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Il Moro della cima – Paolo Malaguti

4 min read

Edizioni Einaudi
Narrativa
Pagg. 280
ISBN 9788806251611

Prezzo Euro 19,50

Un romanzo rasserenante

Ho letto ormai diversi libri scritti da Paolo Malaguti, un autore che alcune volte mi ha convinto, come nel caso di Prima dell’alba e di Sul Grappa dopo la vittoria, a mio avviso due autentici capolavori, e altre invece mi ha lasciato perplesso e mi riferisco in particolare a La reliquia di Costantinopoli e a I mercanti di stampe proibite; i primi due si svolgono durante la Grande Guerra e nei giorni immediatamente successivi, gli altri in epoche ben antecedenti. Forte di questa constatazione ho deciso di leggere anche Il Moro della cima, visto che la trama si sviluppa soprattutto durante il primo conflitto mondiale; brevemente è una biografia molto romanzata di un personaggio esistito veramente, tale Agostino Faccin, che tutti chiamano “il Moro” e la cui grande aspirazione è di salire di quota, di percorrere quelle montagne che svettano vicino a casa e in particolare una, la Grapa, l’odierno Grappa, per la quale ha una particolare e intensa venerazione. Vorrebbe che rimanesse sempre così, come era da tempo immemorabile, ma nell’economia della Grande Guerra la Grapa può diventare un forte baluardo atto a frenare e a impedire l’avanzata nemica ed ecco allora che vengono realizzate strade, scavate gallerie e trincee, insomma uno sconvolgimento di quel mondo che il Moro ritiene perfetto e in cui si sente realizzato. Sarà costretto dai militari ad andarsene, a scendere al piano, ma quando quella carneficina finisce ritornerà sulla cima e di fronte allo sconquasso provocato dalla guerra cercherà, in base alle sue possibilità, di rendere onore alla sacralità della montagna. Grosso modo la trama è quella a cui ho appena accennato e di per sé è interessante perché sono continui gli squarci storici e pure l’atmosfera di dolore e di morte è ben resa. Ho l’impressione, tuttavia, che la figura del Moro sia un po’ troppo caricata, cioè che l’autore abbia calcato un po’ la mano, anche se di personaggi così se ne possono trovare, uomini fieri, indipendenti, tesi continuamente a rivendicare e a difendere la loro personalità; la mia è una sensazione, che può anche essere sbagliata, e del resto il romanzo si fa ben valere per altri aspetti, per niente secondari, come anche il profondo rispetto per natura e soprattutto per la sua montagna, quella Grapa che Agostino sognava fin da bambino. E’ questa sorta d’amore che dona lustro all’opera, sono le descrizioni di un mondo eternamente incantato e che solo l’avidità dell’uomo può corrompere, sono le pagine in cui la prosa è soffusa da un alone di poesia, come nel caso della morte del cane che gli ha fatto a lungo compagnia quando il Moro gestiva il rifugio sulla cima, senza dimenticare che la tragedia della guerra con i suoi mutilati e i suoi morti viene anteposta ai risultati delle battaglie, un chiaro intento pacifista che non può essere che lodevole, perché rifugge dalla facile retorica. Aggiungo anche che la scrittura, priva di ampollosità, non poco contribuisce al piacere della lettura che mi ha deliziato in questi giorni di intenso caldo estivo, dandomi un ristoro dell’anima, perché pagina dopo pagina si avverte nel proprio intimo il sorgere di una gradevole dolcezza che allontana i brutti pensieri e che poco a poco conduce a quello stato di beatitudine che è proprio della serenità. Credo proprio che Il Moro della cima rientri fra i romanzi di Malaguti che mi hanno convinto e pertanto invito a leggerlo, perché lo merita.

Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente vive ad Asolo e lavora come docente di Lettere a Bassano del Grappa. Con Neri Pozza ha pubblicato La reliquia di Costantinopoli (2015), finalista al Premio Strega 2016. Tra le sue opere Nuovo sillabario veneto (BEAT, 2016), Prima dell’alba (Neri Pozza, 2017) e L’ ultimo carnevale (Solferino, 2019).

 

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