Torino Galleria Berman (estate 2008)
ALESSANDRO GUZZI
Nell’opera di Alessandro Guzzi esposta a Torino, il reale ed il surreale, come il proteiforme e l’organico, identificano tracce di memoria tese a privilegiare il presente, ovvero la donna, elemento estatico e vitale. Reperti di un’anacronistica epochè dell’anima, dall’antichità eroica di Mantegna fino a De Chirico, materializzano il passato, sono sfondi rielaborati in una plastica modernità, le quinte di un principio femminile sempre in primo piano che, per proporzioni e ricorrenza, si impone nella sua trasognata seduttività. In altri casi il testimone e protagonista della visione pittorica è il maschile. L’uomo è un essere solitario dove vibra lo smarrimento oltre che il colore, a tratti quasi animato. E’ còlto in atteggiamenti malinconici prossimi all’interdizione comunicativa, alienato da un’irraggiungibile ideale di armonia con l’altro da sé.
Lo sguardo del pittore-osservatore si appaga di fotografico voyerismo più che di eros. Le donne rappresentano, sovente, una lascivia borghese dotata di riconoscibili orpelli, ma sono anche muse, madonne o modelle sottratte alla loro quotidianità nel benessere di una consapevole esibizione. Sembrerebbe che entrambi, donna e uomo, nell’oscillazione ancestrale di paura e desiderio, attendessero una magia soprannaturale per incontrarsi o l’heideggeriano superamento di un’afasica metafisica, nella rincorsa di un linguaggio da condividere.
Autentiche e mai seriali, le figure femminili inondano lo spazio e il tempo, racchiuse nel vigore di cromatismi impressionistici, rosei e vellutati, o nell’asettica virtualità che allude ad un modello di bellezza contemporanea. Eppure, e questa è la trasfigurazione del linguaggio del Guzzi, che va oltre la pop art e le avanguardie in genere, queste donne si rivelano in una sequenza compositiva che scompone i meandri luminosi del ricordo, scaturendo da un unico ideale d’ispirazione poetica: quello preraffaellita, etereo e transtemporale, richiamo di spiritualità e purezza nell’enigma inquietante della natura. All’enigma è demandata altresì la possibilità interpretativa dei titoli delle opere esposte, tanto esemplificativi quanto misteriosi e sfuggenti nel loro evocare, spesso, epigrafi latine. La natura, con i suoi verdi ventriloqui e satanici, opachi come nel surrealismo di Delvaux o lucenti come nelle primitive geometrie di H. R. il Doganiere, diviene, a volte, oggetto. Le tonalità interagiscono da un quadro all’altro, trasformandosi da divani a spettrali foreste, spostandosi nello spazio ideale della creazione, richiamandosi e completandosi.
E’ la percezione d’insieme infatti, con i suoi echi cromatici e tematici, che funziona senza inganni in questa pittura organica, malinconica, sospesa nella ricerca di una verità da rivelare o, forse, in quella dell’essere più che dell’avere, all’interno del tormentato agone dell’amore.