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L’infinito lunare – Giuseppe Bonaviri

4 min read
A cura eintroduzione di Sarah Zappulla Muscarà
Bompiani Editore
www.bompiani.eu
Narrativa racconti
Pagg. 288
ISBN 9788845260711
Prezzo € 9,20

Oltreil palcoscenico

Basterebbe come commento la superlativaintroduzione di Sarah Zappulla Muscarà, perché in fondo di questa raccolta diracconti si può scrivere tanto, ma bene come in quelle paginette penso siafrancamente assai improbabile. Tuttavia, per la stima che ho di GiuseppeBonaviri e perché la lettura delle sue opere lentamente matura in me domande acui cerco di dare risposte, ritengo doveroso esprimere una mia opinione, un miogiudizio, un’interpretazione, magari non nuova, oppure addirittura azzardata.

Mi vado chiedendo da tempo perché l’autoresiciliano abbia scelto il genere fantastico per esprimere la sua visione delmondo e opera dopo opera sono arrivato alla convinzione che abbia ritenuto dirappresentare in questo modo una realtà sfuggente, un nesso logico che regolal’esistenza e che quasi sempre non riusciamo a cogliere, presi da comportamentie da atteggiamenti che ci vengono imposti e ci imponiamo come attori, anziquasi sempre comparse, di una rappresentazione che erroneamente crediamofermamente corrisponda a un’oggettività del nostro ciclo vitale. Non ciaccorgiamo, invece, che la nostra è una finzione e anche se lo intuiamopreferiamo proseguire per la strada intrapresa, in una commedia di cui ciilludiamo di essere, oltre che interpreti, anche registi.
Bonaviri capovolge così il concetto difantastico, scoprendo quel che accade dietro le quinte, quella realtà cheignoriamo e temiamo.
Nei dieci racconti che costituiscono L’infinitolunare, Martedina è il più lungo, quasi un lavoro a sé, e non èdifficile riconoscere nel dottor Zephir lo stesso Bonaviri che, anzi, nelleprime pagine fa apparire anche parte della sua famiglia, un legame affettivoche entra in contrasto con la naturale insoddisfazione di fondo dell’uomo,sempre teso a gettarsi in avanti, senza volgersi indietro. Il viaggiodell’astronave verso i confini dell’universo, con descrizioni fantastiche equasi cinematografiche, è un’odissea nello spazio, è un brancolare di poveriesseri che cercano una ragione della loro esistenza, sebbene inutilmente, per un crudele destino, un supplizio di Tantalo che è cruccio e turbamento di ogniuomo.
Se la Terra è un po’ stretta, altrettanto si può dire per quell’incapacità di non riuscire a comprendere il perché cisiamo e, soprattutto, il perché dobbiamo finire. Così anche il fantasticarediventa il frutto del nostro inconscio, di quel tarlo sottile cheossessivamente pone una domanda alla quale non riusciamo, né possiamo darerisposta.
E sempre la fantascienza domina in GiovanniVerga sulla luna, scelta quanto mai felice, attesa l’evidentediscrasia fra la fantasia del racconto e il dolente verismo dell’autore di IMalavoglia. Peraltro, in una narrazione che ricomprende personaggi quantomai disomogenei, come il comico Ollio e Mastro Don Gesualdo, in una visioneonirica del nostro satellite c’è tutta la disillusione di Bonaviri per la razzaumana, per tutti quei poteri che l’appestano e che la dominano, accomunandoindustriali a politici e mafiosi, in una società del futuro, che già esisteperò, in cui non si trova di meglio per risolvere il problema della penuria dilavoro di eliminare i disoccupati, oppure di allevare bimbi affinché possanocostituire magazzino di organi di ricambio per chi presiede ai nostri destini erifiuta non solo la morte, ma anche l’invecchiamento. Eccessivo, azzardato? Nondirei proprio, con i tempi che corrono, con la disumanizzazione dellaglobalizzazione e con l’artificiosità di una quasi eterna giovinezza dipersonaggi che non hanno altre doti se non il potere.
E gli altri otto racconti? Non ne parlo, manon perché non ne valga la pena, bensì perché questi due di cui ho scritto sonoserviti più degli altri a elaborare l’opinione di cui prima ho più diffusamentedissertato. E’ campata in aria? E’ più che probabile che lo sia, anche se pensoche Bonaviri, se avesse avuto la possibilità di venirne a conoscenza, non sisarebbe indispettito e forse, con quel senso di autoironia che permea tutte lesue opere, avrebbe finito per trovare in una di esse un posticino anche per me,che so magari un sasso, o un corvo spennacchiato che sul viale del tramontocerca invano di comprendere come mai il sole si nasconda la notte, o perchél’uomo cerchi sempre di precedere la sua ombra.
Appollaiato sulla spalla dell’anzianomedico io corvo mi illudo 
di vedere come lui oltre il sipario, dietrole quinte, con un volo di fantasia che scopre la realtà.
S’ode lontano il suono delle campane diMineo, il sole si sotterra nell’altopiano di Camuti, qui tutto sembra nascere epoi rinascere, in un paesaggio in cui lo stormire delle foglie al vento èdiverso da albero a albero, in cui anche le pietre parlano, un posto in cui chiha orecchie per sentire, occhi per vedere e cuore per percepire può ancheconoscere il vero senso della vita, come Giuseppe Bonaviri, appunto.  
 
Giuseppe Bonaviri, nato nel 1924 a Mineo, in provincia di Catania, è scomparso nel 2009. Primo di cinque figli di un sarto,Bonaviri ha vissuto per anni a Frosinone dove ha esercitato la professione dimedico. Fra le sue opere più note: Ilsarto della strada lunga, Il fiume di pietra,  La divina foresta, Nottisull’altura, L’enorme tempo, Silvinia, L’infinito lunare,  Il dottor Bilob,L’incredibile storia di un cranio, Il vicolo blu.

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