Ricordi di un tempo che fu
Edito in proprio
Narrativa
Pagg. 98
ISBN 979-8309621248
Prezzo Euro 9,92*
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Un mondo che non c’è più
Arrivati a una certa età si vive molto di ricordi, si cercano nella memoria episodi e stili di vita del passato, una funzione per rammentare che “siamo stati”. Più raramente accade che si vogliano rendere partecipi di queste rimembranze anche i terzi, scelta che è dettata dalla speranza di lasciare qualcosa di sé. Non è sfuggito a questa decisione anche Sergio Menghi, che è stato mio collega di lavoro e che pertanto ritengo di conoscere come uomo prima ancora che come scrittore. Ebbene, nonostante che in attività lavorativa abbia rivestito ruoli di consistente livello non ha perso quelle caratteristiche di semplicità e di bonomia che gli ho sempre riconosciuto. In questo senso, nato in un ambiente agreste non ha perso le sue radici, fatte di un mondo molto diverso da quello in cui la maggior parte di noi vive, dove il mutare delle stagioni ha effetti sulle persone, sui lavori che vengono svolti, perfino sugli umori, e in cui fino a non molto tempo fa esistevano tradizioni basate sul rapporto fra l’uomo e la natura che nei più sono sconosciute.
E’ di questo che Sergio Menghi parla con i racconti della raccolta Aricordete, che in dialetto marchigiano significa “Ricordati”. Considerato che si tratta di narrazioni relative a un mondo che non c’è più, a una civiltà contadina che è scomparsa e relativi ad anni in cui ero già presente non mi sino lasciato sfuggire l’occasione di leggere anche per ricordare io stesso.
A parte la gradevolezza della lettura, notevole è stata la riscoperta di una realtà che i giovani d’oggi non possono nemmeno immaginare e in cui la famiglia, la famosa famiglia patriarcale, era il fondamento di una società rurale che nulla sapeva, né avrebbe potuto sapere, di personal computer, di smartphone e di altre moderne diavolerie. Quindi, all’epoca, i rapporti personali erano diretti e le amicizie che sorgevano erano reali e non virtuali; vigevano credenze del tutto particolari, nel senso che si pensava, o meglio ancora si temeva, che nelle tenebre si nascondessero spiriti e streghe e ai misteri si aggiungevano altri misteri, in funzione delle limitate conoscenze, con la religiosità di frequente contaminata da superstizioni.
La vita del contadino era scandita da eventi legati alla sua attività, dall’aratura, dalla trebbiatura, dalla vendemmia, secondo riti immutabili da secoli e con ogni decisione pesantemente influenzata dalle necessità agricole, che spesso impedivano ai discendenti maschi e femmine di proseguire negli studi, anche qualora si fossero dimostrati meritevoli. E fu per una strana circostanza che l’autore, destinato anche a lui a campare sulla terra, poté accedere all’università e laurearsi. E’ rimasta in Sergio Menghi, tuttavia, quella naturale attitudine al lavoro agricolo, tanto che adesso, anziano e in pensione, si dedica con grande piacere a curare un orto.
I racconti sono esclusivamente frutti di esperienze dell’autore e così, leggendo, c’è chi si stupirà per un certo modo di vivere – si tratta in questo caso di individui di epoca più recente -, mentre altri, pur con un vissuto diverso, ma presenti in quegli anni, non potranno che riflettere sul loro passato anche con un personale “Amarcord”.
Il mio consiglio – e l’amicizia con l’autore non c’entra – è di leggere questo libro, parla di un mondo che non c’è più e proprio per questo è di grande interesse.
Sergio Menghi, nativo di Camerino, attualmente vive a Roma. Laureato in economia e commercio ha lavorato alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro. In pensione da diversi anni un giorno gli è nata la passione di scrivere poesie e racconti. Aricordete è la sua prima pubblicazione.