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Alice nelle città

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Wim Wenders, 1972

Wenders, da giovane (alla sua quarta opera cinematografica), firma quello che resta uno dei vertici della sua produzione, e insieme un film che, se si dovesse stilare un elenco di film basilari della storia del cinema, potrebbe rientrare tra i cento capolavori: Alice nelle città.
E’ un film, questo, baciato dalla grazia della leggerezza.
Contiene – in modo del tutto naturale, fluido e senza schematismi – i temi e le suggestioni dei suoi film a venire – di cui tanti, troppi (specie da quasi venti anni a questa parte), non sono del tutto riusciti, e spesso tornano ad affrontare gli argomenti cari al regista in modo forzato e non altrettanto fluido che in questo Alice nelle città. La sovrapposizione di ciò che si intende vedere a ciò che la realtà ci mostra per davvero; il rigetto di una previa e tradizionale strutturazione di una narrazione di “finzione” rispetto a un modo di raccontare che sia fluido come il corso della vita; la standardizzazione dei paesaggi, dei modi di vedere, dei modi di vivere, nell’Europa della seconda metà del ‘900; la dialettica fra Europa e Stati Uniti quanto a costumi e modi di vita, così come strutture narrative e cinematografiche.
Qui Wenders, senza schemi, espone in modo sensibile, attraverso la dilatazione ipnotica e la sospensione del tempo narrativo, il concetto dello “smarrirsi per ritrovarsi”. L’aprirsi della vita a nuove dimensioni del quotidiano, la scoperta della realtà proprio in una dimensione di “tempo perso” (“perso” rispetto a un’esistenza pianificata e apparentemente “direzionata”, rivolta a un obiettivo): queste le suggestioni portanti del delizioso pellegrinaggio di un giovane scrittore in crisi in compagnia di una bambina che cerca la casa della nonna. I temi (e i tempi) di Wenders si sposano bene al motivo del viaggio e agli stilemi del road movie.
Fuori dal programmato si aprono spazi, si intessono relazioni inusitate – e si reimposta lo sguardo. Chi prima non sapeva come raccontare, e si limitava a constatare che le proprie foto non riproducevano mai esattamente l’oggetto che era stato visto, adesso potrà raccontare la propria storia.
Lo stesso motivo musicale (poche note di chitarra), reiterato ipnoticamente per tutta la durata del film, sottolinea silenzi e raccoglimenti intimisti, dilatando i momenti e aprendo a una dimensione dell’anima, uno spiraglio metafisico sospeso. Attraverso quelle note sospese, tutto il film scivola in profondità, rispetto alla realtà esterna, che scorre costantemente al di sopra, distratta rispetto alla possibilità di auscultare il senso più profondo che le cose rivelano quando si recupera con esse un intimo contatto.
Più volte Wenders ribadirà questo concetto, declinandolo in decine di modi diversi, mai più con questa levità e questa purezza.

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