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Competitività turistica

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dai distretti al Sistema Turistico Locale

 
(Fonte immagine: Presidenza del Consiglio dei Ministri – Riforme e Innovazioni nella Pa)
 

“Chi a parità di tempo produce di più, ha vigore;

chi produce di più e meglio, ha talento;

chi produce quello che nessuno altro può, ha ingegno”

(Johan Kaspar Lavater, filosofo svizzero, 1741-1801)

 

La competitività turistica di una destinazione nasce dell’interazione sinergica tra le risorse attrattive primarie (naturali, umane, artificiali) di questa, le infrastrutture che ne agevolano la fruizione, le imprese turistiche, le industrie complementari e di supporto a quella turistica, la popolazione residente, la domanda turistica ed in particolare nuove figure capaci di elevare il valore culturale delle iniziative di offerta territoriale.

In questo senso, tale competitività si costruisce a livello di distretto turistico, programmando il territorio e la sua funzionalità ai fini turistici, intervenendo dove le filiera presenta delle disfunzioni o delle carenze che indeboliscono il sistema competitivo; simile capacità è strettamente connessa alla possibilità del sistema locale di sviluppare logiche di governance[1], ovvero di integrare le diverse risorse (finanziarie, intellettuali, imprenditoriali, naturali, sociali) in un unico sistema, per cui il buon livello dell’economia locale divenga il risultato finale di un gioco di squadra da cui tutti i partecipanti ricaveranno beneficio.

Ma quali sono i veri protagonisti di questo sviluppo, le imprese turistiche? Sono aziende che esercitano attività economiche, per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti o servizi, configurando quel sistema a rete che conduce a diverse forme di integrazione dell’offerta turistica applicata ai diversi livelli territoriali che, nel loro insieme, danno vita all’offerta turistica.

È quindi riconosciuta la trasversalità del settore e individuato nel territorio della città o della provincia e in alcuni casi dell’intera regione, il luogo di elezione delle promozione e della produzione delle attività turistiche, con riferimento alla funzione ospitale come da parametro fondamentale delle scelte politiche, da qui alla creazione di veri e propri sistemi turistici locali.

L’attenzione per i sistemi locali di sviluppo si deve anzitutto alla letteratura di matrice economica e sociologica, a partire dall’esame di una serie di realtà dell’Italia centro-settentrionale, ossia di aree caratterizzate da un notevole grado di concentrazione (su uno stesso prodotto o filiera produttiva) e integrazione tra i soggetti imprenditoriali, normalmente di dimensioni piccole o medie.

Dopo una serie di sporadici interventi della legislazione statale, è soltanto nei primi anni ‘90 che vede la luce una disciplina relativamente organica.

In tal senso occorre ricordare l’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, che ha istituzionalizzato i distretti industriali, affidando alle regioni il compito di individuare le aree locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese; in tempi piuttosto recenti, poi, l’art. 6 della legge 11 maggio 1999, n. 140, che ha introdotto formalmente la figura del sistema produttivo locale, definendolo come un contesto produttivo omogeneo, da identificarsi sulla base della elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e della peculiare organizzazione interna; con la precisazione che trattasi di fattispecie comprensiva, e non sostitutiva, di quella rappresentata dal distretto industriale, nonché con la conferma delle competenze regionali in tema di perimetrazione e finanziamento delle concrete esperienze applicative.

In Italia, il ruolo centrale del territorio nelle politiche turistiche, ispirato da alcune esperienze locali e regionali, è stato formalmente riconosciuto a livello nazionale attraverso la legge quadro n. 135 del 29 marzo 2001.

Si è voluto valorizzare il territorio e la dimensione locale, vale a dire riconoscerne la complessità attraverso la definizione del “Sistema Turistico Locale” – STL. La legge 29 marzo 2001, n. 135 – Riforma della legislazione nazionale del turismo[2], dedica l’art. 5 ai “sistemi turistici locali”, indicandone obiettivi, competenze ed incentivi, mentre l’art. 6 individua nel Fondo di cofinanziamento dell’offerta turistica lo strumento di sostegno degli interventi di sviluppo interregionale o sovraregionale.

La nuova definizione viene estesa anche ad ambiti omogenei caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche e non più limitato ai soli contesti affermati o con diffusa presenza di operatori.

