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Intervista con Hollowscene

15 min read
 
Hollowscene è il nuovo nome della band Banaau, formatasi a Milano nel 1990 e fondata dal chitarrista Andrea Massimo e dal tastierista Lino Cicala. L’idea fondante, ancora presente, è quella di musicare testi poetici e letterari; e così è stato in passato con Th. S. Eliot e E.A. Poe su fino a Shakespeare e al suo “Coriolano” di questo nuovo episodio discografico (“Broken Coriolanus”), edito nel 2018 sotto l’egida della Black Widows Records.
 
Intervista
 
Risponde, per gli Hollowscene, Andrea Massimo
 
Davide
Perché, dopo circa vent’anni, avete deciso di cambiare nome al gruppo da Banaau a Hollowscene?
 
Hollowscene
L’era dei Banaau si è chiusa intorno alla metà degli anni ’90. Costituendo una nuova formazione, si è voluto darle un’identità nuova e che avesse un nome che fosse ancora più attinente al progetto che stiamo portando avanti. Il nome “Banaau” esiste ancora, ed infatti compare anche sull’attuale copertina dell’album Hollowscene nella sua grafia originale (cioè in Hindi). Ha solo mutato di significato: è diventato un contenitore entro cui realizzare progetti artistici, non sempre e necessariamente musicali. In un certo senso si può dire che i Banaau hanno dato vita al progetto Hollowscene il quale, oltre al nucleo centrale, vede all’opera altri musicisti.
 
Davide
Qual è la nuova line up e in che modo si integra rispetto al nocciolo creativo principale costituito dal quasi ventennale duo fondatore?
 
Hollowscene
La nuova line up vede, oltre ad Andrea Massimo (chitarra e voce) e Lino Cicala (tastiere e pianoforte), Demetra Fogazza (flauto e voce), Andrea Zani (tastiere), Walter Kesten (chitarra), Tony Alemanno (basso e bass pedal), Matteo Paparazzo (batteria). Attualmente stiamo altresì cercando di allargare la formazione per includere, almeno nei live, due o tre coristi di supporto.
Il nocciolo creativo rimane quello originario e questo si deve principalmente al processo di scrittura della musica degli Hollowscene. Traendo ispirazione da testi letterari, il processo di scrittura è piuttosto lungo e laborioso. Si parte generalmente dalla scelta di un testo che deve, in prima istanza, essere conosciuto a fondo. Poi questo può essere musicato per intero (come è accaduto per The Worm) oppure se ne ricava una sorta di estratto o libretto (come nel caso di Broken Coriolanus).  Quindi, si procede con la scrittura della musica che vorrebbe rappresentare l’ambientazione entro cui si sviluppano le vicende ed i concetti espressi dal testo. Per questi motivi il momento creativo e quello esecutivo sono fortemente distinti. Al termine del processo di scrittura si arriva sostanzialmente ad una partitura che viene poi condivisa con i musicisti e realizzata in sala prove o in studio. In tal senso il modo di procedere somiglia molto di più a quello di un’orchestra. Nel contempo, il contributo di ogni musicista può essere importante ma, per essere incluso in un brano, bisogna che si inserisca in un contesto più ampio concernente i significati e le atmosfere che si vogliono rappresentare.
 
Davide
Molti, nel descrivere la vostra musica, citano i Genesis, i Gentle Giant, gli Yes… Ma ho anche letto nella vostra biografia che non amate particolarmente essere riassunti sotto l’etichetta di musica progressive? Perché? Quali distanze prendete dunque da questa definizione? Meglio quella di art-rock?
 
