Intervista con i Blewitt
17 min readCOMUNICATO STAMPA
EXPLORING NEW BOUNDARIES
IL DIROMPENTE ALBUM D’ESORDIO DEI BLEWITT
“Exploring New Boundaries” è il titolo dell’album di esordio dei Blewitt, al secolo Stefano Proietti, Oscar Cherici e Gian Marco De Nisi, da venerdì 6 ottobre disponibile in digital download e streaming sui migliori stores digitali.
“Exploring New Boundaries”, pubblicato da Neuklang, ADA Music (Warner Music Group) e Verlag, segue il loro primo EP dal titolo “Overture” pubblicato nel 2022, che ha riscosso notevoli consensi da pubblico e critica. Le registrazioni sono state realizzate presso i Bauer Studios di Ludwigsburg in Germania, dove hanno avuto l’onore di essere seguiti dai pluripremiati ingegneri del suono Adrian Von Ripka e Philipp Heck. I Blewitt nascono dall’incontro di tre straordinari musicisti che decidono di unire e condividere le loro visioni musicali con l’obiettivo di compiere una sintesi tra la musica classica, il jazz e il rock. Un progetto che i tre musicisti mettono in essere attraverso ricerche compositive, brani originali e arrangiamenti di standard, cercando di fondere la tradizione e la letteratura pianistica con le ritmiche contemporanee, dal neo soul alla musica etnica mediterranea, dall’avantgarde music al jazz tradizionale. Tutto il loro credo è convogliato in questo nuovo album, un disco di brani originali a firma di Proietti, Cherici e De Nisi, con due pregevoli rivisitazioni: “Footprints” di Wayne Shorter e “Passion Dance” di McCoy Tyner. Questo è un progetto in cui abbiamo creduto da sempre – dichiarano i tre giovani Blewitt – con sacrificio e tanto lavoro. Speriamo con questo album di trasmettere compiutamente la nostra idea e identità musicale, basata sulla ricerca compositiva e la fusione dei linguaggi.
Esplorare nuovi confini, come dichiara il titolo dell’album, è il nostro motto sin dal nostro primo incontro, un viaggio dal forte valore umano e sociale, che si pone l’obiettivo di andare oltre i confini dei generi e delle etichette e per fortuna, la musica permette tutto questo, essendo l’unico linguaggio compreso da tutti.
Exploring New Boundaries: https://on.soundcloud.com/NsUrX
Passion Dance, estratto video: https://bit.ly/45i6Eq7
BlueArt Promotion
Rosario Moreno
STEFANO PROIETTI
“Tecnica pianistica impressionante, fraseggio profondo ed espressivo”
(Royal Academy of Music, Londra – 2014).
Nasce a Roma il 13 giugno del 1993. Inizia a studiare pianoforte all’età di otto anni ed entra in Conservatorio nel 2007. Si forma con insigni Maestri come Pierluigi Camicia, Boris Berman, Gilda Buttà, Enrico Pieranunzi, Sullivan Fortner, Danilo Rea, Antonio di Pofi, Francesco Telli e Amedeo Tommasi. È plurilaureato al Conservatorio Santa Cecilia in pianoforte (massimo dei voti – 2015), in jazz (lode, menzione d’onore, bacio accademico e dignità di stampa – 2017) e in composizione (massimo dei voti – 2021). Inoltre, si diploma al corso di Alto Perfezionamento Pianistico presso l’Accademia Chigiana di Siena (2016), sotto la guida del M° Lilya Zilberstein. Nel corso degli anni, ha vinto prestigiosi concorsi internazionali (International Music Competition of Salzburg, Sibiu Jazz Competition) e borse di studio (Collective School of Music di New York, Miami Music Festival, Berklee College of Music di Boston). Si è esibito su palcoscenici di rilievo e festival (Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, Teatro Ariston di Sanremo, Le Dome di Marsiglia, Umbria Jazz Festival, Teatro La Fenice di Venezia, 67° Festival Puccini, 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), in trasmissioni televisive RAI e Real Time (Sanremo Young, Ballata per Genova, Festival di Castrocaro, Festival Show). Nel tempo, ha avuto l’opportunità di collaborare e suonare con artisti della scena musicale nazionale e internazionale, come: Sting, Chris Botti, Simon Le Bon, Europe, Ted Neeley, John Travolta, Eric Marienthal, Lloyd Spec Turner (nominato ai Grammy e produttore di Whitney Houston, Snoop Dogg), Andrea Griminelli, Zucchero, Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani, Massimo Ranieri, Gino Paoli, Ron, Riccardo Cocciante, Roberto Vecchioni, Rita Pavone, Enrico Ruggeri, Raf, Umberto Tozzi e Nek. Da ottobre 2022 a gennaio 2023 ha lavorato come assistente principale di Frédéric Maurin presso l’Orchestre National De Jazz (ONJ) di Parigi.