Il riferimento ai distretti industriali rappresenta un precedente utile per introdurre le problematiche aperte sui STL. Le difficoltà incontrate nell’individuazione dei distretti, ma soprattutto la parziale incompatibilità tra criteri “giuridici” e realtà di fatto, ha privato molte realtà locali della connotazione di “distretto” perché carenti di alcuni degli indicatori previsti per legge, anche se in realtà costituivano forme significative di aggregazioni produttive.

Inoltre, risulta del tutto arduo individuare un modello teorico di riferimento per classificare fenomeni economici tra loro differenti.

Il primo problema che si pone è l’individuazione della natura giuridica dei STL. Si tratta di un nuovo soggetto giuridico attivo ovvero di una localizzazione empirica?

Il secondo problema poi è la determinazione degli elementi identificatori, (aree archeologiche, associazioni culturali, beni ambientali, aree protette, riserve marine, oasi, altro).

L’art. 5 demanda alle regioni la facoltà di riconoscere i sistemi turistici locali ai sensi della L. 142/90 e del D. Lgs. 112/98 ai fini dello svolgimento delle funzioni di programmazione e per favorire l’integrazione tra politiche del turismo e politiche di governo del territorio.

L’attività di riconoscimento sposta dunque il momento decisionale dal centro alla periferia, con un’accentuazione della promozione dei sistemi locali attraverso forme di concertazione con gli enti funzionali, con le associazioni di categoria e con i soggetti pubblici e privati del territorio.

Posto che l’attività di riconoscimento non può prescindere dalla conoscenza dell’area stessa, potranno scaturire ipotesi di STL con capacità di impatto assai diversificate.

Quelli simili ai distretti, per la presenza di elevata specializzazione (come ad es. le stazioni termali); ovvero sistemi turistici potenziali con una presenza diffusa di iniziative non coordinate.

Quello che risulta attualmente evidente è come le regioni siano chiamate oggi a sostenere finanziariamente i STL che via via si vengono a creare con una dotazione di risorse che purtroppo non aumenta all’aumentare dei sistemi.

Negli ultimi anni il quadro regionale rispetto all’applicazione della L. 135/2001 si è affettivamente arricchito di nuovi interventi legislativi. Ciononostante, in alcuni casi, la cornice normativa non è stata ancora perfezionata e sono relativamente pochi i Sistemi Turistici riconosciuti ed ufficialmente avviati.

La situazione attuale[3] può essere descritta attraverso la seguente distinzione:

          l’Abruzzo, la Liguria, la Lombardia e la Sicilia, sono le uniche Regioni che hanno promulgato proprie leggi in materia, adottando soluzioni tra loro piuttosto diverse. L’Abruzzo ha trattato nella legge solo il tema dei STL, mentre le altre tre Regioni hanno promulgato leggi più complesse, per il riordino del settore. Ad oggi, comunque, solo la Lombardia ha perfezionato la procedura per il riconoscimento, che ha già consentito l’attivazione di quattro Sistemi;

          la Sardegna ha rivisto il proprio orientamento, revocando le precedenti D.G.R. in materia, e promuovendo una nuova D.G.R. contenente direttive e linee guida per il riconoscimento e il finanziamento dei programmi di Sistemi;

          la Calabria, la Campania e il Lazio, pur avendo manifestato la volontà di recepire l’art. 5 della L. 135/2001 in diversi disegni di legge, non sono ancora pervenute ad una scelta definitiva.

Analizzando gli atteggiamenti delle Regioni in merito all’attuazione della normativa nazionale, si nota che alla fase di contrasto iniziale sta ora seguendo, in qualche modo, un’intenzione diffusa nel considerare la creazione di sistemi organizzativi che, anche se non sono chiamati STL ed a volte perdono sostanzialmente alcuni dei loro caratteri fondamentali (quali la territorialità), vengono considerati equivalenti; e molto si deve alla crisi del sistema Italia nello scenario internazionale che ha spinto gli amministratori locali a dotarsi di strumenti manageriali[4] di governo di rete.

Il STL è dunque una rete che nasce per lo sviluppo e la valorizzazione coordinata delle risorse turistiche locali e che risponde alla necessità di aumentare la competitività turistica di un’area territoriale.

La novità del modello organizzativo proposto si concretizza in due aspetti fondamentali:

·         l’esaltazione della dimensione territoriale dell’offerta turistica;

·         l’integrazione necessaria fra le diverse componenti del sistema, e in particolare fra gli attori pubblici e privati, non solo nella fase di gestione, ma anche in quella dell’elaborazione progettuale.