Hollowscene
Ascoltando la musica degli Hollowscene dall’esterno, ci rendiamo conto anche noi della vicinanza tra la nostra musica e quella del Progressive “storico”. Penso sia abbastanza naturale in quanto la musica di gruppi come i Genesis, Gentle Giant, Yes, Pink Floyd (solo per citarne alcuni) ci ha seguito fin da quando eravamo ragazzi. Nel caso di Gentle Giant poi, due membri degli Hollowscene hanno una loro tribute band dei Gentle Giant e questo si sente moltissimo nell’album; soprattutto per la presenza quasi trasversale di linee di basso e chitarra all’unisono (presenti anche nell’originale e nella nostra cover di The Moon is Down); le tastiere richiamano un tipo di scrittura che è secondo me tipica di Tony Banks (tastierista spesso più vicino alla musica classica che al rock). Ma ci sono molte alte influenze che riconosco nei nostri brani: i Beatles ad esempio (penso qui ad album come Abbey Road) o lo stile chitarristico di Joe Satriani, che io sento in diversi passaggi. Vi è infine un’influenza fortissima che è quella che deriva dalla formazione classica. Diversi di noi hanno una formazione di questo tipo ed è pertanto inevitabile che questa si trasmetta nel modo di concepire e suonare la musica. Per questi motivi ritengo che l’etichetta “progressive” sia in qualche modo riduttiva. Concettualmente siamo aperti a qualsiasi soluzione musicale che si riveli appropriata alla descrizione del testo che cerchiamo di rappresentare. Questo può avvicinarci come allontanarci dall’idea di “progressive”. Quello che cerchiamo è una forma aperta che, quasi sicuramente, è molto più vicina ad un modo di scrittura proprio della musica sinfonica. Al contempo questa forma sinfonica si avvale degli strumenti e delle tecnologie moderne: fino al tardo 700 la musica è sempre stata un campo di grande innovazione ove musica, fisica e matematica si sono trovate spesso a lavorare a braccetto. Basti pensare alla creazione della scala temperata, allo studio ponderoso che J.S. Bach ha fatto su questa, alla nascita di nuovi strumenti come il pianoforte (divenuto un simbolo della musica colta). Con l’800 la musica “classica” si è, dal punto di vista strumentale, cristallizzata nell’organico orchestrale che rimane sostanzialmente invariato ancora oggi. La tecnologia è andata avanti (introduzione degli strumenti elettrici, sintetizzatori, campionatori, effettistica, sviluppo del MIDI, introduzione sempre più massiccia dell’informatica…), ma nel campo della musica colta queste innovazioni sono state (salvo rari esempi) poco recepite. O sono state recepite in modo estremo (come in certe opere di John Cage) rimanendo, per questo motivo, confinate ad un ambito ristretto e, a volte, con un intento puramente provocatorio. Questa lunga digressione è per dire che quello che cerchiamo di fare è complessivamente la scrittura di una musica sinfonica che si avvale però di strumenti moderni. Ciò ci avvicina al progressive in modo indiretto, nel senso che molto progressive ha tratto ispirazione dalla musica “classica” e qui forse intravedo il punto di incontro tra la nostra musica ed il progressive.
Effettivamente la definizione di Art-Rock può sembrare più appropriata, ma è una definizione talmente ampia che lo stesso progressive è spesso considerato (per certi gruppi o lavori più che per altri) Art-Rock.
 
Davide
In copertina il titolo sembrerebbe quella parola in un alfabeto a noi sconosciuto… Alfabeto tibetano, devanagari o cosa? Cos’è e cosa vuol dire?
 
Hollowscene
Il titolo in copertina è la parola “Banaau” nella sua lingua originale (Hindi). Come dicevo all’inizio questa è rimasta divenendo, al contempo, quasi un logo. Banaau significa “fare” ed esprime per noi una visione del processo di creazione musicale come “arte del fare”. Il nome risale agli anni ’90 e la scelta della lingua Hindi è derivata da un fatto contingente, e cioè il viaggio che in quegli anni l’allora batterista dei Banaau fece in India e Nepal per incontrare il Sai-Baba.
 
Davide
Questo lavoro è imperniato sul Coriolano di Shakespeare, perché e in che modo, per risaltarne quali  pensieri più o meno sottostanti o manifesti? Cosa c’è per voi di attuale in questa vicenda?
 
