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Il disertore – Giuseppe Dessì

7 min read
Punto di fuga Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 224
ISBN  9788887239157
Prezzo € 14,46
 
Silenzio, solo silenzio
 
 
Dopo aver letto lo splendido Paese d’ombre ho deciso che era necessario conoscere meglio questo autore sardo che tanto mi ha stupito per le indubbie eccelse qualità letterarie, onde anche verificare che quella non fosse da considerarsi un’opera unica e fortunata. È così che ho reperito, non senza difficoltà, Il disertore (e mi sto ancora chiedendo come sia possibile che noi italiani ci dimentichiamo i lavori di artisti così grandi, spesso andando a preferire altri, magari accattivanti, ma senz’altro qualitativamente inferiori).
È questo un romanzo più breve, ma più complesso, scritto nel solito italiano perfetto, senza tanti fronzoli, per nulla dispersivo, anzi intenso in ogni frase. Non sto a raccontare la vicenda, di indubbia originalità, con questa povera madre che ha perso gli unici due figli nel corso della prima guerra mondiale che, nella trama, è finita da poco tempo. In verità caduto in combattimento è solo il più vecchio, mentre il più giovane, dato per disperso, ha invece disertato e arrivato, fra mille traverse, nella sua isola va a morire nella capanna in montagna dove lavorava il latte degli ovini.
Il conflitto, quell’enorme mattanza, ha lasciato i suoi segni e il sangue dei morti si è riversato inesorabile sui vivi; in tanti hanno perso un familiare, in troppi c’è una sofferenza che con il tempo s’indebolirà, ma in una madre che è stata privata delle sue due uniche creature, una povera donna in tutti i sensi, si è aperto un tempo senza futuro, una lenta silenziosa agonia in cui il dolore regna sovrano; ci sono poi quelli che hanno sperato in un mondo più giusto, che si sono illusi con le false promesse e che, sulla scorta del successo della rivoluzione bolscevica, reclamano quei diritti sempre a loro negati e inoltre c’è una classe reazionaria che intende mantenere a ogni costo i suoi privilegi, ricorrendo anche alla forza e appoggiando apertamente il nascente fascismo; e infine, in contrapposizione a coloro che soffrono in silenzio i loro caduti, ci sono quelli che vogliono ricordarli pubblicamente, dando vita a cerimonie e monumenti pasciuti di quella retorica che è sempre foriera di nuovi conflitti. In questo scenario, fra scontri di piazza, non solo verbali, tanto che ci scappa anche il morto, ci sono tre personaggi di grande umiltà che danno vita al racconto: la madre dei due figli caduti, Mariangela Eca, una donna che sembra un’ombra, Don Pietro Coi, viceparroco del paese,  un sacerdote scomodo, perché non allineato con i potenti, e il dottor Urbano Castai, medico di un altro villaggio, amico dall’infanzia con il prete, persona capace nella sua professione, uomo libero e indipendente, e perciò visto come strano o addirittura come anarchico. Ognuno dei tre ha un ben preciso ruolo: la prima, la donna, è il ritratto dell’intenso dolore rappresentato dal suo silenzio, il secondo è l’uomo di fede tormentato da un dubbio irrisolvibile (infatti ha assistito il disertore morente, ne ha raccolto anche la confessione, con grande senso di pietà non solo come religioso, ma anche come essere umano e continua a chiedersi se ha fatto bene a non denunciarlo, un obbligo derivante dall’appartenenza allo stato); il terzo, il medico, nulla sa dell’uomo che ha disertato, ma lo intuisce e lo aiuta. Sono tre personaggi emblematici di tre esseri umani che sanno di avere una coscienza, che sono disposti a correre dei rischi per non andare contro questa coscienza, che non conosco alternative, mosse politiche o altro, perché hanno nell’animo quella fiammella che li distingue dalle bestie e inoltre, per loro natura, sono pacifici e di conseguenza, anche se non esplicitamente, aborrono la guerra,
Quindi, come nel caso di Paese d’ombre, i piani di lettura sono più d’uno, anche se nel caso specifico la ricerca intimistica è prevalente.
Sono cessati i fragori dei cannoni, gli strepitii delle armi, per chi se n’è andato, per chi è caduto sul campo di battaglia deve restare solo il silenzio a fronte di roboanti commemorazioni che pretendono di rendere collettivo un dolore che può essere solo individuale.
Nell’assenza di suoni e rumori che chiude il libro si viene vinti dalla commozione, si resta un poco assorti nel pensare alle vittime di quella carneficina e anche noi apprezziamo cosa è il valore e il significato di quel silenzio.
Imperdibile. 
 
