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81a Mostra Internazionale D’arte Cinematografica – Venezia 2024

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Questa ottantunesima edizione del Festival del Cinema era stata anticipata, nell’ottobre del 2023, dal cambio al vertice della Biennale, con l’arrivo di Pietrangelo Buttafuoco a sostituire Roberto Cicutto, cosa che aveva destato qualche malumore e soprattutto timore. Di fatto, dopo la conferma del Direttore della Biennale Cinema Alberto Barbera anche per il biennio 2025-2026, che lo consacra direttore più longevo della Biennale di Venezia, è stato rafforzato e blindato tutto quello che di buono si è costruito in questi anni. Dal punto di vista organizzativo, con l’introduzione quattro anni fa della prenotazione dei biglietti in sala, con migliorie anno dopo anno, nonostante le prevedibili lamentele tipiche di noi popolo italico, è stato fatto un notevole salto di qualità nella fruizione delle sale e delle proiezioni. Ulteriore novità di questa edizione è stata ripristinare anche una rush line fisica, per consentire un accesso in sala dell’ultimo momento, dopo la virtuale delle prenotazioni online, e permettere una ulteriore chance di ingresso a chi avesse avuto difficoltà di registrazione o per chi avesse deciso la proiezione all’ultimo momento. Personalmente, a conferma dell’evoluzione positiva del sistema online, dopo due giornate di Festival avevo già confermato tutte le mie proiezioni fino al termine di questa edizione.

Per quanto riguarda la Selezione Ufficiale, in generale il concorso non ha riservato particolari sorprese. La selezione delle pellicole è stata discreta, ma senza particolari punte di novità. Lo conferma anche l’incertezza che c’è stata fino all’ultimo sull’assegnazione dei diversi premi. Diverse pellicole, proprio per il livello medio, avrebbero potuto aspirare ad un riconoscimento, senza suscitare particolari polemiche al riguardo. I temi maggiormente trattati in questa edizione, in molti casi, hanno riflesso la realtà politica odierna. Diversi richiami ai principali conflitti in atto, soprattutto la delicata situazione mediorientale e quella russa ucraina (temi in verità sempre presenti negli ultimi anni), che ha portato anche a spostare l’attenzione, là dove non c’era un diretto riferimento politico, a tematiche sulla centralità delle scelte personali dell’individuo. Il tanto pubblicizzato spostamento dell’attenzione sulla componente sessuale, come antidoto alle tragedie contemporanee, annunciato in pompa magna all’apertura di questa edizione, non mi è sembrato così rilevante, ed ha riguardato di fatto soli pochi film. Nel Concorso Ufficiale tre film partivano con questi presupposti, “Queer” di Luca Guadagnino, adattamento del secondo romanzo di William Burroughs, “Diva Futura” di Giulia Louise Steigerwalt un ritratto di Riccardo Schicchi e della sua agenzia pornografica Diva Futura e “Babygirl” di Halina Reijn (Stati Uniti), unico film premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Nicole Kidman, assente dal Lido per il grave lutto che l’ha colpita in queste ore. Se per “Babygirl” il binomio sesso-Kidman ha dato l’impressione di essere stato utilizzato come lancio pellicola, con risultati veramente modesti, per gli altri due film il sesso è totalmente funzionale alla storia e non una pura speculazione. Le migliori cose di questa edizione si sono probabilmente registrate nelle serie, la cui autorialità ormai non può più essere messa in discussione. Alfonso Cuarón con “Disclaimer (Capitoli 1-7)”, Rodrigo Sorogoyen con “Los Años Nuevos (Ep. 1-10)”, Thomas Vinterberg con “Familier Som Vores (Famiglie come la nostra) (Ep. 1-7)”, Joe Wright con “M. Il Figlio Del Secolo (Ep. 1-8)” e Kevin Costner con “Horizon: An American Saga (Chapter 1-2)”, sono nomi che non si possono discutere.

I premi, come già anticipato in un concorso di medio livello, possono essere condivisibili. Hanno ottenuto riconoscimenti i due film più “sperimentali”, quelli che seguono maggiormente una filosofia da Mostra del Cinema, “The Brutalist” (Regno Unito) di Brady Corbet, Leone d’Argento per la Migliore Regia e “April” (Francia, Italia, Georgia) di Dea Kulumbegashvili, Premio Speciale della Giuria, ma anche i più “classici” come quello a Pedro Almodóvar (Spagna) con “The Room Next Door”, Leone d’Oro per il Miglior Film a Walter Salles (Brasile, Francia) con “Ainda Estou Aqui”, Premio per la Migliore Sceneggiatura.