Hollowscene
La scelta del Coriolano di Shakespeare parte da lontano, prendendo del mosse dal poema The Waste Land di T.S. Eliot (poeta che amo in modo particolare). In essa si legge:
  I have heard the key
  Turn in the door once and turn once only
  We think of the key, each in his prison
  Thinking of the key, each confirms a prison
  Only at nightfall, aethereal rumours
  Revive for a moment a broken Coriolanus
Questo passo ci ricorda come noi viviamo spesso rinchiusi nella nostra prigione: una prigione fatta di necessità, rapporti sociali, ruoli che abbiamo nella vita che creano a loro volta aspettative nei nostri confronti, convenienze a cui ci sottomettiamo. Una prigione che rinchiude la nostra natura e non ci permette di essere o fare ciò che realmente vorremmo. Eliot vede in Coriolano il simbolo di questo essere imprigionati e “spezzati”, divisi tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse. In questo senso Coriolano è estremamente attuale nei significati. Questa tragedia è stata in realtà letta in molti modi (intorno al 2000, se non erro, è anche stato fatto un film che ambienta il Coriolano in epoca contemporanea): taluni hanno posto l’accento sul significato politico, altri su quello sociale. Nel nostro caso noi abbiamo cercato di mettere l’accento sul lato umano di Coriolano. Egli è un uomo schietto, forse non di buonissime maniere e di bei modi, ma è un uomo vero e sincero. Già questo dipingerlo in modo quasi antipatico gli conferisce un senso di realtà. Non è l’eroe tradizionalmente perfetto. E’ semplicemente un uomo. Coriolano viene prima acclamato come eroe (perché il suo prodigarsi per la difesa di Roma ha oggettivamente fatto comodo a tutti) e poi, una volta invitato in virtù dei suoi successi ad entrare nel mondo della politica, avversato proprio in virtù della sua schiettezza e senso della verità. Egli non è facile a sottomettersi ai comportamenti di convenienza e di facciata che la politica vorrebbe imporgli. Perché, in fondo, la verità non interessa a nessuno. Interessa ciò che fa comodo, ciò che conviene, ciò che porta vantaggio. Così inizia a costruirsi la prigione intorno a Coriolano. A volte accondiscende, a volte meno, ma non riesce del tutto a sopire la sua natura. E questo darà il destro ai suoi avversari per cacciarlo, bollandolo addirittura come traditore. Coriolano, proprio in quanto uomo con tutti i sentimenti contraddittori di un essere umano, non potrà che dare sfogo al suo senso di ingiustizia meditando e compiendo la sua vendetta contro Roma, con l’intento di conquistarla. Ma, di nuovo, Coriolano rimarrà prigioniero e vittima del suo sentire: l’amore per la moglie e la madre gli impediranno di portare a compimento la vendetta; per loro due, sia una vittoria che una sconfitta di Coriolano sarebbero fonte di disgrazia e dolore. Così Coriolano rinuncia, pur sapendo che per lui sarà la morte. E così si conclude la tragedia di un uomo che muore per la sola colpa di essere non solo vero e sincero, ma anche “vittima” dei sentimenti di amore che prova nei confronti dei suoi cari (che, per inciso, alla fine accettano più di buon grado la sua morte piuttosto che la loro disgrazia).
Per questi motivi questa è secondo noi una vicenda estremamente contemporanea. E’ questa una condizione in cui l’uomo si ritrova quotidianamente, in una realtà intrisa di bugie, cose non dette, comportamenti soffocati, umiliazioni subite per poter sopravvivere.
 
Davide
C’è anche una riproposizione di “The worm” sulla poesia di Edgar Allan Poe (The Conqueror Worm). Perché vi siete fin dal principio orientati al mettere in musica testi poetici e letterari e in prevalenza inglesi?
 
Hollowscene
Mi sono sempre sentito più a mio agio con la musica che con la parola. La musica è qualcosa che non solo pratico, ma che studio da sempre. Per questo motivo mi viene naturale scrivere musica. Non può dirsi lo stesso con i testi. Non solo non mi ritengo un valido scrittore di testi; ma la letteratura è piena di testi che riescono ad esprimere il mio sentire in un modo a cui non potrei nemmeno lontanamente avvicinarmi. In particolare, nel testo, amo la capacità di esprimere concetti anche molto profondi con pochissime parole. In questo, secondo me, Eliot è un maestro ed infatti amo la poesia di Eliot al di sopra di tutto. La lingua inglese poi ha una capacità evocativa e al contempo di sintesi che manca ad altre lingue. Questo sicuramente spiega il perché del nostro orientarci in tale direzione.
Ci sono comunque autori italiani che apprezzo particolarmente come, ad esempio Leopardi ed Ungaretti. Ho da diversi anni un progetto in lavorazione proprio sulle poesie di Leopardi (di cui, confesso, ho ancora scritto molto poco) ma si tratta di un progetto musicalmente molto differente e che vedo poco pubblicabile in ambito prog. Sono arie per chitarra classica e voce (soprano o mezzo soprano) che prima o poi mi piacerebbe completare.
 
Davide
Tra la tragedia del Coriolano ambientata a Roma e i versi di Poe sulla tragedia che si chiama “L’uomo” in cui il vincitore è il “Verme Conquistatore”, come si inserisce la fotografia della copertina di Ernesto Fantozzi, già del gruppo 66, e la sua fotografia di documento a Milano negli anni ’60 e ’70?
 
