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Gina Marpillero

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Gina Marpillero

Gina Marpillero,
nata ad Arta Terme, in Carnia, si è fatta straordinaria narratrice della storia più intima e segreta delle nostre terre, del nostro Friuli. Dopo "Essere di paese", "Mê mare ‘a diseve" e "Storie di donne friulane", che vedremo a giorni in una nuova veste grafica, sta per tornare con un libro carico di altri coinvolgenti e forti sentimenti. Per anticipare questo prossimo emozionante viaggio, le abbiamo chiesto di riportarci, attraverso i suoi occhi della bambina e adolescente che fu, al "nostro" passato, alle nostre tradizioni; e lei ci ha preso dolcemente per mano e ci ha donato i colori, gli odori, i sapori e le abitudini di un tempo scomparso, di un paese dei primi del ‘900.
"Io sono sempre stata innamorata dei paesi e della gente di paese, – narra – delle donne brutte che venivano per casa, senza denti e col fazzoletto in testa. Le "Donne friulane", che rappresentano tutto il paese, sono rimaste per me importantissime, sono quasi come una forma di mania. Non ero amica della moglie del segretario perché non mi piaceva; mi piacevano le donne molto semplici, modeste, perché le trovavo intelligenti e mi meravigliavo che fossero nello stesso tempo così intelligenti e così mal vestite. Le ho amate fin da ragazzina. Ed ero innamorata di tutto quello che era campagna, che era anche povertà e ho voluto fare tutte le cose che queste donne facevano, anche tagliare l’erba nel prato e portare il fieno sulla testa. Apprezzare le persone, le cose, le tradizioni, è qualcosa che nasce da dentro inconsapevolmente e nei miei libri non so uscire da questo tema, perché credo sia importante conservare tutte queste cose, la tradizione.
Tutto un tempo era vissuto in maniera diversa. Anche i funerali: tutta la gente vi partecipava e la cerimonia non era triste; era magari una cosa naturale che una persona anziana morisse e la si andava a visitare, la si baciava, la si onorava. Oggi non è più così. Le cerimonie e le feste religiose, la messa, il Natale: erano per me tutti divertimenti. C’era una specie di miseria poetica, mentre adesso c’è un’abbondanza che fa quasi senso e che soffoca il reale significato delle feste, che sta uccidendo le antiche abitudini. Tutte le cose venivano vissute in modo poetico, pur essendoci miseria e tutto ciò che allora era poetico oggi è solo molto commerciale. Ricordo che mia madre ci diceva sempre: ‘Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma in polpettine’, perché se rimaneva del risotto, ci aggiungeva dell’uvetta e del limone e otteneva delle polpettine dolci. Si recuperava tutto, proprio come ora si butta tutto.
Ricordo le rogazioni bellissime, quell’andare tutti insieme in processione durante le feste, le feste sulle montagne in occasione delle quali mettevo il vestitino nuovo, i biscotti pepati che vendevano. Sono tutte cose dolci che ricordo e mi piace scrivere della gente povera, non di quella ricca e delle sue comodità, perché solo i poveri mi davano piacere e affetto. Ricordo la donna di servizio, Cristina: una volta è dovuta andare in auto e si è sentita male. Allora ha esclamato: ‘Che pena mi fanno quei signori che devono andare in macchina!’ ".
…usi e costumi che l’hanno resa felice, dunque.
"Sì, ho passato una giovinezza veramente bella, ricca, anche se economicamente non lo ero. Facevo un po’ la sarta, mi facevo i vestiti da sola. Ho visitato Venezia una sola volta, per vedere il principe Umberto. Noi ragazze siamo andate vestite in costume a ballare per lui in piazza San Marco. Avevamo ‘lis scarpetis’, una mi è uscita dal piede e ho dovuto fermare la fila delle ballerine…una vergogna!"
Cosa direbbe guardando al futuro?
"L’augurio che mi farei è quello di tener duro tutto quello che sta fuggendo via, ma ho paura che non sia possibile. Resteranno solo le memorie, mie e di altre persone. Credo sia importante conservare le tradizioni e l’importanza la si sente proprio quando si ha paura che scompaiano. E adesso la lingua friulana è ‘sui paradòos’, in punto di morte. Ma lo è da tanto perché già quando ero signorina la Filologica Friulana aveva stampato e affisso nelle osterie e negli alberghi dei volantini con scritto ‘Friulani parlate friulano’. Adesso tale dialetto è ancora più in pericolo. È una cosa un po’ sempre in bilico, così come lo sono tutte le tradizioni; basta pensare alle streghe: già Carducci aveva detto che le streghe erano come addormentate.
Così c’è tutto un recuperare, perché non vogliamo credere che sia vero che tutto stia morendo. E allora non lasciamo che muoia!".

Francesca Orlando

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