Se in questo quadretto penoso di crisi identitaria individuale e planetaria, dove di certo i rappresentanti politici non fanno eccezione, si mettessero in campo la forza negativa e quella positiva accumulate dentro ognuno di noi in anni di oscurantismo comunicativo che ha sigillato e fossilizzato le parole anziché difenderle…sì, insomma se non si parlasse di categorie sociali ed economiche ma di classi sociali riuscendo quindi a mettere in campo lo spirito umano corporativo e non quello massonico e opportunistico nella definizione di sé stessi…forse si capirebbe meglio da dove si parte e dove di volta in volta si sta arrivando dapprima come individui e poi come individui in cerca di condivisione più che di branchi o sette sataniche allo sbaraglio. Non che la categoria non sia indicativa sul piano dell’appartenenza sociale, ma diviene troppo spesso scudo difensivo privo di dialettica, rischia di essere un recinto.
Se non abbiamo termini che sostituiscano le parole proletariato e borghesia, non abbiamo rinnovato un linguaggio e forse un’intera società e allora tanto vale usare vecchi punti di riferimento per tutti più comprensibili senza essere tacciati di vetustà. Può darsi che i prossimi anni saranno contrassegnati da un lavoro culturale che passi al setaccio il passato e trattenga solo cibo commestibile depurato di vecchi veleni. Può darsi anche che la verità sia da un’altra parte (vattelappesca dove). Può darsi ad esempio che in un paese come l’Italia, che produce pochi figli, la prole sia una variabile più che uno stato sociale e che dunque la parola proletariato non renda bene l’idea economica che a questo termine viene subito collegata. Può darsi che la borghesia abbia altresì superato la tanto ambita middle class americana e sia solo enorme ricchezza con poca cultura in poche mani piene di potere, oligarchia pertanto. Può darsi anche che siano cambiati i parametri di valutazione di una classe sociale laddove, sicuramente, il possesso di immobili fa la differenza anche rispetto al posto di lavoro fisso. Non più massima ambizione come negli anni del boom economico, quello dell’impiegato sembrerebbe infatti il ruolo ancora necessario ma tristemente torbido di un generalizzato Fantozzi fuori moda e fuori contesto, traguardo di future generazioni di extra-comunitari che rispetto ai loro punti di partenza toccheranno il cielo con un dito. Ma ad oggi trattasi di operaio specializzato retrocesso a manutentore ordinario di macchinari, illuso di possedere certezze e un reale contratto di lavoro da proteggere. E gli operai chi sono? E quanti lavori sono catene di montaggio?
Ma ancor più è la definizione di democrazia a sfuggire a qualunque rappresentatività. Se è vero infatti che nell’etimologia c’è il demos ateniese, a cui si associa il kratos, utilizzarla ancora non assolve a nessuno dei due significati etimologici non esistendo un popolo e ancor meno una sorta di kratos, di potere effettivo nelle sue mani, per quanto ci si possa sforzare per trovare una classe sociale moderna corrispondente a questo antico significato che qualche persona più dotta di me saprebbe storicizzare meglio. Ma allora non bisognerebbe trasformare la democrazia, al momento avvolta solo da un’ombra di rappresentanza effettiva, in possibilità di accesso per tutti alle stesse cose e rispetto al proprio valore e alle proprie risorse? Anche internet…non è diventato un’illusione egalitaria di accesso su cui ormai roteano lobby e super-poteri oltre che la paranoia dell’esserci e della popularity? E non è forse una forma di comunicazione sempre più costosa? E comunque l’accesso non dovrebbe essere reale anziché virtuale? O meglio, non dovrebbero coesistere anche altri luoghi di aggregazione? E il potere, che sia di un popolo, di un tiranno o di un’oligarchia non è sempre pericoloso? Non bisognerebbe cercare, un po’ alla Gramsci, un afflato di coscienza che diventi classe dirigente e intendere il potere nella sua più alta e veritiera prospettiva di progetto per il futuro dell’umanità tutta? Qualcuno mi potrebbe dire che l’uguaglianza sociale è un’utopia che fa perdere tempo ma io gli risponderei che senza la tensione verso qualcosa che contenga valori imprescindibili per l’uomo quali solidarietà, progettualità, passione, non esisterebbe neanche uno spiraglio di miglioramento della nostra esistenza come di quelle che ci succederanno. Se poi il problema sta da un’altra parte e cioè nel buonismo poco pratico di cui queste affermazioni potrebbero essere tacciate, significa che va rivisto tout court il concetto di esistenza sulla terra. Do per assodato