Hollowscene
Le motivazioni alla base di quella fotografia come copertina dell’album sono molteplici. Questa immagine era originariamente stata scelta come copertina di un precedente lavoro (The Burial) che però è stato pubblicato solo digitalmente, e quindi la stampa di una copertina non si è più resa necessaria. The Burial è la prima parte della Waste Land di T.S. Eliot. Se ci si riferisce ad uno dei primissimi versi del poema: 
  …winter kept us warm covering earth in forgetful snow… 
la scelta di questa foto è quasi didascalica. Le due figure in primo piano pongono l’essere umano al centro della scena, totalmente esposto e circondato da un mondo che sta per sopraffarlo, tranquillo nelle sue certezze (rappresentate dall’amore dei due amanti) tenute “calde” da una neve che protegge dai geli invernali. Ma è un uomo sull’orlo del baratro; la neve si scioglierà e anziché germogli rivelerà una terra arida, malata. A me questa foto ha sempre trasmesso un duplice senso di tenerezza a angoscia che ben si adatta alle tematiche trattate in The Burial.
E’ proprio la centralità della condizione umana (presente sia nel Coriolano che in The Worm) che rende questa immagine secondo noi appropriata nel contesto dell’album. Vi è un filo conduttore che lega la Waste Land al Coriolano e a The Worm e che riconduce alle esperienze di vita individuali o collettive. Soprattutto, al senso di solitudine e impotenza di fronte a qualcosa che è più grande di noi e ci sovrasta. Per Coriolano, la fine verrà dalla sua debolezza “per amore”; per Poe, arriva da dietro le quinte da parte di qualcosa che “emerge” e ci “inghiotte”. Riteniamo che entrambi questi elementi siano ben riconoscibili in questa immagine.
 
Davide
In “Slippery Turns” c’è un inciso in giapponese cantato da Takehiro Ueki che sposta di colpo l’attenzione dal Caio Marzio Coriolano del dramma di Shakespeare alla figura forse del samurai Taira No Atsumori (Atsumori,opera nō di Zeami Motokiy)? O cosa? E perché questo inserimento nel climax shakespeariano?
 
Hollowscene
Non si tratta del samuari Taira nell’opera nō Atsumori ma dell’omonimo poema presente in un celebre kowakamai (danza recitata tradizionale Giapponese) che si trova nella Nobunaga kouki di Oota Gyuichi (tardo ‘500): il Samurai Nobunaga si prepara con queste parole alla battaglia di Okehazama contro Yoshimoto (si parla del periodo dell’unificazione del Giappone). Il testo è una riflessione su quanto sia   breve e labile una vita umana rispetto all’immensità del Geten (universo, paradiso), per cui… vale la pena combattere e, se necessario, immolarsi!
Il richiamo ad Atsumori serve a rafforzare il senso trasversale della tragedia umana che abbiamo cercato di rappresentare, un dramma che colpisce chiunque ed ovunque. Nel contesto della vicenda, in Slippery Turns si racconta il momento in cui Coriolano, esiliato da Roma, si rivolge al suo acerrimo nemico meditando vendetta contro Roma. Egli entra quindi in terra straniera e abbiamo voluto sottolineare questo senso di “straniero” attraverso la comparsa di una figura nuova e “straniera” anche nel linguaggio (Giapponese antico). La scelta del brano è stata fatta da Takehiro stesso. Noi gli abbiamo sottoposto la nostra esigenza e il significato di questo brano ci sembrava appropriato: nella vicenda, il samurai Nobunaga è anch’egli rinchiuso nella sua prigione e, alla fine, dovrà eliminare il suo nemico Yoshimoto anche se, come uomo, si rende conto di quanto essi siano uguali proprio dal punto di vista umano, punto di vista che non può reggere di fronte a ciò che deve esser fatto.
 
Davide
Perché avete concluso questo lavoro con una cover de “The moon is down” dei Gentle Giant? Come riassumereste il contributo della band dei tre fratelli Shulman al vostro approccio alla musica e cosa, secondo voi, li rende ancora attuali?
 