OSCAR CHERICI
Nasce a Roma il 12 Ottobre del 1993. A 11 anni entra nel mondo della musica attraverso il coro. A 13 anni inizia a studiare basso elettrico, e nel 2015 viene ammesso al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone, dove viene scelto tra i migliori studenti per entrare a far parte del Refice Jazz Ensemble. In questa occasione, collabora con musicisti di rilievo nazionale, come Luca Aquino e Filiberto Palermini. Si laurea in Jazz col massimo dei voti e la lode nel 2019, sotto la guida del M° Stefano Pagni. Contemporaneamente, studia contrabbasso con il M° Gennaro Frezza (Teatro dell’Opera di Roma) e conclude i suoi studi in ambito biotecnologico (con una forte enfasi sull’imprenditorialità sul marketing) presso l’ITS-NTV di Roma. Inizia a comporre a 15 anni, percorso che lo porta nella musica da film. Nel 2017, grazie alle musiche per il cortometraggio “No Smoking” di Michelangelo Di Pierro, si aggiudica il primo premio assoluto a Nova Siri per il Cinema da Mare e il Globe Award Winner Amsterdam Around International Film Festival. Dal 2014, si esibisce regolarmente nell’ambito Lindy Hop (Swing da ballo). Tra i principali festival, si menzionano il Vintage Exchange di Ljubljana e il Godfathers of Swing di Palermo. Nel 2015, a 21 anni, dopo un intenso periodo di ricerca musicale, registra “No Quarter Trio”, primo album di composizioni originali. Si è esibito in vari jazz festival con il progetto “A tribute to Bessie Smith”, organizzato dal M° Rossana Casale. Inoltre, ha suonato su numerosi palchi di rilievo come il Senato della Repubblica, la Tenuta del Presidente della Repubblica, il Teatro Vespasiano di Rieti, il Monk e la Casa del Jazz di Roma.
GIAN MARCO DE NISI
Nasce a Roma il 3 maggio del 1997. Intraprende i primi studi di batteria e percussioni con il padre, e nel 2015 viene ammesso al Conservatorio Ottorino Respighi di Latina, con un anno di anticipo rispetto all’età consentita in conseguenza del suo talento. Si laurea in Jazz con il massimo dei voti e la lode nel 2020, sotto la guida dei Maestri Fabrizio Sferra, Mauro Zazzarini, Elio Tatti e Umberto Fiorentino. Durante il percorso accademico, ottiene 5 borse di studio (una per ogni anno) dalla Regione Lazio. A partire dal 2010, prende parte a masterclass di importanti batteristi nazionali e internazionali, quali Steve Gadd, Jojo Mayer, Dave Weckl, John Riley, Steve Smith, Justin Brown, Gavin Harrison, Mike Mangini, Alfredo Golino, Pietro Jodice, Roberto Gatto e Gegè Munari Nel corso della sua vita, è stato più volte vincitore del Premio Drumometer di Batterika (il più grande expo festival del centro Italia), e ha ottenuto borse di studio di rilievo (Berklee College of Music di Boston). Si è esibito su importanti palcoscenici e festival della scena jazzistica, come International Tour Zildjian Day (Roma), Sala Accademica del Conservatorio S. Cecilia (Roma), Rodi Jazz Festival, Orsara Jazz, Acrobax Project (Roma), Magliano dè Marsi (L’Aquila), Jailbreak (Roma), Sala Accademica del Conservatorio O. Respighi (Latina) e Umbria Jazz Clinics. Inoltre, ha avuto l’opportunità di suonare con importanti artisti della scena nazionale e internazionale, come Stefano Sabatini, Eric Turner, Maurizio Urbani, Giorgio Rosciglione, Pino Jodice, Fernando Brusco, Andrea Beneventano e molti altri. A soli vent’anni, registra il suo primo album, dal titolo Rock’n’Billie Ensemble, in collaborazione con artisti del calibro di Mauro Zazzarini, Francesco Licciardi e Israel Varela. Nel 2022, ha vinto il prestigioso “Bucharest International Jazz Competition”.
