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Vittoria e il Ragioniere

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Vittoria e il Ragioniere

Come tutte le mattine l’uomo uscì dal portone dell’anonimo palazzone
IACP alle 7 e trenta in punto. Il bus sarebbe passato di lì a un quarto d’ora.
Giusto il tempo per un cappuccino, un cornetto ed una scorsa al
Carlino.
Il rito si svolgeva sempre allo stesso bar da anni, fin da prima che il vecchio gestore morisse di un colpo apoplettico dietro la macchina del caffè.
Gli era subentrata una donna, un tipo indipendente che faceva tutto da sola, dalle 6 alle 20 e trenta e senza mai abbandonare il sorriso.
Prima la chiusura era a mezzanotte, ma Vittoria aveva una figlia da accudire.
Il marito? Vittima del fumo! No, niente carcinoma del polmone.
Solamente un grosso stronzo, nel senso che era uscito per comperare le sigarette………. e non era più rientrato.
Così aveva cambiato orario, gettando nella più nera disperazione i vecchietti che soggiornavano in permanenza ai tavolini in formica verdina.
Ora i vecchi arredi, a cominciare dal grande specchio molato del Caffè
Sandrolini, brillavano di una dignità nuova.

Equiseto Bianchi( ma dava ad intendere di chiamarsi Sandro, come il
Grande Mazzola) ragioniere del Pier Crescenzi, era uomo abitudinario e non molto ciarliero.
A dir il vero lui aveva gradito parecchio il cambiamento, anche perchè(ma non solo!) con i vecchietti se n’era andato un persistente afrore di sigaro toscano presente nell’angusto locale fin dalle origini.
Quella mattina il bar era deserto e Bianchi in cuor suo se ne compiacque: per un po’ si sarebbe gustato in esclusiva il suo spettacolo preferito, le più belle mammelle della Bolognina, alte e di attaccatura larga, cosa rarissima a trovarsi. Quelle della proprietaria del bar.
Per far ciò sfruttava lo specchio, fingendo di meditare sulle boiate del giornale.
Questo, più della colazione, restituiva al magro ragioniere la serenità d’animo necessaria per affrontare un altro giorno di lavoro, dietro alla vecchia scrivania di un’impresa di pompe funebri.
Oltre il vetro divisorio un continuo viavai di parenti dalla faccia lunga e vedove in gramaglie che per fortuna non era compito suo accogliere.
Serio e composto, pilastro dell’Ufficio Contabilità’, indossava solo completi grigi. Ne aveva tre, di differente pesantezza, ma tutti rigorosamente grigi.
Fin dal giorno dell’assunzione, venticinque anni prima, aveva ritenuto giusto conformarsi all’atmosfera austera dell’ambiente con un colore che non stridesse con lo stato d’animo dei visitatori.

Ma se l’aspetto esteriore era così opaco e conformista, dentro Bianchi era tutt’altra cosa.
Capacità d’osservazione, senso dell’umorismo e una discreta cultura costruita con anni di buone letture avevano scavato profondamente nel suo animo ma non erano riuscite a scalfirne l’innata riservatezza.
Del resto non glielo diceva sempre anche suo padre? :” Guarda, osserva tutto ma parla poco: la persona silenziosa sembra sempre più intelligente di quanto non sia in realtà. Ricordatelo!”
Così, anche se non si considerava un cretino, aveva preso l’abitudine di parlare poco e di guardare molto ma senza parere, …………… specialmente l’ondeggiar indolente di un seno o la gonna tesa dal rapido un-due, un-due delle cosce della commessa del primo piano.

Eeeh sì, perchè ad Equiseto, che doveva quel bizzarro nome al padre botanico dilettante, gli ormoni non difettavano davvero.
La curva di un fianco, le linee sinuose di due glutei appena intravisti, mirabile opera divina di armonia e dolce perfezione, avevano il potere di scatenare in lui tempeste di libidine, furori erotici cui non sapeva nè voleva sottrarsi. Nei giorni in cui certe ghiandole si mostravano particolarmente vivaci, anche i tratti morbidi di certe automobili gli richiamavano alla mente immagini femminili; subito un ben noto calore si diffondeva all’inguine e si riaccendeva il turbine.