In particolare, il STL, così come definito nella legge-quadro, presenta elementi di grande interesse, sotto i seguenti profili:

          non trae la sua legittimità da una mera volontà associativa di enti e soggetti, bensì dai caratteri propri dell’ambito territoriale prescelto;

          non pone l’accento tanto sul livello attuale delle dotazioni turistiche di un territorio, ma sulla sua capacità di offrire una gamma articolata e integrata di attrattive e di servizi;

          riconosce una notevole importanza ai requisiti di omogeneità e di integrazione, cioè a quegli elementi di coesione e di interconnessione che trasformano un insieme di località in un ambito turisticamente rilevante;

          riconosce che i fattori territoriali (le risorse culturali e ambientali, le produzioni tipiche e l’artigianato tradizionale) sono ragione costitutiva e fondante di un sistema turistico, superando la tradizionale separatezza fra politiche per il turismo e politiche per i beni culturali;

          attribuisce un valore primario alla promozione ed alla programmazione “dal basso”, realizzata attraverso la concertazione e la collaborazione pubblico-privata su base territoriale.

Come è stato segnalato da una recente ricerca fatta da UPI – Unione delle Province Italiane, sulla situazione dei sistemi turistici, anche in questo caso il recepimento dell’art. 5 è avvenuto con modalità diverse da regione a regione. Si può comunque distinguere la volontà del legislatore di orientare lo sviluppo dei STL attraverso indicazioni normative più dettagliate e, in linea di massima, anche più vincolanti ai fini della costituzione, del riconoscimento e della realizzazione dei Progetti/Piani/Programmi di sviluppo.

Per quanto attiene la definizione di STL, sebbene nella sostanza le diverse norme abbiano ricalcato le indicazioni della Legge Quadro, sono state compiute scelte diverse, soprattutto in Lombardia, dove si è adottata la definizione “Sistemi Turistici” e in Sicilia, dove sono stati introdotti i “Distretti Turistici” (in questo caso, senza fare un esplicito richiamo alla L. 135/2001).

Nello specifico, la Regione Lombardia ha varato la Legge Regionale n. 8 del 14 aprile 2004, “Norme sul Turismo in Lombardia”, che consente di utilizzare specifiche risorse finanziarie per sostenere programmi di sviluppo turistico territoriale, promossi “dal basso”, senza dar luogo a ulteriori zonizzazioni, ma esaltando la dimensione progettuale delle iniziative. Nella legge regionale vigente non è volutamente utilizzata la terminologia “sistemi turistici locali”, bensì quella di “sistemi turistici”, anche al fine di non circoscrivere troppo l’ambito territoriale degli stessi. Altra peculiarità della legge è il ruolo delle Province, alle quali è assegnato il compito di esprimere un parere previo sui progetti presentati alla Regione per il finanziamento.

In generale, possono promuovere i ST, o aderirvi in seguito alla costituzione, soggetti sia di natura pubblica che privata.

Come anticipato, questi ultimi interventi legislativi hanno evidenziato una certa propensione da parte delle Regioni a orientare il percorso di costituzione e di sviluppo dei STL.

Tra i requisiti minimi sono stati presi in considerazione soprattutto il numero e/o la tipologia di comuni aderenti (ad es. costieri o montani nel caso della Liguria), il numero di residenti, l’offerta ricettiva, le presenze ufficiali, nonché la quota di cofinanziamento dei soggetti pubblici e privati.

La Lombardia, invece, ha definito con estrema chiarezza i contenuti dei Programmi di sviluppo turistico, gli indicatori di monitoraggio, i criteri di valutazione utilizzati dalla Giunta Regionale per il riconoscimento e, con interventi successivi, la procedura per la richiesta di cofinanziamento regionale dei progetti integrati.

Alcune Regioni sono intervenute anche sulla durata dei Piani/Progetti/Programmi presentati dai STL, orientandoli verso un arco temporale almeno triennale, come nel caso della Sicilia e della Lombardia, o al massimo quinquennale, come nel caso dell’Abruzzo e della Liguria, e sulla sostenibilità finanziaria degli interventi proposti, richiedendo anche la redazione di un piano finanziario con l’indicazione delle risorse di cui il STL/ST intende avvalersi (Abruzzo, Liguria, Lombardia, Sardegna e Sicilia.).

