KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Nata da Madre

3 min read

Nata da Madre

PROLOGO

La donna guardò l’orologio che portava al polso: da sei ore il mondo era cambiato. Strinse con forza al petto la borsa che conteneva le poche cose che le avevano consentito di portare con sé e si guardò intorno. Le solite facce, smagrite e pallide. La luce dei neon illuminava file e file di panche occupate da persone silenziose e stremate, in attesa di essere chiamate.
Un urlo terribile fece sussultare la donna “Noo!”. Un uomo si era alzato in piedi, il volto arrossato dall’ira e dallo spavento “Voglio rivedere mio figlio!” gridava. La gente mormorò appena e tacque quando i due militari vennero a prelevare l’uomo che cercò inutilmente di divincolarsi dalla forte presa. Le urla e i singhiozzi dell’uomo si persero con lo scalpiccio dei passi dei militari e vennero coperti dalla voce dell’altoparlante “State calmi! Lasciarsi andare al panico
è controproducente per voi stessi e per gli altri. Attendete con calma il vostro turno per la visita sanitaria. Poi procederemo ai trasferimenti nei vari centri di raccolta. Ricordatevi che questo è un momento terribile per tutti…” la voce all’altoparlante si spense in un gracchiare di scariche elettriche “O un singhiozzo?” si chiese la donna che sospirò profondamente per ricacciare indietro il ricordo di un volto infantile. Quando pensava alla sua bambina sentiva uno spasmo allo stomaco e si domandava dove l’avrebbero portata.
Intanto l’altoparlante riprese a scandire i nomi: erano molte le persone raccolte nel centro di smistamento della Facoltà di Economia e
Commercio e le procedure di controllo assai lente. Poi venne il turno della donna. Lei si alzò e si diresse verso il corridoio alla sua destra, secondo le istruzioni che aveva ricevuto all’ingresso.
Proseguì verso un altro corridoio semibuio su cui davano degli uffici che fino a qualche tempo prima erano stati occupati dal personale insegnante. La donna ebbe un attimo di smarrimento quando riconobbe la stanza che era stata un tempo del marito: sulla porta semiaperta c’era ancora la targhetta che riportava il suo nome. La donna esitò, si fermò e poi fece un passo verso la stanza. Aprì completamente la porta e guardò dentro: era vuota. Centinaia di ricordi le annebbiarono la mente e si sentì barcollare finché una voce la fece bruscamente tornare in sé. “Signora, dove sta andando? Siamo in questa stanza. La prego di non farci perdere tempo!” La donna si volse di scatto verso l’uomo che la stava chiamando dal fondo del corridoio e la borsa le cadde dalle mani. “Mi scusi…” balbettò “mi sono sbagliata…” No, non si era sbagliata. La donna sapeva benissimo quale sarebbe stata la sua destinazione: un centro di raccolta per superstiti in attesa che il mondo si risvegliasse dall’incubo in cui era piombato. Si passò una mano sulla fronte per scacciare il pensiero di quel volto di bimba che non avrebbe mai più rivisto. “E’ per il suo bene… E’ per il suo bene…” si ripeteva mentre frettolosamente raccoglieva la borsa che le era caduta per poi dirigersi verso l’ufficio sanitario.
E del passaggio della donna rimase solo una piccola traccia: un contenitore sottile di plastica che le era scivolato dalla borsa mentre lei la raccoglieva da terra. Un contenitore da cui spuntavano alcuni dischetti argentati su uno dei quali una targhetta applicata sopra mostrava una scritta: “Ultima data file: 05/12/2003”.

Gabriela Guidetti

Altri articoli correlati

7 min read
6 min read
1 min read

Commenta