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Sono un trentenne genovese trapiantato a Roma, dove esercito la professione di ingegnere e coltivo i miei due vizi: la musica e la poesia.
Per quanto concerne la poesia, in particolare, la Prospettiva Editrice sta per pubblicare la mia prima raccolta, "La Persistenza delle cose", che includerà anche le liriche apparse su Kult Underground. Il lavoro prende spunto da un’indagine sulle relazioni tra l’uomo e gli oggetti e tra l’uomo e gli ambienti/paesaggi che lo circondano, per arrivare poi a cristallizzare una riflessione sul senso della vita. In un gioco di continue dissolvenze di paesaggi geografici in paesaggi dell’anima, gli ambienti e gli oggetti (spesso insignificanti ma eterni) costituiscono una presenza sinistra e l’uomo vi si aggira come un’ombra evanescente che – pur plasmandoli e piegandoli alla propria volontà – avverte la struggente consapevolezza di non potervi in alcun modo sopravvivere. D’altro canto l’intuizione a tratti rivela, anche se solo per un istante, una presenza trascendente nel quotidiano, una spiegazione all’apparente irrazionalità che ci circonda.
Come nascono le tue poesie? Sono autobiografiche, scritte di getto, oppure molto meditate?
Di getto, ma senza fretta. Mi piace che le parole affiorino come il sale in quelle pozze d’acqua marina che si formano sugli scogli e che vengono prosciugate dal sole. E’ una sorta di processo di distillazione in cui le idee e le immagini sono sfrondate di tutto quanto è superfluo e ridotte alla nuda essenza.
La forma è colloquiale, talvolta quasi dimessa, per la volontà di non imprigionare le parole e le immagini in una metrica di stampo tradizionale, che ho adottato solo in rari casi, o in un linguaggio diverso da quello della lingua parlata. In netto contrasto con la mia attività di autore di canzoni, in cui la parola deve necessariamente essere già di per sè canto, nelle poesie sono pochissime le concessioni alla musicalità del verso.
Le poesie che compaiono ne "La Persistenza delle Cose" (e in particolar modo quelle della sezione "Diario Americano") sono essenzialmente autobiografiche e nascono da suggestioni estemporanee, spesso evocate dai luoghi. Esistono luoghi apparentemente ordinari, luoghi di confine tra fisico e meta-fisico, che creano una sorta di "geografia sentimentale" in cui l’idea di tempo e di spazio si dilata sino a farsi indefinita. In questi luoghi il sentimento diventa poesia.
C’è qualche autore a cui ti ispiri, qualche modello?
Mi piacciono Eugenio Montale e Fabrizio De Andrè, ma l’ispirazione è un sentimento che non si può prendere in prestito. Non va nemmeno cercata: bisogna saper aspettare ed è lei a cercare noi…
Cosa pensi della rivista?
La poesia è un’"arte povera" e va difesa. Kult ha il grande merito di dare voce a molti giovani autori che probabilmente non troverebbero spazio nell’editoria tradizionale che risponde alle leggi del mercato, non sempre allineate con quelle della qualità.
Intervista a Alessandro Hellmann
Alessandro Helmann