Il problema più grosso era stato dissimulare certi improvvisi fenomeni diciamo cosi “meccanici” che sarebbero risultati, specialmente sul posto di lavoro, alquanto imbarazzanti.
Infatti, altra cosa che non vi ho detto, Madre Natura lo ha dotato di un gran naso, di dita lunghissime e di piedini numero 48.
Indizi questi, e chi se ne intende lo sa bene, che presumibilmente anche qualcos’altro è di dimensioni altrettanto imponenti.
E difatti così era: una quantità di centimetri e una borsa che sarebbe bastata anche per la spesa settimanale all’Euromercato.
Roba da far vergognare perfino Rocco Siffredi, re dei porno-attori!
Giorni e giorni di training estenuante, simile a quello che consente a sacerdoti Tibetani semi-nudi di ignorare il freddo, fecero il miracolo.
Ciò che neppure uno slip rinforzato avrebbe mai potuto frenare, potè la forza della mente! Finalmente era riuscito a relegare in ambito esclusivamente cerebrale il suo arrapamento, fosse anche il più furioso e coinvolgente.
Ora poteva lasciare correre la fantasia a briglia sciolta, libera di correre dietro ad un culetto a mandolino e osservare impassibile una studentessa sedicenne abbigliata come una battona dei viali. Si divertiva anzi ad assumere una espressione serafica e distante mentre dentro un vulcano segreto buttava fuoco e lapilli.

Un paio d’anni prima aveva avuto una storia con una bibliotecaria impiegata presso un Centro Civico.
Era durata poco, anzi pochissimo.
Lei non riusciva a soddisfare le voglie di lui, che anzi giudicava un po’ animalesche. In compenso portava a casa ogni nuova edizione e pretendeva di passare le serate a dissertare di questo o quel autore, del Premio Strega e di cose così.
Da allora non ha più voluto stringere nuove impegnative amicizie femminili.
Si è chiuso ancor di più in se stesso e l’unico a salire in casa sua sono io.
Per quelle cose lì, si arrangia.
Quando non ne può più di guardare culi e tette, il sabato pomeriggio salta sul treno( non ha mai preso la patente) e va a Modena a trovare una Signora che ha molte nipotine…….. se capite cosa intendo.

Scusate la verbosità ma, quale vecchio amico del Ragioniere, ritengo sia mio compito spiegarvi la natura del personaggio.
Sì, come dicevo, il locale era deserto, cosa strana data l’ora.
“Il solito, Ragionier Bianchi? Sii? Glielo faccio subito, altrimenti
‘stamattina rischia proprio di perder l’autobus!
Ha visto che meraviglia di bomboloni che mi hanno portato ? Una blazza!”
“Sè……. propri una blazza, una vera bellezza, mo megga i crafen alla crema……. guerda lè, quanta salute!” Mi pare di sentirli i suoi pensieri, mentre cerca di concentrarsi sul cappuccino, e gli occhi vanno allo splendore del decolletè.
Non c’è malizia in quell’esibizione di benessere che la Vittoria ci sta offrendo, ci tengo a dirlo: non vorrei che pensaste chissà che cosa di una donna seria che sgobba tutto il giorno.
Semplicemente non ci fa caso, meglio ancora non se ne cura.
Solare e spontanea come una bimba dell’asilo, regala agli avventori lo sguardo allegro di una donna in pace col mondo, ma senza concedere confidenza a nessuno, forse in attesa di quello giusto.
Tuttavia con certe caratteristiche fisiche e il suo stato di “vedova ” era inevitabile che qualche “galletto” si sentisse autorizzato a prendersi delle libertà.
Beh, vi assicuro che è stato messo subito al suo posto.
Un tale, certo Richetto di sicuro ancora ricorda il peso del bricco inox che ricevette sul naso, quando pensò bene di allungare ripetutamente le mani verso…… il grembiule!
Solitamente però bastava che l’allegro tono di voce della Vittoria si facesse pacato per far rientrare nei ranghi anche i più determinati.

