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A beautiful mind

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A beautiful mind

Università di Princeton 1950: il gruppo di studenti della facoltà di matematica rappresentano il futuro degli Stati Uniti d’America. Sono gli eredi diretti dei geni che hanno decifrato i codici tedeschi e giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Fra di loro c’è John Forbes Nash Jr., il più promettente di tutti. Trovare un algoritmo che lo porti alla fama, un’equazione rivoluzionaria che sveli una nuova teoria economica è la sua ragione di vita. Lo si vede inseguire i piccioni nel parco, decifrare i movimenti e gli spostamenti durante una rissa, scrivere le proprie formule sulle finestre del campus universitario. E come spesso succede, un personaggio così originale non ha molti amici: solo il suo compagno di stanza sembra capirlo ed assecondarlo nel suo desiderio di emergere. Grazie anche al suo appoggio, John riesce ad elaborare una nuovissima teoria che sconfessando celebri sistemi precedenti fino ad allora ritenuti inattaccabili, lo porta ad essere la persona più adatta per entrare al celebre MIT, il posto più ambito di tutti i matematici americani.
Oltre della ricerca, l’uomo si occupa, malgrado il suo scarso entusiasmo, dell’insegnamento. Il genio matematico di John Nash brilla in tutto il suo splendore, e la rapida fama non può che portarlo ad essere avvicinato dalle forze armate americane. Siamo in piena guerra fredda, il Paese è in forte tensione nei confronti dell’Unione Sovietica che si suppone abbia riempito il territorio americano di spie. Al primo contatto con i vertici delle Forze Armate, John Nash si rivela preziosissimo nello scovare chiavi d’accesso ai messaggi in codice dei sovietici. Dopo quest’immediato successo, gli viene affidato l’incarico Top Secret di scoprire, scovando codici che si suppone siano inseriti fra le righe dei quotidiani, una fantomatica bomba atomica che un gruppo armato sovietico avrebbe posizionato sul suolo americano pronta a colpire. Dopo i primi entusiasmi, il matematico comincia ad essere colto da inquietudine, pensa di essere seguito, ed inoltre il capo diretto della missione è un misterioso personaggio per niente tranquillizzante. Ma in questo momento di tensione, la vita sentimentale di John, cambia radicalmente: conosce una ragazza del suo corso che sembra essere molto interessata a lui, ed andare oltre alle sue stranezze ed alla sua grande timidezza. I due, dopo una breve frequentazione, si sposeranno ed avranno un bambino. Il matematico non può rivelare alla moglie la propria missione, ma la consapevolezza di essere seguito e spiato e di non essere più al sicuro, lo costringe a troncare ogni rapporto con il governo degli Stati uniti e a svelare alla moglie la natura della sua missione. A questo punto subentra il vero colpo di scena: Nash è in realtà schizofrenico, si è inventato un mondo che non esiste, il capo della missione, i codici spia, la bomba atomica da fare esplodere sono solo frutto della sua mente. Nemmeno il suo ex compagno di stanza, che spesso viene a trovarlo con la sua nipotina, non esistono: all’università era in una camera singola, nessuno abitava con lui.
Nash viene rinchiuso in una clinica e sottoposto a trattamenti d’elettroshock e a forti dosi di tranquillanti.
L’uomo, dopo una lunga degenza, torna a casa, ma continua ad essere accompagnato dai suoi incubi. È ancora convinto della missione e di essere perseguitato dai russi che lo vogliono rendere inoffensivo alla loro causa. Non riesce più a distinguere ciò che è reale e ciò che non lo è, finché un giorno (grazie anche al forte e costante appoggio della moglie) capisce che i personaggi di cui è convinto l’esistenza e che continuano ad accompagnarlo (il suo ex compagno di stanza e la nipote, nonché il capo della missione top secret) non invecchiano mai. All’inizio continuano ad ossessionarlo e tenta di scacciarli violentemente, ma poi decide di convivere con loro e di ignorarli. Si impone di seguire quella che lui definisce "dieta della mente", tornando a pensare in un mondo reale, rinunciando alla tentazione di lasciarsi trasportare dal sogno, dalla fantasia e dall’astratto matematico. Vivrà il resto della sua vita con la moglie, riuscendo a reinserirsi nella società tornando ad insegnare all’università. Continuerà a vedere i suoi fantasmi, ma li accetterà come vecchi compagni di viaggio. Questa straordinaria ed incredibile storia, è in realtà la vera vita del matematico John Nash, attualmente ancora insegnante ed ancora sposato, insignito nel 1994 del premio Nobel per le sue rivoluzionarie teorie matematiche applicate all’economia, e rivelatesi in tempi più moderni, assolutamente azzeccate.
Da un punto di vista cinematografico, il film diretto da Ron Howard è una pellicola
inutile3.
Serve solamente ad incrementare la fama di un bravo attore come
Russel Crowe, che con tutta probabilità vincerà l’Oscar per quest’interpretazione, e a far incassare nelle tasche del regista e del produttore, svariati milioni di dollari.
Il film, fortemente contestato e contrastato dallo stesso John Nash, come del resto il libro scritto da Sylvia Nasar, dal quale è stata tratta la pellicola, pone già dubbi sulla legittimità dell’operazione e sul diritto di un uomo alla sua vita ed alla sua privacy. Anche se le nobili intenzioni di far conoscere un genio come John Nash a tutti ripagandolo in qualche modo di una vita sfortunata siano vere (anche se in cuor mio sono convinto che sia il libro, sia la pellicola sono in realtà abili e calcolate mosse commerciali), ciò non giustifica il comportamento di fronte alle giuste opposizioni della persona coinvolta. Ma al di là dei giudizi morali, il film di Ron Howard, tanto per non smentire lo stile del regista, diventa eccessivamente forzato, sia negli aspetti romantici sia in quelli drammatici. L’impressione generale che si ha è quella forse di un’eccessiva forzatura delle situazioni (probabilmente abbastanza lontane dalla realtà) che vogliono trasformare la pellicola in una sorta di favola a lieto fine, e il protagonista con connotazioni troppo cinematografiche. Non è un tributo vero all’esistenza di un uomo geniale e malato, è lo sfruttare una storia per far "piangere" e commuovere il pubblico. È cercare episodi originali successi nella realtà (come era stato per il precedente "Apollo 13") per sopperire ad una mancanza di sceneggiature e sminuirli in un prodotto banale e di facile consumo. La qualità perde, l’industria cinematografica vince, Russell Crowe ringrazia per l’Oscar, ed il circo continua … e noi nostalgici degli Happy Days rimpiangiamo i bei tempi in cui Ron Howard era solo un attore, ed un puro come
Ricky Cunningam4 non si sarebbe mai venduto per la fama e il successo…..

Andrea Leonardi

3
Leo non è tenero, a volte.

4
Anche se, personalmente, Ricky stava un po’ sulle palle anche allora…

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