che alla vita si attribuisca un potere miracoloso e che si tenti di viverla e difenderla al meglio portando a termine un processo evolutivo che faccia tesoro della propria esperienza tramandabile. Ma forse è troppo paurosa e rintanata nelle proprie nicchie di sopravvivenza, questa società così incline ad arrangiarsi con tutti i mezzi della legalità e dell’illegalità, per preoccuparsi di tramandare saperi, terrorizzata com’è dalla precarietà del lavoro più che da quella oggettivamente umana e genetica. Anche in questo caso allora il fuoco andrebbe forse spostato sul concetto di caducità indistinta, andrebbe fatto ricorso alla famosa livella di cui parlava Totò per sentirsi tutti uniti da un destino simile. La precarietà del lavoro poi, è un falso problema. Se ci fosse organizzazione, serietà, rispetto del tempo individuale, indistintamente prezioso, e la dovuta attenzione durante i cicli formativi alle singole propensioni degli individui, trattati come un bene per la collettività più che come peso informe dalla nascita in poi, perdere un lavoro per trovarne un altro in una catena efficiente e scarsamente burocratica, sarebbe non più una tragedia con tanto di poveri capri espiatori, ma una ricchezza. Forse per qualcuno un contratto a tempo indeterminato è una certezza interiore e allora perché sottrargliela! Ma per tante altre persone sarebbe più indicato un lavoro dinamico in un progetto seriamente coinvolgente in una motivante prospettiva di crescita orientata anche, perché no… al gioco, unica salvaguardia della serietà, almeno per chi ha deciso o si è trovato ad investire più su se stesso che su un nido familiare. Si renderebbe davvero flessibile il lavoro e la propria esistenza in questo modo.
Il crescente divario tra ricchezza e povertà ha confuso i parametri e le piccole verità, trasformate ormai in disincanto e menzogna. Il ricco, agli occhi di un giovane, appare un immortale comodamente integrato nel suo Olimpo avido e corrotto mentre il povero, è un derelitto poco furbo spazzato via da un mondo che corre troppo velocemente per potergli dare retta…ma se ai tempi di Omero, i primi poveri dell’epoca decisero di reagire all’olimpica opulenza di Zeus e della sua corte di divinità, per passare ai riti dionisiaci, è pur vero che c’è ben poco di dionisiaco nei giovani di oggi che si sballano perché non ce la fanno a sopportare una società troppo contraddittoria. Dunque più Tanatos che Dioniso o Eros in un mondo che non si sa verso cosa corra. Sembrerebbe una gara per accaparrare successo, ovvero potere, ricorrendo a tutti i più machiavellici stratagemmi. Questo non ci riporta, ancora una volta, al passato? Alla shoà? A guerre etnico-razziali? La diffusione dell’ideologia nazista non corrispose al dominio del male, oggettivamente? Se non ci si intende ancora sull’insegnamento di eventi di tale portata, senza vuote opposizioni ad una salutare opera di bonifica, non ci si rende conto di quale periodo storico si stia vivendo né di quanti orrori del passato siano presenti più che mai…e allora cresce l’immobilismo oltre che il metamorfismo arrangiato e inconsapevole. La coerenza non è di per sé né un bene né un male, come l’ideologia o la determinazione, ma se si rimuove del tutto si frantumano alcune categorie necessarie all’equilibrio psico-fisico degli esseri umani. Si stanno allevando generazioni di schizofrenici ipercinetici, incatenati a pericolosi vincoli che li fanno oscillare tra l’affermazione di sé e i cappi sociali. Apparenza di benessere che non nasce da scelte ma da coercizioni silenziose e sotterranee. Sarà anche vero che la vita media si è allungata (e questo già dovrebbe renderci soddisfatti), ma è anche vero che corpo e anima debbono essere protetti entrambi e l’eccesso di nevrosi che spazza via i cervelli..mi sembra un’evidenza dei nostri tempi. Forse nessuno ci dice abbastanza che la felicità sta da un’altra parte e che è trasmissibile come una malattia. Io credo che il luogo della felicità sia armonico e rispettoso, indistintamente armonico e rispettoso e che i primi passi da muovere per affrancarsi anche solo in parte da una diffusa sensazione di ghettizzazione, siano quelli che permettono ad ogni individuo uno sviluppo appagante che non trasmetta valori vecchi in una società nuova ma valori collaudati in una società da conquistare in nome di quei valori. Ciò non vuol dire negare l’esistenza del male ma più semplicemente invocare una dialettica che come strada maestra veda il bene per come ce lo hanno insegnato figure non manichee ma forti moralmente. Non mi dilungo in esempi. Ognuno prenda i suoi.