Intervista con Oscar Cherici
Davide
Buongiorno Oscar. “Exploring New Boundaries” segue il vostro primo EP “Ouverture” e i singoli “Red sun” e “Verso l’Atman”. Come nasce questa formazione e perché “Blewitt”. È il cognome di qualcuno che volevate omaggiare o è un gioco di parole tra questo cognome inglese e la parola “blew it”… che significa l’aver rovinato qualcosa o un aver mandato tutto all’aria?
Oscar (Blewitt)
Buongiorno Davide! Il gruppo nasce nel 2018, con l’idea di creare musica originale senza compromessi di natura commerciale. Vogliamo creare musica al livello più alto che riusciamo a raggiungere. Abbiamo cercato di creare un nostro linguaggio, che prendesse ispirazione sia dalle nostre radici classiche che dalle nostre radici jazzistiche e rock. Un linguaggio non limitato a un genere predefinito, in cui improvvisazione e parti scritte si intrecciano fluidamente. Si potrebbe parlare di musica “Third Stream” volendo. Il gruppo nasce proprio per dare sfogo a questa esigenza creativa di tutti e tre. Il nome del progetto si, è un gioco di parole. Blewitt è sia una civetta (Athene blewitti), simbolo dell’armonia e della sapienza, sia una dichiarazione di intenti. Non abbiamo paura di fare errori, in quanto crediamo che se vuoi creare qualcosa di nuovo non puoi aver paura di sbagliare. La musica che ci emoziona spesso è quella che ci porta in posti che non conosciamo.
Davide
Leggo che un vostro obiettivo programmatico è il perseguimento di una sintesi tra la classica, il jazz e il rock. Attraverso quali elementi primari costituivi di ciascuno di questi generi o linguaggi musicali? Qual è, quindi a seguire, la vostra condivisa tecnica di fusione e lavorazione del vostro materiale e della vostra specificità?
Oscar (Blewitt)
Il processo di unione dei generi non parte da un approccio programmatico ma avviene seguendo il più possibile la musicalità del brano che suoniamo. Generalmente uno di noi tre porta in sala prove un brano, che può essere più o meno arrangiato nel dettaglio. Suonando insieme, nascono varie idee e proposte per modificare e/o completare il brano, dando vita ad un processo di scrittura a 6 mani. La creazione di ogni brano è specifica a sé. I vari linguaggi coesistono nella nostra musica per vari fattori. Il primo è che la formazione è da trio Jazzistico (Pianoforte, Basso e Batteria), ma invece di rimanere su un classico linguaggio da trio (alla Evans per intenderci), sperimentiamo repertori che vanno a prendere da Bach, Rachmaninov, Ravel etc. In aggiunta prendiamo larga ispirazione anche da altri linguaggi come il Rock, l’HipHop e varie musiche etniche. Un altro elemento è che i vari generi coesistono nella nostra musica in quanto tutti e tre ascoltiamo e suoniamo in continuazione tantissimi generi diversi. Nel momento di scrivere, interpretare o improvvisare una parte, tutte le varie influenze personali escono spontaneamente. Anche a livello di scrittura c’è una commistione tra parti scritte e parti improvvisate, con una parte di interpretazione personale che rende spesso imprevedibile il risultato finale.
Davide
Cosa continua, evolve e introduce di nuovo questo lavoro rispetto al vostro già fitto e articolato percorso musicale?
Oscar (Blewitt)
Il disco “Exploring New Boundaries” è per noi un opera prima. Anche se è uscito dopo l’EP Ouverture, abbiamo iniziato a lavorarci molto prima. Appena ci siamo incontrati, 5 anni fa, abbiamo iniziato a lavorare su questo linguaggio comune e alcuni dei brani ed arrangiamenti sono stati scritti per buona parte nel corso di questi 5 anni. Per noi è il frutto di tanti anni di lavoro continuo, con un grande investimento di energie, tempo e risorse economiche. Lavorando insieme come trio, siamo cresciuti sia come musicisti che come persone. In questo disco abbiamo scelto deliberatamente di non introdurre alcuna effettistica elettronica, ne come elemento compositivo ne per modificare i singoli strumenti. Ci siamo vincolati alla strumentazione di un Jazz Trio classico, per obbligarci ad espandere gli orizzonti musicali senza poter aggiungere nuovi strumenti. In Ouverture invece abbiamo già iniziato a sperimentare con effettistiche e sonorità più elettroniche. Nel futuro probabilmente andremo più verso quella direzione.