The Brutalist” è la storia di un architetto ebreo emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947, ulteriore pellicola che illustra un altro punto di vista della storia americana, quella della provincia costruita dagli immigrati europei permeata di tensioni sociali in preda al capitalismo, dove un posto di rilievo occupa la nuova architettura razionalista, simbolo di questa nuova tendenza. È una pellicola che per molti versi ricorda quelle di Paul Thomas Anderson. Fra le varie curiosità del film, oltre ad essere in parte girato in Italia a Venezia e nelle cave di marmo di Carrara, è la ridefinizione del concetto di intervallo a metà della pellicola, in verità piuttosto lunga (durata 215’).

April” è stato il film che più ha diviso il pubblico e la critica. I tempi lenti, le lunghe immagini fisse (ma tremolanti) con le voci fuori campo, le situazioni visive disturbanti, vanno a descrivere un mondo rurale georgiano, in cui una dottoressa ginecologa si muove per praticare aborti clandestini e risparmiare il peso di gravidanze spesso indesiderate a giovani donne schiacciate da un destino immutabile.

Pedro Almodóvar nel suo primo film americano, affronta il tema del diritto all’autodeterminazione del proprio fine vita nel caso di malattie terminali. Straordinariamente supportato dalle due attrici protagoniste, Tilda Swinton e Julianne Moore, il regista spagnolo, ci regala una messa in scena in cui si riconoscono i tratti tipici del suo cinema, però sapientemente equilibrati e correttamente rapportati alla realtà americana che rappresentano. Non siamo di fronte al miglior Almodóvar della sua carriera, ma comunque ennesima conferma della grandezza del regista spagnolo.

Ainda Estou Aqui” di Walter Salles è la storia di Eunice Paiva, tratta dal libro omonimo di Marcelo Rubens Paiva. Il regista, attraverso la famiglia Paiva, ci descrive il Brasile del 1971, paese stretto nella morsa della dittatura militare. Film di narrazione classica, interessante e sempre attuale nel rammentarci di prestare sempre attenzione e di come sia spesso troppo facile scivolare in regimi e in società antidemocratiche.

Il cinema francese ha ottenuto riconoscimenti in ambito attoriale con i due meritati premi a Paul Kircher (figlio degli attori francesi Irène Jacob e Jérôme Kircher), Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente  per il film “Leurs Enfants Après Eux” e a Vincent Lindon, Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile per il film “Jouer Avec Le Feu”. I due premi sono anche rappresentativi di una presenza significativa a questa edizione del Festival del cinema transalpino, con diverse belle pellicole visionate non solo nella selezione ufficiale ma anche nelle selezioni collaterali e nei fuori concorso.

Il cinema italiano, che rappresenta quasi sempre una costante delusione ormai da diverse edizioni, quest’anno ha selezionato qualche opera interessante. “Vermiglio” di Maura Delpero (Italia, Francia, Belgio), Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, ne è stato il miglior risultato. Ambientato sulle montagne del Trentino alla fine della Seconda guerra mondiale, segue le vicende di una comunità montana alle prese con il rientro dal conflitto e nella ricostruzione di un futuro dove ognuno è alla ricerca di un proprio ruolo. Indiscutibilmente il film richiama le atmosfere delle pellicole di Ermanno Olmi.

Anche Gianni Amelio, presente nel concorso ufficiale con “Campo di Battaglia”, propone una pellicola che richiama la guerra, in questo caso la Prima guerra mondiale. La pellicola è discreta, il regista costruisce il suo cinema classico, sempre con qualche perplessità narrativa, ma comunque si fa vedere.

Più interessante, a mio parere, “Diva Futura” di Giulia Louise Steigerwalt, che a dispetto delle basse aspettative, confeziona in realtà una pellicola anche positivamente “leggera” che rende bene le atmosfere anni 80’ e 90’ caratterizzate anche dalla presenza di Riccardo Schicchi e da quel movimento dove la pornografia diventa fenomeno di costume e produce veri e propri personaggi pubblici di successo come Cicciolina e Moana Pozzi.

Deludente “Iddu” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, film liberamente tratto dalla vicenda della latitanza del capomafia Matteo Messina Denaro. Non tanto per la pellicola in sé, ma ho trovato quasi immorale costruire dei personaggi da commedia nel descrivere le vicende di un personaggio criminale rappresentate di quella mafia estremamente violenta e la cui latitanza viene quasi commiserata. Messaggio che nel film rimane estremamente ambiguo.