Era tardi e noi stavamo ancora lì a sorbire l’ultima schiuma del cappuccino. Cominciavo a pensare che quella mattina ce la saremmo fatta tutta a piedi.
D’altra parte lì dentro si stava bene.
Odor di pulito e di brioches, e la ventola che girava lenta a soffitto. Questo e il tendone verde dell’ingresso bastavano a rendere l’ambiente fresco ed invitante, in quel mattino di giugno che il sole iniziava ad arrostire.
L’autobus era passato da un pezzo ma l’odore di pneumatici roventi ancora ristagnava, quando avvertii la porta aprirsi e mi girai.
Più che altro fu il cambiamento di luminosità e uno sbuffo di gas a farmene accorgere, dato che voltavo le spalle all’ingresso e di rumore quasi non ve ne fu.
Del resto Vittoria non aveva mai voluto montare un cicalino di avviso, dicendo che quella lì non era mica una banca.
In controluce sembrava un ragazzino, forse un operaio in ritardo o uno studente in vena di fughino.
“Tttira su lllle mani, ccccogglione, fffammele vedere bbbene e pppure tu – sibila balbettando quel tipo, rivolto a Bianchi e al sottoscritto
– …… e tttu pppochi scherzi, ssstrrronza, edd-ammi la cassa, o ti bbbuco! DAI! “e alzò un lungo coltello da cucina che chissà dove lo aveva tenuto infilato fino a quel momento
Non era un operaio, non uno studente, non più per lo meno. Solo uno sfigato. Venti, forse venticinque anni, smunto e grigio in faccia, di un pallore che era denutrizione e alcool ma anche disperazione e paura. un grappoletto di orecchini e un largo tatuaggio sullo striminzito bicipite.
Gli occhi, in parte nascosti da un cappelluccio a cencio che gli scendeva sulla fronte, erano profondamente infossati nelle occhiaie, spiritati e stanchi.
La mano che tendeva il coltello aveva un tremito continuo e usciva magra da un polsino sporco, più simile ad un ramo secco, tanto la pelle era tesa sull’osso.
Sotto, Jeans sbiancati e rotti e l’incongruenza di due piccolissimi piedi infilati in mocassini di ottima fattura che non avevano nemmeno avuto il tempo di impolverarsi.
Tutto questo notai, in quei pochi attimi e pensai che noi tre dovevamo sembrare statue di cera del Museo di Madame Tussaud.
Farfugliò qualcosa ansimando.
“DDAI, CHE ASPETTI, VVVVUOI PPPROOOPRIO CHE TI BBBBUCO!!??” e continuava ad agitare il coltellone davanti alla faccia, anzi alle tette della Vittoria, mentre lanciava continue occhiate inquiete verso l’ingresso del bar.
Non sapevo che pesci pigliare.
Pensavo………ma porca puttana, ma è mai possibile che fuori nessuno si accorga di niente! Guardali lì, passano e non vedono un…….
Neanche l’acqua nel Reno troverebbero quelli lì ……………. c’è anche un carabiniere……… se venisse a prendere il caffè….. mocchè, ggninta….. e noi qui con ‘sto malnatt!”
Continuavo a stare lì a prendere sempre gli stessi pesci, quando sentii la voce della Vittoria, chiara e tranquilla come al solito anzi più del solito: “Dai cinno, stà mò calmo e metti giù quel coso………… che cassa vuoi che ti dia…….. non lo vedi che non son neanche le otto? Avrò fatto sì e no trenta fra caffè e cappuccini, più qualche bombolone……….. ci saranno appena cinquanta mila lire nel cassetto, guarda, se non ci credi! ” e fece per aprirlo.
Sarà stata la mossa improvvisa o un tremito più forte degli altri, fatto sta che sul bel davanzale della Vittoria sprizzò all’improvviso il sangue che arrivò a macchiare il secchiaio e le tazzine bianche ancora da sciacquare.
Poi un gemito, quasi un gorgoglio che mi fece sussultare.
“Dio Santo, le ha tagliato la gola! L’ha sgozzata!” pensai, ma quei suoni non li aveva prodotti la Vittoria.
Provenivano dal tavolino dietro di me, dove fino ad un attimo prima stava seduto Equiseto. Piano piano si era alzato e ora impugnava stretto qualcosa……… forse il massiccio vaso in ottone che stava sulla mensola lì dietro……. sì, proprio quello.
Avrei voluto dirgli di non fare cavolate, che quello lì era fatto come un copertone e avrebbe tagliato la gola anche a noi, ma non feci in tempo.
Senza neppure guardarmi, gli occhi fissi sul sangue mi strattonò da una parte superando in un lampo la distanza che lo separava dal bancone. Il pesante vaso sbattè violentemente sotto il mento del cinno con il rumore di un melone maturo che si frantuma a terra. Non riuscì però ad evitare la lama che gli penetrò nel braccio, mentre il balordo gli finiva addosso. Rovinarono assieme sul pavimento.
Insomma, un vero casino, uno scannatoio che la Beca di Castenaso è roba da ridere ! Sangue dappertutto, vetri rotti……. mentre sentivo una voce concitata che si avvicinava dalla strada.
” Ecco, agente, è entrato lì il ladro….. in quel bar…..è in trappola!! “
La porta si spalancò e comparve un tipo in doppio petto blu……. e senza scarpe!
Lo seguiva un agente di polizia in divisa con la pistola in una mano e un walkie-talkie spernacchiante nell’altra, grassoccio e anche lui trafelato.
Vedendo la scena si bloccarono sull’uscio.
“Minchia, morti sonoo, Madonna mia quanto sangue! – ebbe il tempo appena di sussurrare il poliziotto prima di rovesciare gli occhi e scivolare con gli altri sulle marmette già piuttosto affollate.
Il gagà in calzini indicò il tossico svenuto.
” Ecco le mie scarpe! Vede? Lo sapevo che era qui! ……….. e dovrebbe esserci anche il mio Vacheron Constantin………… sa, è di platino!”
Fu allora che cominciai a ridere………. una ridarola che ancora continuava all’arrivo degli infermieri chiamati da non so chi.
Per un attimo credetti che mi avrebbero trascinato via in camicia di forza.

