KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Son tornate le volpi – Ferdinando Camon

5 min read

Come muore la nostra civiltà

Apogeo Editore

Poesia

Pagg. 72

ISBN 9788899479923

Prezzo Euro 12,00

La paura deve finire

Si fa presto a dire che l’immigrazione è il nostro tardivo aiuto a popoli in un ancor recente passato vessati dalle potenze europee, ma questa moltitudine che fra mille difficoltà e rischi arriva nel nostro paese rappresenta di per sé una bomba orologeria, perché è inevitabile che si vengano a creare le occasioni per uno scontro di civiltà, soprattutto quando una di queste è improntata a una religiosità fanatica e di esclusione delle altre fedi. In un occidente europeo francamente decadente non sta avvenendo una pacifica integrazione di due concetti di società, ma piano piano sta prendendo il sopravvento il lato più oscuro e drammatico di popoli le cui convinzioni religiose, spesso, sono in netto contratto con le nostre leggi fondanti, scritte nelle costituzioni e rispecchianti il comune sentire. Ferdinando Camon che già ha scritto, benissimo, della scomparsa della civiltà contadina si è guardato intorno, ha osservato, ha tratto conclusioni e così è nato Son tornate le volpi con sottotitolo Come muore la nostra civiltà, senza paura di essere qualificato come razzista, perché razzista non è, perché vedere come stanno le cose non è razzismo, non è cercare di difendere i propri valori minacciati ogni giorno, non è desiderare di vivere in tranquillità, senza paura. E lui di paura non ne ha e non ne ha mai avuta, fin dai tempi di Occidente, quando i terroristi neri l’avevano messo nel mirino. E a maggior ragione non ne ha ora, quando, nell’esprimere lo sconcerto e i timori di tanta gente, ha in cuor suo il desiderio che il futuro della propria discendenza non venga minacciato.

La paura comunque c’è, è la paura di chi si accorge che l’illegalità è ovunque e che prende il sopravvento (Fa l’architetto / vive da solo, / e dopo tredici ore / di lavoro / torna nel cuore / della notte per buttarsi a letto. / Apre la porta come un automa, / accende la luce e la mano gli trema: / c’è un altro a letto, con la faccia truce, / dorme pesante, un sonno da coma. /…).

Come è possibile notare non si tratta di prosa, ma di poesia, il terzo libro di versi frutto dell’arte di Camon, e allora c’è da chiedersi come mai sia ricorso a questa forma per partecipare agli altri questo tema così contingente. Credo che stante la quotidianità di un crescente problema e l’acuirsi di una situazione che da disagio sta diventando paura l’autore padovano abbia ritenuto, secondo me giustamente, di comunicare con maggiore immediatezza, e per l’appunto in proposito non c’è nulla di più efficace della poesia. Del resto, fra le diverse liriche, ce n’è una che penso ben esprima il concetto; può sembrare un eccesso, ma non è un caso isolato e appunto per questo nei quotidiani passano eventi simili dalla prima pagina (quando sono novità) alla terza o alla quarta; la riporto per intero, si intitola Battaglia primordiale: “Padova, via Anelli: / a sirene spiegate, frena, balza, / la polizia arriva sulle Alfa / con scudi e manganelli, / dalle case escono tribù / di senegalesi e nigeriani / mezzo nudi, bastoni fra le mani / con movenze di kung-fu; / i poliziotti suonano le trombe / per fare i duri / dalle finestre rullano i tamburi / e piovono sassi come bombe. / La gente si ferma incantata: mai visto / uno scontro del genere. / Chi vincerà, il prima o il dopo Cristo?”.

Certo la gente prima dimostra stupore, poi disagio e infine paura, una paura del diverso, tanto che basta che uno abbia la pelle un po’ scura per diventare un potenziale criminale. Ed è così che piano piano si passa dalla ideale integrazione alla reale fagocitazione, perché se scompare la nostra civiltà non saremo più nulla, né per gli altri, né soprattutto per noi stessi. E di questo non hanno colpa i magrebini, i fondamentalisti, no, la colpa è solo nostra, di avere abdicato un po’ per volta ai nostri valori, di esserci spogliati delle nostre tradizioni, di essere diventati indifferenti a quanto più di sacro e importante abbiamo da coltivare e difendere: le nostre comuni radici.

E il titolo? E’ quello di una poesia della raccolta, in cui al ritorno delle volpi, ai danni che provocano, soprattutto ai pollai, si accompagna la reazione dei contadini, nonostante la protezione che il governo ha concesso a questi carnivori; sembrerebbe poco attinente al tema della silloge, ma si può anche interpretare come un invito all’autotutela nei confronti di certe categorie di immigrati, di quelli completamente indifferenti alle nostre leggi e che mirerebbero a sovvertire l’ordine esistente, facilitati da leggi che tendono a proteggere chi entra nel nostro paese, e ciò indipendentemente dalla sua eventuale pericolosità sociale.

Leggete queste poesie, questo monito di un artista che non ha mai avuto paura, ma che sempre si è adoperato perché fossero eliminati i motivi della paura stessa; la nostra civiltà, benché ormai sbiadita, non è ancora morta, facciamo sì che possa continuare a vivere.

Ferdinando Camon

Il primo romanzo di Camon uscì in Italia con una appassionata prefazione di Pier Paolo Pasolini e fu subito tradotto in Francia per interessamento di Jean-Paul Sartre. Camon si definisce “narratore della crisi”: ha raccontato la crisi e la morte della civiltà contadina (nei romanzi “Il Quinto Stato”, “La vita eterna”, “Un altare per la madre”, premio Strega, “Mai visti sole e luna”, nelle poesie “Liberare l’animale”, premio Viareggio, e “Dal silenzio delle campagne”), la crisi che si chiamò terrorismo (“Occidente”), la crisi che porta in analisi (“La malattia chiamata uomo”, “La donna dei fili”, “Il canto delle balene”) e lo scontro di civiltà, con l’arrivo degli extracomunitari (“La Terra è di tutti”). “La malattia chiamata uomo” fu recitata a Parigi al teatro L’Aquarium per 4 anni consecutivi. Il regista Claude Miller ne ricavò un film. Camon ha lavorato nel primo Centro Anti-Droga, che aveva sede a Padova, e l’ha raccontato nel libro “La droga discussa con i ragazzi”. I suoi romanzi più recenti sono “La cavallina, la ragazza e il diavolo” e “La mia stirpe”. È tradotto in 25 paesi. In Francia, Gallimard ha tradotto tutte le sue opere in prosa e in versi. Nel 2020 è uscito il suo “Dialogo sul Comunismo” con Pietro Ingrao, che Ingrao aveva bloccato per 25 anni. Ed è uscito il pamphlet “A ottant’anni se non muori t’ammazzano”, contro l’opzione di non curare i malati troppo anziani. Nel 2022 Apogeo ha ripubblicato “Occidente” nella stesura definitiva. Le sue opere sono pubblicate anche in edizioni per ciechi, in Italia e in Francia. Nel 2016 sono state raccolte in 16 ebooks e gli è stato assegnato il premio Campiello alla Carriera. Dal 2021 è in corso la pubblicazione delle sue opere in forma di audiolibri presso la casa editrice Il Narratore; sono già usciti 4 audiolibri.

 

Commenta