 

Le Regioni, dunque, si sono impegnate in modo differente nel compito di avviare, sostenere e rafforzare i sistemi locali. Alcuni sono forti, coesi e caratterizzati da creatività imprenditoriale, capacità quotidiana di innovare e operosità delle collettività dove il tessuto territoriale da tempo si presenta denso di trame, reti e associazioni, con un tradizionale comportamento sociale, secondo la logica dello sviluppo endogeno[5]. Il legislatore per favorire i sistemi produttivi locali e quelli turistici ha previsto dotazioni finanziarie, per altro non sempre certe e significative, a supporto dell’azione di policy che diventa concretamente uno dei grandi stimoli all’adeguamento delle politiche regionali.

Se da una parte l’intenzione del legislatore rispecchia l’approccio ideale di uno sviluppo locale, dall’altra, analizzando le motivazioni che concretamente portano all’adozione del STL e alla promozione di azioni di partenariato a livello regionale, emerge chiaramente un ciclo di “reverse policy“, che induce a riflettere sul rischio di formalizzazioni di sistemi locali (produttivi e turistici) di tipo opportunistico.

Infatti, in Italia la proliferazione di forme non performanti di STL non permette uno sviluppo efficiente e sostenibile del turismo, pur in presenza di asset turistici di innegabile valore.

Il risultato è che i STL, là dove non sono sorti spontaneamente, rischiano di essere strumenti poco utili allo sviluppo e di ingenerare poca chiarezza tra strumento di governo e strumento operativo.

È la riprova che alcune zone del Paese sono capaci, e lo dimostrano, di costruire e rinnovare il territorio, realizzando quel processo di governance richiesta dalla legge quadro e dal mercato; e questo avviene anche se grandi sono le difficoltà del sistema Italia, dove un’eccessiva pressione fiscale e contributiva persiste insieme a diffusi ritardi dei circuiti formativi e delle reti infrastrutturali.

La competitività di un territorio e la sua identità all’interno dello scenario internazionale dipendono dalla capacità di governare e stimolare, in una logica proattiva, gli attori locali al fine di costruire relazioni proficue tra il sistema territoriale e le singole risorse.

Alle amministrazioni locali è richiesto di assumere il ruolo di facilitatori delle azioni congiunte nel sistema territoriale di riferimento, promuovendo e supportando il processo tramite il quale si può giungere alla definizione di una strategia condivisa.

In una logica di governance ciò non avviene soltanto tramite l’emanazione di leggi e regolamenti o l’esercizio di poteri regolatori, ma soprattutto attraverso la messa a disposizione di dati ed informazioni a sostegno delle decisioni, l’organizzazione di tavoli per la condivisione delle idee ed il contemperamento degli interessi in gioco, l’offerta di un portafoglio di servizi pubblici con standard di efficacia ed efficienza coerenti con le esigenze degli utenti.

In un’economia basata sulla conoscenza, il vero vantaggio competitivo dei territori e delle imprese in essi localizzate consiste nel saper promuovere innovazione e creatività, per cui le persone e le competenze che esse possiedono costituiscono sempre più il discrimine tra sviluppo e declino[6].

Per questo motivo, il ruolo degli enti locali non può prescindere dall’adozione di un approccio manageriale nello svolgimento delle attività, un approccio che focalizzi l’attenzione dell’azione amministrativa sui risultati e, per questa via, ridoni legittimità all’operato del settore pubblico e ne accresca la credibilità.



[1] Cfr. Longo Francesco, Governace dei network di pubblico interesse, Egea, Milano. Il paradigma della governance deve essere reso attuativo e operativo; occorre dare ai politici, ai manager delle PA, ai corpi sociali che si interfacciano in maniera privilegiata con la PA un percorso operativo di ridisegno e gestione dell’azione pubblica attraverso la governance: ridisegnare le funzioni pubbliche (di committenza, di proprietà, di produzione), ridisegnare le strutture istituzionali e organizzative, quali logiche e strumenti manageriali di governo di rete, come gestire il change management interistituzionale.

[2] Cfr. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 92 del 20 aprile 2001.

[3] Fonte: UPI – Unione delle Province Italiane.

[4] Cfr. Borgonovi Elio, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano.

[5] Cfr. Fiorella Dallari-Alessia Mariotti, L’Italia tra distretti industriali e sistemi turistici locali, Bologna, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna.

[6] Cfr. Veronica Vecchi-Paolo Prugnola, Il marketing territoriale: una moda o qualche cosa di più?, RE-SET.

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