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La fabbrica del cioccolato

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La fabbrica del cioccolato

 

 

Se dovessi pensare ad un personaggio interpretato da Johnny Depp che rassomigli a Willy Wonka mi verrebbe in mente Roul Duke (quello di Paura e Delirio a Las Vegas). Willy sembra perennemente sotto acido, stupito dalle stesse cose che conosce, inorridito dai bambini, in preda a incontrollabili smorfie o tic facciali.

E i riferimenti visivi alle droghe non sono neanche troppo velati. I funghi del “giardino delle delizie” di Wonka assomigliano troppo all’amanita muscaria e ai funghi allucinogeni messicani, le gomme e le carammelle sembrano pasticche e trip. E poi assistiamo a muri e pavimenti che si sciolgono, flash(back) lisergici, colori così nitidi e saturi da essere irreali, iperboli visive degne del migliore dei viaggi.

Tim Burton ci guida in un vero trip psichedelico trasformandolo di volta in volta in un racconto alla Dickens, in un musical, in alcuni momenti di macabra cattiveria e in una favola morale e poetica.

Il mondo delle favole per Burton ha sempre il suo lato di ombra e mistero. Anche dalle situazioni più fantasiose può scaturire un’inquietudine, un momento in cui la porta si scosta e i mostri entrano dentro la stanza.

Ogni bambino, tranne quello vincitore, avrà una piccola e cattiva lezione sulla vita, pagando pegno proprio per quella caratteristica che lo contraddistingue dagli altri. I bambini sono in realtà dei piccoli mostri, delle creature che si sono sviluppate dal delirio del mondo in cui viviamo.

In Charlie, invece, ci sono tutte quelle caratteristiche proprie dell’infanzia. La purezza, la generosità, la bontà di cuore. Tutte piccole virtù che il corso degli anni, poi, contribuisce ad uccidere. Ma qui, in un’epoca sospesa tra il tardo vittorianesimo e le delizie tecnologiche di oggi, sembra che siano questi i sentimenti per cui vale la pena vivere e tirare avanti. Sentimenti che lo stesso Wonka capirà di aver perduto e che riconquisterà proprio alla fine, trovando una nuova famiglia. Ricostruendo nella sua fabbrica del cioccolato (il mondo dei propri sogni) la casa storta ed espressionista dove la famiglia di Charlie viveva.

Burton non perde occasione per disseminare nel film le più svariate citazioni. Dal suo Edward mani di forbice fino ad una spassosa parodia di 2001:Odissea nello spazio dove alle scimmie deliranti invece del monolite appare una barretta di cioccolato.

Ma il vero punto di forza e di stupore del film sono i balletti musicali, una sorta di commento morale e allo stesso tempo dozzinale e televisivo sulla sorte dei vari bambini. L’invenzione degli Umpa Lumpa è a dir poco geniale e le loro coreografie ti fanno morire dalle risate.

La fabbrica del cioccolato mi sembra una favola acida, dove il sogno può trasformarsi da un momento all’altro in paranoia, dove le cose più buone possono diventare le più orride (il palazzo di cioccolata che si scioglie sembra una colata di merda). Ma dove qualcosa di puro trova ancora la forza di resistere e crescere. E purezza al giorno d’oggi significa non farsi corrompere dalle mille illusioni e dalle mille luci che ci circondano. Purezza significa pensare anche agli altri prima di se stessi. E significa anche avere delle persone da amare e che, a loro volta, ti amano.
Triste e bellissima come sempre Helena Bonham Carter.

 

Emiliano Bertocchi

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