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Tanto rumore per nulla

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Tanto rumore per nulla

Sto parlando naturalmente di “Porzus”, uno dei film più attesi della
54esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia. L’attesa era giustificata dal tema trattato, ovverosia un vero e proprio eccidio compiuto dai partigiani comunisti del Gap ai danni della brigata partigiana Osoppo, di ispirazione cattolica e apertamente anticomunista. La storia si svolge sul finire della IIa guerra mondiale in una località della provincia di Udine al confine con la Slovenia di Tito. Le due brigate protagoniste del film sono apparentemente unite nel nome dell’antifascismo, ma dichiaratamente divise nelle modalità e nelle ideologie. Da una parte i cosiddetti
Gappisti, gestiti direttamente dal PCI e in odore di appoggiare i comunisti Sloveni per costruire insieme una sorta di federazione europea comunista. Dall’altra parte c’è la brigata Osoppo che all’azione diretta sembra preferire il presidio e la negoziazione, forse anche con i fascisti stessi. La scintilla per la guerra intestina la fornisce un’imboscata anonima che costa la vita a qualche partigiano gappista; l’unica spiegazione possibile sembra essere una soffiata da parte della Osoppo ai fascisti, anche se non esistono prove certe. Il capo dei Gappisti, nome di battaglia Geko, non vuole sentire ragioni e aspetta solamente un ordine scritto del PCI locale per procedere con la sua vendetta, giustificandola in questo modo con l’accusa di tradimento. L’intera vicenda è rievocata da lui stesso, rifugiato proprio in Slovenia, e da uno dei sopravvissuti della
Osoppo, circa quaranta anni più tardi in una sorta di percorso della memoria senza attenuanti.
Il film promette molto ed esce in un periodo di revisionismo delle vicende della seconda guerra mondiale ma Martinelli, il regista, e lo sceneggiatore Scarpelli falliscono nell’obiettivo. Il risultato è una specie di western partigiano pieno di stereotipi come ad esempio il comunista sporco, disordinato e bestemmiatore contro il cattolico dai modi fin troppo gentili e i capelli corti. I primi sembrano cani randagi mentre i secondi sono raffigurati come partigiani da salotto nel comodo e innocuo ritiro montano. Martinelli getta benzina sul fuoco con effetti sonori e visivi da cinema d’azione ma ciò che manca
è la tensione ed il contenuto emotivo delle storie che si intrecciano in questa drammatica vicenda. A tratti addirittura i particolari scorrono troppo velocemente o sono dati addirittura per scontati, quando invece “Porzus” dovrebbe mettere a disposizione tutti gli indizi.
Il finale è aperto così come la vicenda reale. I due protagonisti del film, un improbabile Moschin nei panni di Geko vecchio ed un accademico Ferzetti in quelli di Storno, non salvano dalla mediocrità i loro corrispettivi giovanili come il bel Crespi (Geko giovane) che ha sempre lo stesso sguardo da sterminatore. Di buon livello comunque
è il cast che può contare sulla presenza di Cavina, Cederna, Giulia
Boschi e Lino Capolicchio. Una nota positiva: il film prolunga ulteriormente l’interesse degli italiani nei confronti di una pagina ancora oscura della nostra storia.

Michele Benatti

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