Giuseppe Dessì nacque a Cagliari il 7 agosto 1909 e trascorse a Villacidro, cittadina alle pendici del Monte Linas, una difficile, inquieta adolescenza. La scoperta casuale di una biblioteca murata che custodiva, assieme a tanti altri libri, il Catéchisme positiviste e il Cours de philosophie di Comte, il Discorso sul metodo di Cartesio, l’Ethica di Spinoza, la Monadologia e la Teodicea di Leibniz, il Piccolo compendio del Capitale di Cafiero… fu l’occasione per disordinate letture filosofiche e letterarie che lo portarono sull’orlo della follia.
L’intervento del padre (ufficiale, e eroe della prima guerra mondiale), che mitigò il ‘determinismo’ filosofico con la poesia, e un tardivo corso regolare di studi (Dessì fu allievo di Delio Cantimori, allora giovanissimo storico, al liceo “Dettori” di Cagliari) portarono nel 1931 quello che era stato un tempo uno studente ribelle in una delle città universitarie più prestigiose d’Italia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa.
Lì Dessì frequentò, oltre a Varese (che aveva già conosciuto in Sardegna, grazie a Cantimori), Carlo Cordié, Mario Pinna, Carlo Ludovico Raggianti, Aldo Capitini…, laureandosi nel 1936, dopo avere studiato a lungo Tommaseo, con una tesi su Manzoni discussa con Luigi Russo.

I giovanili racconti della Sposa in città e il primo romanzo, San Silvano, segnarono nel 1939 il felice esordio di uno scrittore che con opere di narrativa e teatro avrebbe confermato nel tempo, nel panorama italiano, la scelta di una presenza letteraria e culturale costante, coerente, coraggiosa, discreta. Salutato da Gianfranco Contini come il “Proust sardo” (il saggio-recensione a San Silvano apparve nell’aprile del 1939 su “Letteratura” con il titolo programmatico di Inaugurazione di uno scrittore), Dessì avrebbe proseguito su una strada di ricerca e scrittura originale e personalissima (del 1942 il romanzo ‘bipartito’ Michele Boschino), pubblicando, nei lunghi intervalli tra un romanzo e l’altro, in rivista (e poi in volume) numerosi racconti. Del 1949 una fiaba-libro per ragazzi e adulti, Storia del principe Lui; del 1955, in pieno clima di neorealismo, I passeri, un romanzo che continua ad obbedire alle leggi più tipicamente dessiane della relatività della conoscenza sullo sfondo di grandi avvenimenti storici; del 1959 l’Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo, primo romanzo esplicitamente dedicato a quell’alter ego che sarebbe stato costante presenza nella narrativa di Dessì, a partire dal primo racconto-prefazione alla Sposa in città fino alla postuma Scelta. Del 1961 Il disertore, romanzo breve che si muove su piani diversi di sentimenti, di spazi, di tempo, e del 1972 l’ultimo libro compiuto, Paese d’ombre, tentativo di offrire su un impianto di tipo tolstoiano la storia di un personaggio, di un paese, sempre approssimata altrove per sparsi frammenti.

Quasi sempre lontano dalla Sardegna, pur sempre presente alla sua tensione narrativa, sfondo costante di romanzi e racconti drammatici (al teatro di Dessì, rappresentato spesso con notevole successo di pubblico e di critica, vanno ascritti testi di preciso impegno politico: La giustizia, Qui non c’è guerra, Eleonora d’Arborea; mentre La trincea inaugurò nel 1962 la seconda rete televisiva), Dessì fu costretto a spostamenti continui (dopo la Pisa degli anni universitari e Ferrara – dove avrebbe fatto parte del gruppo dei cinque amici di cui parla Bassani in Concerto -, Sassari, Ravenna, Teramo, Grosseto…) da una contrastata carriera di Provveditore agli Studi che si concluse a Roma, dove si trasferì negli anni 50, distaccato all’Accademia dei Lincei. Ma con la Sardegna, dopo la Pisa (e la Toscana) della giovinezza, altre città hanno avuto un’incidenza determinante nella privata biografia e nell’opera: la Ferrara degli anni 40 e Roma, dove visse per oltre un ventennio fino alla morte avvenuta il 6 luglio del 1977.

Premiati in numerosi concorsi (si ricordi almeno il Premio Strega assegnato nel 1972 a Paese d’ombre, tradotto subito nelle più importanti lingue) i libri di Dessì non sono ancora conosciuti e diffusi come meriterebbero, sia in Italia che all’estero; non è stata data l’importanza che meritava al romanzo incompiuto, La scelta, pubblicato postumo nel 1978 da Mondadori, né alle raccolte degli scritti dispersi sulla Sardegna, che si possono sicuramente includere tra le sue pagine più belle e che meritano di essere studiate, come il resto della sua opera, quale produzione di un “classico” del Novecento.

In seguito a generosa donazione della moglie Luisa Babini e del figlio Francesco Dessì-Fulgheri le carte Dessì sono da anni depositate all’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto G. P. Vieusseux di Firenze, a disposizione degli studiosi.
(Dalla Biografia a cura di Anna Dolfi, ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Firenze)
Fonte Fondazione Giuseppe Dessì

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