Paolo Virzì – 2008
Più che convincente, folgorante. Virzì indaga e la sua indagine è un tagliente compendio sociale e politico accessibile a tutti e scevro dal mostro della prosopopea. Il suo osservatorio non è patos della distanza e non è mai giudicante ma è quello di un pittore dai pennelli affilati che incide lucide quanto spietate immagini, compenetrate nella verità della tragicomica storia lavorativa contemporanea. Deflagra questo plot esagerato e surreale fatto di vite private che tentano di compattare un’etica fallimentare con un torbido qualunquismo autodifensivo. Sia Ferilli che Ghini, spietati e invasati manager della Multiple, che Mastandrea, sindacalista in oscillazione tra l’immobilismo opportunista della casta e l’autenticità, insieme al coro danzante degli altri attori, ben interpretano, ognuno per quel che serve, gli sconfitti personaggi assegnati dal copione.
Una coreografica comedie umaine mette in scena baroni universitari eccessivamente anziani, manager aziendali troppo simili a kapò; tremendamente cinici e politicamente accomodanti persino i compagni di università. L’iperbole tuttavia, non prospetta un punto di vista, ma aiuta a ritrarre, facendolo esplodere, un oggettivo sentimento di alienazione, irresponsabile quanto cieco nel suo essere evidente.
Isabella Ragonese è Marta, la protagonista, bravissima attrice ma ancor più incarnazione di un profondo principio identificativo femminile, quello di ogni donna italiana che ha studiato con un progetto nel cuore, che avrebbe bisogno di poche cose per essere felice, ma è costretta a vivere in un frustrante manicomio a cielo aperto e in condizioni di assurda deriva. Marta è lontana dall’anacronismo letterario o cinematografico: non è un’eroina del passato, non è Giovanna D’Arco e tantomeno Anna Magnani. E’ una donna del suo tempo, intelligente, veloce e razionale. Media tra l’onestà intellettuale e il principio di realtà, sempre in lotta con il rischio di passare dall’altra parte del mondo, quello ipnotizzato, mobbizzato, corrotto. L’onestà è sempre foriera di umiliazione e solitudine ma la nostra eroina ben si districa tra mille contrarietà e la follia di un mondo del lavoro violento e infelice, fatto di falsi sorrisi, acquiescenza, di spersonalizzante routine e devastazione dell’autostima.
Marta si salva con la forza dello sdoppiamento che mina senza depauperare una solida identità. Lo sdoppiamento è tra la sopravvivenza e la vita, dunque tra un lavoro da telefonista precaria in un call center e la radicata passione per la filosofia. Riuscirà a perseguire la propria strada mettendosi nei panni di una testimone del suo tempo. Trarrà spunto dall’orrore per consolidare l’esperienza, trascrivere, continuare a pensare attualizzando l’essere e l’esserci di Heidegger, riuscirà a far vivere quello che ha permesso a lei, fino ad allora, di vivere: la passione. Ottimo film-manifesto che incoraggia i giovani a scegliere, con ironia, la forza e la fiducia in se stessi più che l’autodistruttività.