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L’Abisso – Gianluca Morozzi

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Gabriele Bonfiglioli è un ragazzo di provincia, figlio unico, il padre morto in circostanze un po’ misteriose,  che vive con la madre Gelida, dedita a realizzare bambole. Impacciato, goffo, brutto, chiamato dagli amici  Zombi, la sua vita subisce una metamorfosi in seguito  all’amicizia con Scaglia e Drugo, i bulli della classe. Inizia una nuova vita, entra a far parte integrale del “branco” e si trasferisce a Bologna iscrivendosi in giurisprudenza, dopo avere  conseguito la maturità. Sostiene brillantemente i primi esami studiando con Marianna, che lo abbandonerà e, dopo aver smarrito il libretto universitario, si fa  rilasciare un duplicato sul quale falsifica gli esami sostenuti. Arriva il giorno della laurea sognata non tanto dal protagonista, ma dalla madre, laurea vista come riscatto sociale, come mezzo per acquistare un posto di rilievo della società e mamma Gelida è pronta a recarsi a Bologna per assistere alla “consacrazione” culturale-sociale ed economica del figlio. Gabriele entra in crisi, sprofonda in un abisso. Si domanda come uscire dall’impasse, se dire, o meno, alla madre che non vi è nessuna laurea e che le ha mentito per quattro anni. Un abisso, dovuto “alla convinzione di essere più intelligente, troppo più intelligente degli altri”. Il libro avrà, come nelle opere  di Morozzi, basti pensare al perfetto Blackout, un finale originale e sorprendente. Il romanzo narra, nella prima parte, l’infanzia e l’adolescenza del protagonista e, nella seconda, lo scrittore ci descrive i 17 giorni che lo separano dall’arrivo a Bologna della madre e dalla falsa laurea. Giorni frenetici, con Gabriele in giro per Bologna a bordo di una scalcinata “Marbella”, alla ricerca di una soluzione, giorni nei quali beve, si trascura, incontra Marianna, diventata assistente universitaria un po’ per meriti e per essere l’amante di un docente (l’altra faccia della medaglia del protagonista), ma anche una  umanità varia e disperata come l’ex compagno di scuola Ticchettaro, la ragazza incontrata su una panchina in collina in piena notte (una delle scene più intense del libro)  il pazzo Shattherthunder, persone che escono fuori dagli schemi classici,  rappresentanti di  una umanità disperata, agli antipodi del perbenismo di Marianna e lo scrittore lascia intendere di preferire i primi piuttosto che l’ex fidanzata. Tutta la vicenda è ambientata in una Bologna piena di extracomunitari, di spacciatori, di pub, una città che il protagonista non riconosce più. Quello che caratterizza questo libro “generazionale” è la trama narrativa, sapientemente costruita, con dei personaggi caratterizzati efficacemente, in primis il protagonista, ma Morozzi conferma, con questo volume, di essere  uno scrittore di grande talento perché tratteggia egregiamente un protagonista in perenne  conflitto con se stesso, un ragazzo che non sa più se deve laurearsi e vivere secondo le proprie inclinazioni o secondo i dettami dell’educazione materna, educazione familiare vista come limitazione alla libertà personale. La scrittura dello scrittore bolognese è avvincente: ironica, ritmica, infarcita di dotte citazioni musicali e cinematografiche,  angosciante, a tratti nevrotizzante, coinvolgente e  il diario dei giorni che separano il protagonista dalla laurea coinvolge il lettore fino alla fine del romanzo, lettore  con il quale lo scrittore, nella parte finale del libro, dialoga ed interloquisce. Una scrittura particolare, magistrale e l’ironia usata da  Morozzi induce al sorriso, ma soprattutto alla riflessione.

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