L’occultista si guardò intorno smarrito. L’uomo che lo fronteggiava era forse la creatura più letale che avesse mai calcato li suolo d’Europa, forse del Mondo. Come dirgli di no? Come convincerlo della irrealizzabilità di quanto chiedeva?
L’inquietante figura di Heinrich Himmler, vestita della lugubre uniforme nera delle SS, si stagliava sullo sfondo dell’alta finestra, aperta sulla parete sud della biblioteca del castello di Wewelsburg. Non bisognava lasciarsi ingannare dall’apparente sciatteria di quello che si sarebbe detto un oscuro burocrate. Dietro gli spessi occhiali da miope scintillavano due occhietti spietati, un tempo resi vivi dal fuoco di una contorta intelligenza, ma ormai specchio di una delirante follia.
"Se ho ben capito, Herr Kraft, esprimete perplessità sull’esperimento che tanto sta a cuore al nostro amato Fùhrer!" esclamò il gerarca con voce stridula.
"No… No… non è così!" si affrettò a precisare lo studioso "Mi preoccupo soltanto della buona riuscita dell’incantesimo. Spero che gli oggetti arrivati dal Tibet siano quelli giusti. Gli effetti dell’Onda del Destino potrebbero non corrispondere…"
"Non vi fidate del Professor Schaefer?" lo interruppe bruscamente Himmler "Fate male! E’ uomo di mia fiducia. Mi ha garantito che i talismani hanno il potere di aprire alle armi tedesche le porte dell’Est e di assicurare al Reich il suo Lebensraum, lo spazio vitale! Scavalcheremo le orde comuniste e piomberemo nel cuore del loro impero maledetto!"
"I Sacri Testi Runici affermano che solo i guerrieri convinti della vittoria possono essere trasportati dall’Onda del Destino…" azzardò l’occultista "… e secondo alcuni illustri studiosi, non si può esser certi dell’arrivo alla destinazione desiderata…"
"Basta! Voi osate dubitare del morale e della volontà di vittoria dei guerrieri ariani?!" strillò il gerarca.
"Naturalmente no… Herr Himmler. E’ tutto pronto per la cerimonia?"
"Certamente. Si svolgerà a mezzanotte. Saremo presenti io ed altri undici alti ufficiali delle SS, tutti affiliati alla Società Thule!"
"Vorrebbe usare un sortilegio per scavalcare le linee russe e far materializzare un’armata nel centro di Mosca… dev’essere impazzito!" pensò Kraft, ma ebbe il buon senso di tenere per se questa considerazione.
Poco dopo la mezzanotte
L’onda invisibile, nata nel cuore dell’Europa, si propagò verso oriente. Non poteva trascinare con se coloro che avevano già preso coscienza della sconfitta, ma portò via quelli che ancora credevano. Gli illusi ed i fanatici che si aggrappavano ostinatamente ad un assurdo ideale di supremazia guerriera vennero trasportati altrove. Molto lontano…
L’alba del mattino successivo, in un altro luogo
L’alba sulle pianure dell’est aveva sempre qualcosa d’irreale, almeno così sembrava al Colonnello delle SS Hermann Bach, ma la luce che si andava diffondendo ad oriente, quel mattino, sembrava più strana del solito.
L’ufficiale si affacciò alla torretta del malridotto Panzer IV al suo comando. Si guardò intorno per controllare i veicoli costituenti il reparto e soffocò a stento un’imprecazione. "Cominciamo male…" rimuginò stizzito "…anche stanotte qualcuno ha tagliato la corda. Stavolta è stato quel bastardo di Braun con il suo equipaggio di disfattisti".
Ormai anche tra le SS erano in pochi a credere alla vittoria. Nelle ultime settimane molti si erano sbandati ed erano scappati verso occidente, diretti a casa.
"Lindeman, accidenti a te, ci vuole ancora molto per quel dannato caffè?" gridò al caporale che si affaccendava attorno ad uno stentato fuocherello, acceso di fianco al cingolato.
"Non c’è di che preoccuparsi, signore. Ancora un minuto e sarà servito!"
L’ufficiale guardò sconsolato gli altri sei carri armati che con il suo costituivano ciò che rimaneva del 6° reggimento corazzato della Divisione Grossdeutschland. Gli uomini cercavano di sgranchirsi le gambe intorno ai mezzi prima di risalire a bordo per eseguire l’ordine più strano mai impartito all’unità.
"Puntare direttamente verso Lublino, che stupidaggine… " pensò il colonnello "… sono mesi che i rossi ci respingono verso occidente. Contrattaccare adesso, con i reparti stremati e con gli organici ridotti, sarebbe un suicidio Chissà chi è l’idiota dell’alto comando che ha avuto la brillante idea!"
Ma il dovere è il dovere ed una SS non discuteva mai gli ordini. Quindi, allo scoccare dell’ora stabilita, Bach diede ordine di mettersi in marcia. I carristi montarono a bordo dei malconci Panzer IV ed avviarono i motori. I corazzati si misero in moto sferragliando.
"Capi carro all’interno delle torrette!" urlò alla radio di bordo "Dobbiamo attenderci un violento contrasto da parte dei sovietici!"
Ma non ci fu alcun contrasto. I sette carri avanzarono per ore su una pianura polverosa, troppo polverosa per il mese di Gennaio. Dalla sconfinata superficie emergevano qua e là astruse guglie di arenaria rossa.
"Che diavolo succede?" si chiese il colonnello, non riconoscendo il territorio che avrebbe dovuto essergli familiare. Fece fermare i mezzi e smontare il suo aiutante, un capitano del quale si fidava ciecamente. Lo trasse in disparte: "Tobias, non dovrebbero esserci delle colline tra noi e Lublino?"
"Non ho idea di dove siamo, colonnello…" rispose il veterano "…ma non sembra di essere neanche in Polonia. Ma chi ci ha spedito qui? E come faremo a proseguire se non verremo riforniti di carburante?"
Perplessi, risalirono sui corazzati e ripresero il cammino.
Dopo un po’ avvistarono una colonna costituita da una mezza dozzina di semicingolati Hanomag che arrancava verso est. Avrebbero dovuto sentirsi rincuorati vedendo dei mezzi tedeschi, ma i veicoli erano pochi ed in pessime condizioni. "La nostra è un’armata di straccioni…" pensò sconsolato Bach. I blindati, comunque, si allontanarono rapidamente. Al colonnello non sarebbe dispiaciuto raggiungerli, ma i vecchi Panzer IV erano molto meno veloci degli Hanomag che sparirono in una nuvola di polvere.
La marcia continuò sotto il sole sempre più alto, su quella piatta distesa. A volte bisognava compiere delle piccole deviazioni per aggirare gli affioramenti di arenaria. Questi ultimi erano davvero bizzarri, scolpiti com’erano dall’incessante azione del vento. Le loro forme irreali contribuivano a dare all’ambiente una palpabile atmosfera d’estraneità.
L’incrollabile fede di Bach nel destino luminoso del Reich, già messa a dura prova da mesi di ritirate, cominciava seriamente ad incrinarsi.
"Dove siamo?" continuava a ripetersi "Questa non è la Polonia che conosco…"
Verso mezzogiorno videro volteggiare qualcosa ad alta quota.
Il colonnello si fece passare un binocolo e puntò lo strumento verso il cielo.
Alcuni draghi volavano in circolo sulla verticale della piccola colonna.
Ad est sorgeva un grande sole rosso, compagno di quello giallo allo zenit.
Enrico Di Stefano
Lebensraum
Castello di Wewelsburg, Westfalia, 12 Gennaio 1945