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Gettare la maschera

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Gettare la maschera
Sesto Classificato

"Non pensi che sia ora di gettare la maschera?"
Glielo aveva detto con un tono che subito non aveva lasciato troppi dubbi a Pietro. Lei aveva capito tutto, aveva pensato quando lei aveva detto quella frase, mentre rientravano passando per il parco, dopo la cena ai "due mori". Lei sapeva.
Solo più tardi, quando si era calmato, aveva iniziato a cambiare idea. Lei non poteva avere capito tutto. Forse aveva dei sospetti, forse aveva iniziato a collegare gli errori che non era riuscito ad evitare in quell’ultimo periodo, ma non c’era nessuna possibilità che avesse veramente colto il quadro d’insieme.
L’aveva uccisa per niente. Ne era quasi sicuro.
E ora era tutto all’aria.
Un altro errore. Ed era veramente uno di troppo.

Forse poteva tenere nascosta la sua morte per un giorno, massimo due, se avesse raccontato qualche grossa bugia. Ma se si fosse spinto troppo per coprirne la scomparsa tutti i sospetti, dopo, sarebbero stati su di lui. E non era sicuro di volerlo. La storia non sarebbe finita bene comunque, ma non si poteva mai dire. Se non avessero pensato che era lui l’assassino di Giulia, magari, quando poi sarebbe uscito di scena, nessuno l’avrebbe cercato.
Del resto era arrivato a Trento da soli tre mesi, con la scusa di una ricerca geologica. E se non fosse stato per Giulia, assolutamente fondamentale per il suo piano, nessuno l’avrebbe neppure notato. Un ombra tra la gente. Quella era la sua specialità.
Ma con Giulia le cose non erano andate come previsto. Lui si era presentato, l’aveva corteggiata, e lei lo aveva fatto entrare nei giri dell’Università, come aveva sperato. Ma era, d’altro canto, sempre stata una mina vagante. Il suo carattere, le sue attenzioni l’avevano sconcertato, e aveva abbassato la guardia.
L’aveva sorpreso telefonare agli altri, e aveva trovato uno dei messaggi, fortunatamente in codice, che gli avevano fatto recapitare.
A pensarci bene, probabilmente l’aveva anche seguito un paio di volte. Forse era lei la figura che aveva scorto quando si era incontrato con Lia per passarle le prime foto che aveva scattato. E probabilmente era lei anche l’altra sera, in quella macchina parcheggiata in fondo al viale, dopo il secondo rendez-vous.
Peccato, pensava, mentre guidava verso nord, con il suo cadavere nel bagagliaio, in fondo le volevo bene. Una persona forte e intelligente. Forse troppo.
Arrivato alla curva prima di villa Redrighi, imboccò lo sterrato e continuò fin quasi al fiume. Sperava che con il freddo che c’era stato tutta la giornata a nessuno fosse venuta voglia di una passeggiata serale.
Si fermò, spense i fari, accese una sigaretta e la fumò.
Pensava. Come poteva avere capito? Il suo gruppo l’aveva seguita per quasi un anno prima che facessero entrare lui. Sapevano che lei non si interessava di biochimica, né di politica. Era la persona che meno avrebbe potuto intuire il loro complotto di quelle che erano state prese in esame. Ed era abbastanza buona amica di alcuni ricercatori per essere di casa nei reparti che volevano sabotare.
Come aveva fatto a capire?
Ripensò a tutto quello che era capitato in quegli ultimi giorni. Sì, lei era un po’ nervosa, ed era a volte brusca con lui, per poi tornare dolce e affettuosa subito dopo, quasi scusandosi dei suoi eccessi. Erano andati a letto insieme per la prima volta tre settimane fa. Un errore, e lo sapeva. Ma non era riuscito ad evitarlo. Giulia era una donna affascinante e lui ne era stato colpito. Ma se era stato un errore, si era guardato bene dal ripeterlo. Aveva rifiutato, dopo quella sera, di andare da lei dopo cena, se non c’era anche qualche altro amico.
Gli era costato, ma in quelle cose troppo coinvolgimento è sempre rischioso.
Del resto, quanto tempo il suo gruppo aveva impiegato per quella missione? Anni. Anni per riuscire a sapere in anticipo i ricercatori per il nuovo componente. Il governo cambiava fornitori molto spesso, e ad ogni gruppo faceva sviluppare solo una parte dell’agente. Loro erano venuti a conoscenza della cosa quasi per caso e avevano investito tutte le energie che avevano per tentare di fermare quella macchinazione.
Chi era lui, per rischiare di rovinare tutto, si era detto allora, quando aveva deciso di mettere qualche paletto nei rapporti con lei. Certo che se avesse saputo come sarebbero finite le cose…
Era lì da abbastanza tempo. Uscì dalla macchina e aprì il bagagliaio. Si sentivano solo i versi dei gufi, e il vento tra le foglie, quando si fece forza, e, dopo aver messo in un sacco la torcia e la pala, sollevò il corpo della ragazza caricandoselo in spalla e si incamminò verso l’argine.
La buca non doveva essere molto profonda. L’avrebbe poi coperta con uno dei tronchi caduti per la tempesta della settimana prima, e qualche pietra.
Finito di scavare distese il corpo e l’osservò per l’ultima volta. Sì, questa missione aveva richiesto un prezzo troppo alto per lui. Coprì il corpo come si era prefissato, e si accorse che aveva il volto rigato di lacrime.

Tornato in macchina mise di nuovo nel bagagliaio torcia e pala. Stava per chiudere quando si accorse che la sua borsetta era rimasta lì, in un angolo. La prese, indeciso sul da farsi.
"E’ ora di gettare la maschera" gli aveva detto.
Aprì la borsetta e si accorse che c’erano alcune foto. Entrò in macchina e accese la luce sopra al posto del guidatore. Le prime le ritraevano di spalle mentre camminava per il viale vicino all’università. Poi c’era un primo piano suo e di Lia quando aveva fatto la prima consegna. Ma non si vedeva nessuna consegna. Solo lui di spalle e il volto di Lia che sorrideva. Altra foto con lui e Lia, da un angolazione leggermente diversa.
Poi una foto solo di Lia con il viso scarabocchiato con un pennarello rosso. "Troia", c’era scritto. E nell’ultima c’era il suo viso a tre quarti, probabilmente mentre tornava indietro, su cui Giulia aveva scritto "BastardoP". O era un punto interrogativo l’ultimo elemento in fondo?

Di certo, pensò, c’era solo una cosa: lei aveva cercato di sollevare la maschera, ma il suo volto, sotto, non era quello che si aspettava. Lei era morta, e lui non aveva neanche l’alibi mentale di averla uccisa per difendere la sua missione. Ormai le cose erano andate così e non poteva farci nulla, ma lì, da solo in macchina, al freddo della notte, sentiva i muscoli del viso irrigidirsi in una smorfia triste, e si rese conto che qualcosa dentro di lui si era incrinato per sempre.

Mauro Zironi

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