Hollowscene
La scelta di introdurre una cover nell’album è stata in realtà proposta dalla nostra etichetta (Black Widow Records). Ci è sembrata una scelta interessante; noi non ci avevamo pensato e, almeno per me, rappresentava una sfida. Abbiamo ragionato a lungo su che brano introdurre come cover. Personalmente, sono sempre stato molto più vicino alla musica dei Genesis, Yes, King Crimson, Pink Floyd rispetto ai Gentle Giant. Per questo stesso motivo ho preferito rivolgermi a brani che avrei potuto ascoltare con un orecchio in un certo senso nuovo. Fare una cover, secondo me, non è una cosa semplice. Da un lato trovo poco utile riproporre una copia dell’originale. Ci sono moltissime tribute band che fanno esattamente questo, e lo fanno molto bene. Il suggerimento di Black Widow era poi di inserire sì una cover ma di “rivisitarla” secondo il nostro stile. Alla fine penso che in me abbia prevalso la mia formazione classica: ho cioè cercato di mantenere tutte le parti originali senza modificarne nessuna, ma le stesse parti sono state redistribuite, a volte affidandole a strumenti diversi rispetto all’originale. Penso, ad esempio, all’apertura del brano che in originale è affidato a tre sax mentre, nella nostra cover, a flauto e pianoforte, sebbene la scrittura rimanga  a tre parti; parti vocali sono state passate all’organo, e così via. Questa era una prassi molto diffusa nella musica rinascimentale; un brano a 4 voci veniva magari eseguito da una voce e tre strumenti, o da una voce ed un liuto, ecc. Dico questo perché nel CD si sarebbe voluto inserire anche un piccolo brano eseguito al liuto rinascimentale (una variazione sul tema di apertura del Coriolano) ma poi, per motivi di tempo e anche di durata del CD è stato lasciato fuori. L’unica cosa radicalmente diversa nella nostra versione di The Moon is Down è il solo di tastiere, e questo a causa dello stile improvvisativo del solo originale.
Il contributo dell’opera dei Gentle Giant nel nostro lavoro si sente soprattutto vivere nel modo di suonare della sezione ritmica. Riguardo all’attualità della loro musica… tutto ciò che è grande ed artisticamente valido è attuale. Lo sono i testi che utilizziamo, lo è la musica dei Gentle Giant (come di tante altre influenze di cui ho scritto sopra che traspaiono nella nostra musica).
 
Davide
Tutta la musica fa bene? A cosa deve servire la musica dal punto di vista degli Hollowscene?
 
Hollowscene
Questa è la domanda più difficile a cui rispondere. D’istinto mi sentirei di dire che tutta la buona musica fa bene. Ma a questo punto sposterei solo la questione sulla definizione di buona musica. Con il tempo in me si è formata l’idea che forse l’elemento più importante è rappresentato dall’onestà intellettuale di chi produce musica, e questo al di là del risultato ottenuto. In altre parole, l’importante è cercare di fare bene, in modo onesto, sincero, appassionato e rispettoso dell’ascoltatore. L’idea di fondo è che qualsiasi forma d’arte è qualcosa che può aiutarci ad essere migliori, purché noi la coltiviamo con la giusta e dovuta passione. Per questo motivo tendo a non attaccarmi più ad un autore o ad un genere specifico. Cerco piuttosto qualcosa che sappia trasmettermi un senso di amore per l’arte.
Riguardo all’utilità della musica, di nuovo questa è connessa con l’utilità dell’arte in generale. Credo che coltivare l’arte ci renda esseri umani più completi, più capaci di comprendere, ci stimola a conoscere e quindi ad ampliare i nostri orizzonti. La musica non è semplicemente qualcosa che si consuma in modo inconsapevole. E’ qualcosa che si vive in modo attivo, sia da ascoltatore che da musicista.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Hollowscene
Più facile dire cosa vorremmo seguisse. Di idee ne abbiamo tante. Si tratta di metterle in pratica. Innanzitutto vorremmo portare questo album (e il precedente) live. La musica è un’arte effimera, svanisce nello stesso momento in cui la si produce. In questo senso è diversa da quasi tutte le forme d’arte. Oggi possiamo fissarla in una registrazione, ma non è la stessa cosa che ascoltarla dal vivo. Mi piace immaginare la musica registrata come una realtà a due dimensioni, mentre la musica live è una realtà a tre dimensioni. Per questo va eseguita dal vivo, per poterla apprezzare nella sua interezza. Per cui, la prima cosa che stiamo cercando di fare, è di organizzare un tour di date per questo progetto. Ma non è cosa facile. La nostra band è numerosa e presenta pertanto una sfida organizzativa non da poco.
Poi, ci sono almeno altri due brani (entrambi basati su testi di T.S. Eliot) che vorremmo finire di arrangiare e portare dal vivo.
Infine il lavoro sulla Waste Land è solo iniziato. Abbiamo realizzato una parte su cinque, quindi ci aspetta ancora moltissimo lavoro per completarla!
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Hollowscene
Grazie a te per darci la possibilità di raccontarci!

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