Potrebbe essere utile allora, cercare l’origine o le origini di ingarbugliati problemi per dimostrare in che modo si è pervenuti a certi effetti catastrofici. Una strada che a me sembra percorribile è quella della semplificazione ottenuta con un lavoro di precisione e precisazione del pensiero e del linguaggio e dunque di un’educazione che faccia rispettare se stessi e gli altri davanti alle istituzioni e nel privato, che spieghi i confini del bene e del male non per casi eccezionali o per categorie ma per diritto indiscriminato della specie alla sopravvivenza prima e alla vita poi… questo se è vero che siamo stati creati non per vivere come bruti ma per inseguire il percorso appagante della nostra conoscenza. I temi dell’aborto e della fecondazione assistita ci proiettano ancora in una confusione di argomenti che il potere mediatico decide di disseppellire e poi stipare nel vuoto a propria scelta e a giorni alterni e a noi non rimane che l’illusione di aver detto la nostra con poche confuse informazioni al riguardo. L’aborto è un tema già affrontato in profondità e al quale sono state già date molte risposte da parte di persone competenti. Inoltre è una parte di una più vasta problematica che è quella della vita sulla terra. E ancora sento di dover tornare all’educazione, all’antico discernimento che corrisponde più o meno al buon senso. Più educazione esiste a monte e meno ci sarà bisogno, a valle, di sprecare, legiferare, condannare, contrattualizzare, quotare in rosa.
All’educazione aggiungerei l’organizzazione, unica vera ricchezza di ogni popolo del futuro. In una società più organizzata si vive meglio e si pensa meglio e dunque si comunica meglio. E’ vero che la comunicazione passa prevalentemente per il corpo ma quella della parola mantiene una superiore incisività. E’ una traccia mentale nella nostra coscienza, il nostro documento esistenziale più affidabile, il soffio vitale che può trasformarsi in tromba d’aria o dolce ponentino.
Mi pongo continuamente dubbi sulla effettiva comprensione di quello che si dice e in cui si crede. Si parla tanto di comunicazione ma bisogna riconoscere che è la cosa più difficile da fare soprattutto se il linguaggio si standardizza attraverso prigioni mediatiche con ritmi e tempi diversi da quelli della realtà. Ecco ancora un’incoerenza che alla lunga tracima il linguaggio, soprattutto se alla televisione è demandato, come sempre è stato, il ruolo educativo di un paese dove vacillano la scuola e la famiglia che più che alla comprensione e alla condivisione sembrano orientate alla difesa. Non si può vivere difendendosi e insegnando soltanto a difendersi. Bisogna che tutti scoprano il diritto di dire e di fare. E’ banale? No. Per molti è troppo difficile.
Io ipotizzo e cerco chiavi interpretative che si avvicinino a sembianze di risposte ma non ho risposte definitive dentro di me e quelle poche che posseggo forse sono anche sbagliate. Non invoco rivoluzione né l’intervento di Robin Hood ma soltanto buon senso, attenzione e riflessione. Mi piacerebbe che un nuovo umanesimo riportasse l’uomo al centro delle meraviglie del creato, come fonte di rispetto e consapevolezza verso il patrimonio della sua vita. Sono certa di essere nel giusto se proprio in questi giorni il governo ha varato il decreto sulla sicurezza, iniziando un percorso che forse va nella direzione di un sano antropocentrismo.