No, niente gole tagliate, anche se il taglio al petto della Vittoria era abbastanza profondo.
Pure il braccio di Equiseto sembrava peggio di quanto non fosse, ma come lei aveva perduto molto sangue.
Il bernoccolo sul cranio invece dovreste vederlo, uno splendore…………. appena più grande di quello che esibiva il poliziotto.
Al ” cinno”, un sieropositivo con fedina come la barba di Noè, riscontrarono una frattura scomposta della mandibola e dell’osso maston… mastal……. non ricordo più come si dice, insomma quello sopra la mandibola, poi quattro denti davanti sbriciolati, un labbro spaccato e per buona misura anche la punta della lingua, tranciata dai denti all’arrivo del vaso.
La Vittoria si riprese in fretta dalla paura e dai quindici punti di sutura. Prima ancora che la dimettessero già pensava alla pulizia che avrebbe dovuto fare nel bar………… dopo aver accudito al SUO eroe!
Sì, perchè il mio amico Equiseto se le sta prendendo tutte le coccole della Vittoria, e anche quelle della figlia della Vittoria( che non pare affatto gelosa, anzi) dopo aver fatto la ruota con i giornalisti che a cucci e spintoni cercavano di intervistare lui e fotografare lei dalla vita in su.
Poi quando a lei è sembrato sufficiente, con cortese fermezza li ha scaraventati fuori dalla porta.

Mentre butto giù questi appunti che mi ha chiesto un giornalista della
Repubblica ( non ho mica nessuno, io, che mi coccoli…….) loro due, gli inseparabili, sono sul divano del salotto e li vedo riflessi nello specchio.
Lei sta dicendo che il viaggio di nozze lo faranno alle Maldive, lui obbietta che sarebbe meglio usare il denaro per sistemare la casa ma intanto il suo sguardo non abbandona Vittoria e il suo decolleté
Le mormora qualcosa sotto voce. Lei arrossisce e gli da uno schiaffetto, ma leggero…………. poi spariscono di là perchè, mi dicono, c’è della contabilità del bar da controllare.
Beh, ora vi saluto.
Ah, dimenticavo, Vittoria dice che mi deve presentare un’amica………………

FINE
Alberto Angelici

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