Davide
“Exploring new boundaries”: esplorare nuovi confini… L’esploratore Thor Heyerdahl disse che nei suoi viaggi di confini non ne aveva mai visto uno, ma aveva sentito che “esistono nella mente di alcune persone”. Quali nuovi confini avete esplorato, ma soprattutto verso quali nuovi confini (o non confini) invitate l’ascoltatore con questo vostro album?
Oscar (Blewitt)
Condividiamo il pensiero di Thor Heyerdahl. Anche noi siamo convinti che i confini siano solo delle linee su delle mappe, che i veri confini al massimo sono nella nostra testa. Uno dei punti cardine che abbiamo cercato di esprimere nel disco è che non esiste una contrapposizione tra i vari generi musicali. Non c’è una musica “classica” contrapposta ad una “jazz”, ad esempio. I vari linguaggi possono coesistere tra loro senza troppi problemi, mostrando come siamo spesso noi musicisti a creare queste divisioni fittizie, che però non hanno alcun riscontro logico. Nella definizione etimologica di composizione c’è il concetto di disporre in maniera (più o meno) ordinata parti diverse. Ogni brano, composizione, sonata o sinfonia è il risultato di tantissimi elementi diversi di diversa natura e origine temporale. Per noi, “liberarci” di questo concetto di genere musicale ci ha permesso di esplorare con creatività cosa si può fare con un trio, senza pregiudizi e limiti. Un altro confine che vorremmo superare è quello dei confini nazionali. Suonare la nostra musica in giro per il mondo è uno degli obiettivi del trio. Questo linguaggio personale nasce anche con lo scopo di presentarsi al mondo musicale internazionale, non con una imitazione di una visione musicale americana, ma con un linguaggio che possa rappresentarci come giovani musicisti e compositori italiani ed europei.
Davide
Come nasce un vostro brano e come vi lavorate idealmente, attraverso quale metodo condiviso o itinerario “alchemico” che vi lega dalla materia prima all’Opera finale? Quando un vostro brano ha raggiunto per voi la sua massima compiutezza?
Oscar (Blewitt)
L’approccio compositivo di ognuno di noi è diverso. Ad esempio Stefano predilige presentarsi con idee già articolate ed arrangiate nota per nota (poi spesso vengono stravolte, ma comunque si presenta spartiti in mano). Io (Oscar) porto generalmente una idea di brano in cui gli elementi principali sono definiti (tema, accordi, struttura), ma uso più un approccio alla Miles Davis. Trovo che le idee migliori escono fuori quando lascio lo spazio agli altri di contribuire spontaneamente alle mie idee. Credo che la maniera migliore per fare musica insieme sia di usare le carte che si hanno in mano, non quelle che (forse) un giorno avremo. Gian Marco invece scrive principalmente tema e accordi, e ci espone le sue idee musicali di arrangiamento direttamente a voce. Stefano tende a scrivere brani con una più forte influenza “classica”, io più Rock e Gian Marco più Jazz. Poi, come abbiamo già detto il punto centrale è proprio nella rielaborazione collettiva che facciamo, andando spesso ben lontani dall’idea originale. Sicuramente provare molte volte i brani ci ha insegnato che spesso le idee migliori arrivano d’istinto, ma eseguirle al meglio della loro potenzialità richiede per noi un importante processo di Labor Limae. Non è mai facile decidere quando un brano è “concluso”. L’ultima parola la ha comunque chi ha portato il brano in primis. Siamo sempre pieni di idee e possibili varianti, il fatto che uno di noi tre abbia l’ultima parola in merito alle scelte ci permette di non rimanere incastrati in discussioni musicali poco utili.
Davide
Nel disco sono anche proposte due nuove versioni di “Footprints” di Wayne Shorter (che, purtroppo, ci ha di recente lasciati) e “Passion Dance” di McCoy Tyner. Perché la scelta di questi due grandi della musica e, in particolare, di queste due loro composizioni? In che modo le avete rilette e riproposte anche rispetto al contesto del vostro materiale originale?
