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Zwan: Mary Star Of The Sea

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Zwan
Mary Star Of The Sea
(Martha’s Music, 2003)

Ma guardate un po’ chi si rivede: William Corgan jr., ovvero mister Smashing Pumpkins! Il suo autoimposto esilio dalle scene non è durato poi così a lungo: prendiamo dunque atto del fatto che Billy è venuto a patti con le alienanti regole del mondo dello spettacolo ed ha preferito ritornare in sella, dando nuovamente sfogo discografico alla sua consueta, travolgente ispirazione.
Per il grande ritorno Billy ha messo su un gruppo nuovo di zecca, gli Zwan. La composizione di tale ensemble, che vede fra nella propria line-up anche l’altro ex-Pumpkin Billy Chamberlin, stimola interessanti riflessioni sulle reali motivazioni del leader. Così come sono adesso, gli Zwan paiono infatti essere nati specificamente per consentire a Corgan di lavorare senza James Iha: Chamberlin infatti è ancora con lui, e risulta difficile credere che l’ultima arrivata tra le Zucche (Melissa auf der Maur, tra l’altro una ragazza che nessuno in pieno possesso delle proprie facoltà mentali farebbe alcunché per allontanare da sé…) rappresentasse una seccatura per il loro indiscusso maestro di cerimonie. Insomma, la fantascientifica ipotesi di lavoro che si fa strada è quella di un Corgan il quale, dopo aver disfatto la sua prima creatura, ne consegue finalmente l’opportunità di comporre musica in libertà dall’influenza (così temibile?) del chitarrista nippo-americano: un’ipotesi bislacca, ma anche un buon esempio di esegesi psicoanalitica della line-up
Chiusa questa parentesi, veniamo all’album vero e proprio. Una considerazione si impone subito: fin dalla prima traccia, Lyric, appare chiaro che da Machina/The Machines Of God a qui il passo è stato breve ed indolore. Il mood che si respira a pieni polmoni è visceralmente tardo-pumpkiniano, per quanto depurato dalla saturazione dei suoni e dal travaglio creativo che contribuivano a rendere il succitato lavoro (nonché il gemello eterozigote Machina II – The Friends & Enemies Of Modern Music) abbastanza impegnativo per le orecchie. All’altezza di Settle Down, e siamo appena al secondo brano, la sensazione si fa più definita; Declarations Of Faith non fa che focalizzarla ulteriormente, sicché fino a qui è parso di ascoltare qualcosa di analogo ad un ipotetico terzo capitolo della serie.
Honestly è stato opportunamente scelto come primo singolo ed accompagnato da un video solare, che pare trasudare ottimismo e buoni sentimenti. Ottima scelta, perché la canzone in questione rivernicia le sonorità abituali con una tonalità assai più vivida e scintillante: l’impronta malinconica, marchio di fabbrica di sempre dei Pumpkins, lascia qui il posto ad una sorta di benvenuta pace dei sensi.
Gli fa seguito El Sol, primo di tre traditionals riarrangiati per l’occasione (gli altri saranno Ride a Black Swan, tutto sommato senza guizzi; e Jesus, I, proposta in medley con la title-track) e trasformati in pezzi tranquillamente spacciabili per originali di Billy. Proprio El Sol, in particolare, ha un giro che non può fare a meno di ricordare da (troppo?) vicino Perfect, uno dei brani trainanti di Adore.
Of A Broken Heart ci riporta ad un clima più introspettivo e meditabondo, con Corgan impegnato a riassumerci in due battute il senso della propria vita e prevederne il corso futuro. Si tratta di una gran bella ballata, dal sapore opportunamente amarognolo, ideale per ricordarci che razza di artista sia il chicagoano. Heartsong poi conferma che non si è trattato di un episodio isolato: pur muovendosi dalle parti di Disarm non ne replica l’esasperata carica drammatica, alla quale sostituisce invece un lirismo delicato e assai meno retorico.
Per Endless Summer tornano a scaldarsi le chitarre elettriche: dietro al titolo beachboysiano si nasconde infatti un brano accattivante, non eccessivamente dissimile da Stand Inside Your Love ma più caldo e lineare nella ritmica.
La successiva coppia, composta da Baby Let’s Rock! e Yeah!, rappresenta al meglio il mood scanzonato e liberatorio degnamente inaugurato poco prima da Honestly: se di rinascita si può e si deve parlare, sono questi i brani che meglio degli altri paiono indicare le coordinate del prepotente ritorno in quota di Billy.
Quasi in chiusura del lavoro gli Zwan piazzano i quattordici minuti di Jesus, I / Mary Star Of The Sea, al cospetto dei quali è quasi inevitabile proporre un paragone con Starla e soprattutto con Porcelina Of The Vast Oceans. Pennellate strumentali intrise di dolce psichedelia si alternano a brusche accelerazioni, andando a comporre il brano più lungo, complesso ed ambizioso di quest’esordio. Lo spirito dei migliori Smashing Pumpkins aleggia compiacente lungo tutta la traccia…
I saluti finali sono affidati all’insolita Come With Me, che si avvale di un’armonica perlomeno inusuale in ambito corganiano: il risultato è un’atmosfera leggiadra, piacevole e rilassata. Perfetta, in altre parole, per illustrare il nuovo signor Corgan.
Devo ammettere di essere rimasto sorpreso in positivo da questo album. Partendo dal triste presupposto che la carriera di Billy fosse in caduta quasi libera, seppure non rovinosa, dall’uscita di Mellon Collie & The Infinite Sadness in poi, disperavo che i due anni di pausa dal pasticciato Machina II fossero stati sufficienti ad invertire il trend. Mi devo invece ricredere, e ne sono oltremodo contento. Quasi come se si fosse sottoposto ad un lungo bagno purificatore, Corgan si è ripresentato in grande forma. Lasciatosi alle spalle certi sterili intellettualismi, certe atmosfere inutilmente cariche e drammatiche e certi noiosi manierismi, è tornato a fare semplicemente qualcosa in cui ha pochi rivali: scrivere canzoni.
Spero perdonerete il fatto che una fuggevole citazione del resto del gruppo (assieme a Corgan e Chamberlin ci sono Matt Sweeney, chitarra e voce; Paz Lenchantin, basso e voce; David Pajo, chitarra) arrivi solo a questo punto, ma quando c’è di mezzo qualcuno del calibro di Billy le cose vanno sempre a finire così… Uniamoci allora idealmente nel dare il bentornato al grande guru rock degli anni ’90, ed auguriamogli di attraversare il presente decennio con una verve pari a quella mostrata ai bei tempi andati: il mondo della musica ne guadagnerebbe parecchio, ve lo assicuro.

Fabrizio Claudio Marcon

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