Discorso a parte rimane “Queer” di Luca Guadagnino, che segue il suo “filone americano”, quindi fuori collocazione come espressione di cinema italiano, qui alle prese con un adattamento al secondo romanzo di William Burroughs. Se le premesse del film, grazie anche all’ottima interpretazione di Daniel Craig e Drew Starkey, lanciano dei buoni segnali, la storia finisce invischiata nel binomio droga-visione, tipico della cultura beat che l’autore rappresenta e che compromettono il flusso narrativo della pellicola, al netto poi delle usuali cadute trash che caratterizzano il regista (e che personalmente non amo).

Chi veramente è stato improponibile è stato il Fuori Concorso nonché film di chiusura del Festival, “L’Orto Americano” di Pupi Avati. Richiamo ad atmosfere hitchcockiane e da cinema noir americano anni 50’, la pellicola è semplicemente insostenibile nell’assurdità della trama, nella recitazione amatoriale (con grande colpa del regista) e nella messa in scena irritante. La cosa in assoluto peggiore che ho visto in questa ottantunesima edizione.

I Fuori Concorso hanno visto il ritorno dei grandi nomi: Tim Burton con il sequel, dopo quasi quarant’anni, “Beetlejuice”, il Maestro francese ottantaseienne Claude Lelouch con la sua ultima pellicola “Finalement”, Takeshi Kitano con il divertissement “Broken Rage”, la coppia Brad Pitt e George Clooney in un altro film insieme “Wolfs”.

Anche il Concorso Orizzonti ha proposto buoni lavori. Innanzi tutto i film premiati. “Anul Nou Care N-A Fost (L’anno nuovo che non venne mai)” di Bogdan Mureșanu (Romania, Serbia), Miglior Film della sezione, che ripercorre gli ultimi momenti della dittatura di Nicolae Ceaușescu. “Familiar Touch” di Sarah Friedland (Stati Uniti) che ha fatto incetta di premi, Migliore Regia, Migliore Attrice a Kathleen Chalfant, Leone Del Futuro – Premio Venezia Opera Prima, è una delicata pellicola sull’alzheimer. “Hemme’nin Öldüğü Günlerden Biri (Uno di quei giorni quando Hemme muore)” di Murat Fıratoğlu (Turchia), Premio Speciale della Giuria Orizzonti, è un film coraggioso girato a bassissimo budget. “Happy Holidays” (Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar) di Scandar Copti, Premio per la Migliore Sceneggiatura, è un’intrigante pellicola che analizza le delicate dinamiche sociali nella società israeliana. “Familia” di Francesco Costabile (Italia) Premio Orizzonti per il Miglior Attore a Francesco Gheghi, analizza le drammatiche dinamiche di una famiglia lacerata da un marito violento e possessivo che condannano ad un futuro inevitabile senza via d’uscita.

Fra gli altri lavori, di un Concorso Orizzonti molto interessante, vorrei segnalare “Quiet life” di Alexandros Avranas che affronta il tema dell’immigrazione, ed i due francesi “Mon inséparable” di Anne-Sophie Bailly e “L’Attachement” di Carine Tardieu, entrambi che affrontano dinamiche familiari in situazioni particolari ed ambedue caratterizzate da un cast di attori formidabili.

Questa ottantunesima è stata anche l’edizione con una delle maggiori presenze di star internazionali. Insieme ad un’ottima organizzazione e mediamente ad una discreta selezione, ha consentito di ottenere un ottimo risultato in termini di pubblico, con numeri confortanti (biglietti venduti +14%, accrediti + 6.5% rispetto al 2023, 1.700 partecipanti nelle varie Masterclass).

Da segnalare infine (nota lietissima…), la conferma di come il cinema rimanga un mezzo che può ancora intimorire e destare preoccupazione anche a forti governi autoritari e di come un film inserito nelle Giornate Degli Autori, “Antikvariati”, film georgiano della regista Rusudan Glurjidze, che trattava della deportazione degli individui di cittadinanza georgiana operata nel 2006 in Russia, alla vigilia del conflitto della seconda guerra dell’Ossezia del Sud, abbia innescato accese discussioni. La pellicola, oggetto di un tentativo di blocco dopo un decreto d’urgenza ricevuto dal Tribunale di Venezia causa violazioni di copyright sulla sceneggiatura, ma in realtà un evidente tentativo di censura dell’opera, è stato poi finalmente proiettato nelle Giornate, grazie all’urgente ed efficace intervento innescato dai responsabili della Sezione.

 

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