Oscar (Blewitt)
Footprints e Passion Dance sono due dei tanti standard che suoniamo insieme. Footprints è stato scelto per due motivi principalmente: la sua forte evocatività e il poterci confrontare con quasi tutti i jazzisti della storia moderna (è uno degli standard più registrati). In particolare la versione di Miles Smiles ci ha segnato profondamente. Scegliere Footprints ci ha permesso di esprimere sia la nostra riconoscenza ai vari giganti del jazz coinvolti (Shorter, Miles, Hancock, Carter, Williams), sia di esprimerci su uno Standard molto noto, in modo da poter mettere in risalto più possibile il nostro linguaggio. Avere una base comune su cui esprimerci ci ha permesso e ci permette di capire meglio chi siamo. Standard meno noti ci avrebbero permesso meno il confronto con altri. L’arrangiamento nasce intorno ad un brano di Richard Bona (Dina Lam). Ho ripreso il tema di Footprints in 4, in quanto nella versione di Miles Smiles Tony Williams ben presto trascina il quintetto in un tempo binario, quasi al punto che il brano sembra scritto in 4 e non in 3. La progressione degli accordi è stata presa da un frammento della versione di Adams Apple di Shorter. Il tempo largo è stato scelto per poter dare spazio a tutta la potenza del tema. D’altro canto Passion Dance è stata scelta perché ci ha permesso di mettere in risalto la natura “esplosiva” del trio. Siamo pieni di energie e l’arrangiamento a 350 bpm serve anche per mostrare un po’ i “muscoli”. In un epoca in cui la soglia dell’attenzione è sempre più bassa, avere un brano simile è utile per molti scopi. Nasce da una scelta di Gian Marco, che ha rivisitato il brano con una energia molto personale.
Davide
Perché avete registrato questo disco proprio ai Bauer Studios di Ludwigsburg? Che cosa in particolare da questi ricercati ingegneri del suono Adrian Von Ripka e Philipp Heck, sicuramente a proprio agio, specialmente Von Ripka, anche produttore, nel lavorare con un’ampia varietà di generi, a cominciare proprio dal jazz e dalla musica classica?
Oscar (Blewitt)
La scelta dei Bauer Studios è stata presa dopo vari mesi di ricerca di vari studios in tutta Europa. Avevamo anche considerato gli Stati Uniti per un periodo, ma ci siamo resi conto che non c’era reale necessità di andare oltre oceano in quanto la sonorità che cercavamo era qui da noi in Europa. Il primo elemento discriminatore per lo studio di registrazione è stato sicuramente il pianoforte. Ai Bauer ci sono due Steinway D-274, di cui uno del 1921 che suona in maniera incredibile. Stefano ha un passato da concertista di classica, e avere un pianoforte simile sicuramente gli ha permesso di esprimersi al suo meglio. Von Ripka e Heck sicuramente sono altri due forti elementi che ci hanno convinto ad andare ai Bauer, ma la scelta è stata fatta dopo un ascolto comparato di decine di dischi dei vari studi che sono arrivati in finale (ne abbiamo considerati più di 40!). I dischi che abbiamo sentito prodotti ai Bauer erano i migliori per qualità del suono, anche di artisti non noti. In più i Bauer Studios hanno un passato enorme nella storia del jazz. Bright Size Life di Pat Metheny è stato registrato ai Bauer. Ai Bauer hanno registrato Chick Corea, Stevie Wonder, Philp Glass e tantissimi altri. Sicuramente il fatto che abbiamo una esperienza pari merito anche nella classica ci ha convinto ulteriormente, specialmente per il suono del pianoforte.
Davide
Mi fa piacere, per svariate ragioni, che ancora si produca musica su un qualche supporto fisico. E, sicuramente, il compact disc è il migliore attuale possibile dal punto di vista della qualità del suono. E ciò anche per il piacere di rigirarmi tra le mani una copertina e interrogarmi sulle sue immagini. Una vista prospettica di stanze che si proietta verso l’oceano celeste a incorniciare un antico soldato che impugna una daga… Com’è nata questa immagine e perché?
