del continuo commentare della propria non-pazzia da parte del protagonista, rinchiuso, in un momento temporale successivo, in un manicomio, rende quest’opera in qualche modo “classica”, e ricca di un retrogusto noto, che ne fa risaltare il ritmo lento e la narrazione alterna.
Il secondo momento del romanzo, più dinamico, ambientato in patria, ricama sugli elementi iniziali, mostrando quando si iniziava ad intuire, in un crescendo in qualche modo noir, carico di una psicologia più esplicita e dolorosa, e meno malinconica. E anche qui, nonostante il progredire dell’azione, l’ambientazione è spesso così centrale rispetto a ciò che capita che si capisce che l’architettura non ha nulla di casuale, ma tutto è costruito con arte, e che le vicende (ricordi anche in questo caso, ordinati ma non tutti strettamente contigui) sono sviluppate lungo una geometria che è anche geografica, e che sarebbe arduo immaginare incastrata altrove.
Il finale, poi, un poco prevedibile, non fosse altro che per la scelta del titolo, chiude in modo esatto una bella prova di Lupi, che non credo scontenterà nessuno dei suoi tanti lettori affezionati.
Che dire ancora? Un racconto lungo – scritto come romanzo – che dimostra una capacità, una tecnica e uno stile propria di chi si cimenta ormai da anni nel genere e nelle sue contaminazioni, proposto da una casa editrice con una scuderia di nomi di tutto rispetto, che esce con edizioni compatte e curate.

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