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L’arena

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L’arena

Il samurai e il mostro erano l’uno di fronte all’altro, immobili a dieci dodici metri di distanza; il mostro era ferito, il suo braccio sinistro sanguinava paurosamente e il perenne ghigno della maschera del samurai non faceva nient’altro che irritarlo. Ormai era quasi finita, decise per un attacco frontale; cromo che schizzava alla velocità della luce, si scagliò contro il samurai con tutta la forza che gli rimaneva. Il samurai, immobile, sguainò dolcemente la spada, ottanta centimetri di luce che con un rapido movimento si abbatterono contro il mostro, che cadde tranciato in due metà.
Lance entro in quello squallido Bar di Chiba che già stavano portando via il cadavere del controllore del mostro.
– Col Feedback…- pensò, e si diresse verso il bancone. Quel bar, squallido, pieno zeppo di ologrammi monocromatici che danzavano sotto le luci al neon che, ormai consumate dagli anni, lasciavano il luogo in una pallida penombra, lo frequentava prima ancora di diventare un combattente a pagamento.
– Ancora vivo, Bred? – disse con una voce tra il sarcastico e l’esaltato. Un omuncolo, Lance aveva sempre pensato più grasso che alto, gli rispose con un’occhiataccia da dietro il bancone. Quei suoi occhi, quasi sempre inespressivi, Lance sapeva che vedevano tutto quello che avveniva in quel baretto di Chiba City, lo sapeva.
– Si dice in giro che questa sia la tua serata, la grande serata, uomo.-
– Se così si dice in giro…- buttò giù una linker, stimolante dei centri nervosi: quella sera sarebbe dovuto essere il più veloce possibile. – Ad ogni modo, si, sta sera si combatte per l’onore e i soldi…-
– E col Feedback, uomo. Cristo, ti conosco da quando avevi 15 anni,
Lance, questa volta rischi davvero di rimanerci. Non è come le altre volte, non è che perde chi finisce l’energia che c’è sul monitor, sta volta vince chi ammazza per primo quel altro… –
– Stai tranquillo, vecchio. Guarda, ho anche potenziato il collegamento con dei fili in oro… – Spostò un po’ dei capelli che coprivano il dispositivo di input che Lance aveva alla base del cranio, ed effettivamente avevano fatto un ottimo lavoro. In quel momento gli venne in mente quel suo amico nel giro dei combattimenti aerei che gli aveva tanto rotto i coglioni sui filamenti in oro. C’era da dire che però funzionavano, e anche molto bene. – Non sai quanto c’ho speso… – Fece per fare una mezza risata, ma poi si fermò.
– Io t’ho avvertito, uomo. Tu non hai visto il samurai. Tu non l’hai visto…- in quel momento l’insegna al neon fece capire a Lance che era il suo turno.
– Augurami buona fortuna, vecchio –
– Ne avrai bisogno di sicuro…-
Lance si avvicino all’arena passando tra tutto il pubblico di esaltati urlanti: li detestava, quei ricchi che venivano li per vedere due poveracci che giocavano ad ammazzarsi per il pane, ma soprattutto detestava il fatto che era come se lui stesso di fosse venduto a loro.
Lasciando perdere il ribrezzo si sedette. Davanti a lui c’era il samurai: Probabilmente giapponese, qualche gene indiano forse, pelata da bonzo e baffetti all’orientale, ben vestito, – un ex yakuza -, concluse, – pericoloso, molto pericoloso -. La cosa che lo sconvolgeva di più, oltre al fatto che questo ex-yakuza fosse ancora vivo, era il suo sguardo: non capiva se ostentava superiorità o era felice di combattere e basta.

Entrarono. Il contraccolpo dell’entrata gli diede un attimo le vertigini. In pochi secondi vide lo scenario scelto: presumibilmente il solito città post guerra atomica, disabitata e pronta per essere ulteriormente distrutta. Si controllò: amava guardare gli artigli retrattili sulla sua mano, ma soprattutto amava la sua rappresentazione grafica in generale: c’aveva messo dei mesi per programmarla ed ora era quasi indistruttibile. E poi c’erano i riflessi.
Poi vide da lontano il samurai. Presumibilmente più alto di lui, in avvicinamento.
Da come si muoveva non era ne sotto linker, ne aveva un gran input. Si fece quasi una mezza risata. Poi arrivo il primo colpo. Nella stanza
Lance si piegò in due, lo stomaco che urlava. Sulla faccia del ex-yakuza si dipinse un mezzo sorriso. Non la aveva visto nemmeno muoversi. Era sempre li, davanti a lui, maschera di morte che ghignava alle sue spalle. E non ebbe pietà. Altri colpi, veloci e potenti.
Lance era a terra, la folla che esultava. Si costrinse ad usare il power pack: erano mesi che aspettava l’occasione di provarlo e, ora come ora, era la sua unica possibilità di salvezza. Al comando inject, una quantità incredibile di linker e di beta/anfetamina inizio ad entrare in circolazione, calore bianco che sentiva fino nelle ossa.
Era di nuovo in gara. Stava sanguinando, ma non sentiva dolore, non sentiva neanche la folla. – Cerchiamo di fregarlo – pensò e correndo si diresse verso il palazzo che gli sembrava essere il più stabile.
Salì fino all’ultimo piano, calcolando il numero dei piani e col software di gestione giunse alla conclusione che, gettandosi giù dall’ultimo piano, avrebbe impiegato 18 secondi a schiantarsi. Il samurai era dietro di lui, e sapeva che non l’avrebbe mollato. Intanto
Lance iniziò a caricare il laser alla massima potenza.
– Vediamo se hai del fegato – e si caccio giù.
5 secondi, si guardò indietro, il samurai stava per saltare.
10 secondi, il samurai era dietro di lui.
13 secondi, Lance sfoderò le lame dalla mano.
16 secondi, conficcò la mano nel palazzo. Uno strattone, molto peso.
Dolore, la spalla si era probabilmente lussata. Era al 2 piano.
Intanto il samurai stava cadendo.
– sei fottuto, bello mio – Penso Lance, e armò il laser che era alla massima potenza. il samurai era sopra di lui, ormai. Si sporse. Fuoco. Il lampo di luce gli impedì di vedere cosa stava succedendo, ma era convinto che ce l’aveva fatta. Il samurai invece non ne era affatto convinto. Intuendo la manovra, si era salvato agganciandosi colla spada un piano prima, scansando di poco il raggio laser e catapultandosi dentro al 3 piano.
Sfondando il pavimento si trovò di nuovo faccia a faccia con Lance, che passato l’effetto del power pack e consumata tutta l’energia per il laser, giaceva sul pavimento ansimando. Estrasse la spada. Lance lo guardò quasi con felicità: in fin dei conti era bello morire da eroi.
Un breve lampo e l’immagine del samurai scomparve. Si era scollegato.
Lance, aveva vinto, in un modo o nell’altro. Si scollegò anche lui.
L’ex yakuza se ne stava andando, ma Lance lo chiamò lo stesso.
– Perchè? – disse.
Si voltò sorridendo – Semplicemente, non hai ancora la maturità per battermi, ma ci rincontreremo, un giorno. E’ una promessa.-
E se ne andò tra la folla.

Federico Mori

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