Oscar (Blewitt)
L’immagine di copertina è opera di Livio Sapienza, che ringraziamo calorosamente per averci onorato con la sua maestria. La copertina ritrae David (in particolare è una copia del David del Verrocchio) di spalle, all’interno di un museo immaginario che guarda verso lo spazio. Ci sono vari elementi simbolici. Il primo è il David, che rappresenta la volontà di fare un’impresa quasi impossibile, ovvero riuscire ad emergere con musica come la nostra in un mercato profondamente esterofilo. L’Italia ha tanti musicisti di altissimo profilo artistico che non riescono ad emergere, il David parla anche di questo. Un altro elemento simbolico è che siamo all’interno di un museo, in riferimento alla complessa moltitudine di diversi tipi di arte musicale coinvolti nell’album. La volta celeste che si illumina sullo sfondo è sia la nostra direzione artistica che la speranza di riuscire nell’impresa. È tutto merito di Livio.
Davide
Qual è il valore diretto o simbolico della musica più importante per voi nella società contemporanea, da trasmettere, accrescere o mantenere vivo? La musica è un linguaggio capace di suscitare e diffondere consapevolezze non solo personali, ma anche nelle società e proporre, evocare o invocare soluzioni? Qual è la prospettiva di “Exploring New Boundaries” da questo punto di vista?
Oscar (Blewitt)
Per noi, i valori più importanti della musica sono il trasmettere emozioni e lo stimolare riflessioni e pensieri. La musica è una sorta di magia, di rito collettivo. Sia per noi sul palco che per gli ascoltatori. Riesce a trasmettere dei contenuti emotivi e di pensiero spesso senza usare alcuna parola. La musica comunica direttamente con parti della nostra mente che non sono le solite che usiamo quando parliamo o leggiamo. Sicuramente con la nostra musica vogliamo trasmettere che la realtà non è fatta di bianco o nero, ma di infiniti colori e sfumature che ognuno interpreta in maniera diversa.
Davide
Secondo un’ultima indagine, per il 64% degli intervistati in Italia ascoltare musica è importante per il proprio benessere mentale (un dato probabilmente accresciutosi durante le restrizioni per la pandemia). Personalmente avrei preferito un 100%, ma va bene anche così. Cosa pensate, pro e contro, di questa nostra attuale epoca musicale, soprattutto in Italia?
Oscar (Blewitt)
Il consumo di musica, specialmente nelle generazioni più giovani, è al massimo storico. Nonostante ciò la sensazione è che manchino gli spazi di aggregazione musicale, nonché degli spazi per avvicinare le persone a musiche meno standardizzate. I festival spesso lasciano spazio solo a grandi nomi, quasi sempre stranieri. Servirebbe un investimento sistematico da parte della società nel promuovere i giovani artisti di tutte le varie estrazioni musicali. Solo il 23% del FUS destinato alla musica viene speso per attività musicali non liriche. Questo vuol dire che meno di un quarto dei soldi che vengono spesi dallo stato per sostenere la produzione artistica viene usato per musica non lirica. Sicuramente si può fare meglio e di più. Un altro punto drammatico è l’insegnamento della musica nelle scuole. Se non si danno gli strumenti per poter apprezzare musica più complessa, è chiaro che si andrà verso un impoverimento dei gusti musicali. Noi abbracciamo tutte le varie sonorità, ad esempio in un nostro brano chiamato “Trapmaninov” abbiamo reinterpretato Rachmaninov in chiave jazzistica contemporanea con delle sonorità ispirate alla Southern Trap. Però se si vuole veramente avvicinare il pubblico alla grandezza della musica bisogna investire di più nell’educazione musicale. Perché si considera la conoscenza della letteratura imprescindibile in tutti i corsi di studio fin dalle elementari, ma di musica si parla poco o niente? Sono scelte molto particolari, specialmente in un paese con una così grande storia musicale.
Davide
Cosa seguirà?
Oscar (Blewitt)
Al momento stiamo lavorando per organizzare una serie di concerti in tutta Italia per promuovere il disco. Nel futuro probabilmente continueremo la sperimentazione di nuove sonorità che abbiamo iniziato in Ouverture, proprio per poter esprimere la complessità della maggior parte delle produzioni musicali contemporanee. Basti pensare all’EDM o all’Hiphop, o ad alcuni dischi dei Radiohead a cui siamo legati. Sicuramente aggiungeremo più elettronica e una produzione più incentrata su sonorità “in the box”.
Davide
Grazie e à suivre.