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Eutanasia: quale quadro normativo in Italia e nel mondo

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«Giuro, per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni,

che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: […]

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio»

(Giuramento di Ippocrate, formula classica, 430 a.C.)

 

Siamo ormai alla fine di settembre quando i giornali italiani[1] pubblicano la lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano di Piergiorgio Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, malato di distrofia muscolare e da anni bloccato in un letto collegato a macchinari salvavita.

In questa si chiede il riconoscimento del proprio diritto di decidere liberamente di porre fine alla propria vita e, a tal scopo, si invita il Capo dello Stato a farsi promotore presso le sedi istituzionali dell’apertura di un dibattito serio e approfondito su quello che è sempre stato un tema caldo per le implicazioni non solo normative ma pure ideologiche, etiche e religiose, che porta con sé: l’eutanasia.

Ma andiamo con ordine.

Il termine[2] “eutanasia” deriva dalle parole greche eu, buona, e thanatos, morte, e vorrebbe individuare una o più modalità per permettere di giungere ad una morte non dolorosa, anche detta “dolce morte”, al fine di evitare, o quantomeno ridurre al minimo, le sofferenze dovute a particolari malattie terminali.

Le pratiche che si possono riferire all’eutanasia sono sicuramente varie e si distinguono anche sul piano morale e giuridico: abbiamo l’eutanasia attiva, rappresentata da una azione che procura direttamente la morte del malato, con intento dichiaratamente caritatevole, ad esempio attraverso la somministrazione di sostanze venefiche o il soffocamento; molti approcci (giuridici, morali, religiosi) negano che la si possa distinguere in modo sostanziale dall’omicidio. Anche da un punto di vista della deontologia medica, qualche complicazione concettuale sorge dalla non semplice riconducibilità dell’eutanasia attiva ai concetti fondanti di medicina, diagnosi e terapia.

Si ha poi l’eutanasia passiva, in cui si sospendono tutti gli interventi di sostegno alla vita del soggetto (trattamenti terapeutici o nutrimento) provocandone la morte; questa forma sostanzialmente diversa dall’eutanasia attiva, in quanto la morte sovviene in modo “naturale”.

La terza forma è quella del cosiddetto suicidio assistito che consiste nel fornire a una persona i mezzi per togliersi la vita in modo poco doloroso. A differenza dell’eutanasia passiva, la morte quindi non è naturale; ma a differenza dell’eutanasia attiva, colui che assiste il suicidio non partecipa direttamente alle azioni che portano alla morte del paziente.

Di immediata evidenza risulta la delicatezza dell’argomento e del dibattito che coinvolge gli ambiti morale, religioso, legislativo, scientifico, filosofico e politico.

Per quanto ci riguarda, cercheremo in questa sede di offrire una panoramica su quanto prevedono gli ordinamenti giuridici di alcuni moderni stati di diritto che hanno già previsto la regolamentazione di tale fattispecie.

Da una analisi storica, possiamo individuare già nell’Antico Testamento[3] una delle più risalenti notizie di “suicidio assistito” nell’episodio di Saul che chiede ad un soldato di essere ucciso per alleviare le sue sofferenze: il milite esaudisce la richiesta ma sarà poi condannato dal re Davide per omicidio ed a nulla varrà il dichiarare di aver eseguito un ordine “umanitario”.

Anche il primo corpo giuridico positivo della storia, il Codice di Hammurabi, riporta previsioni normative che considerano con rispetto l’assistenza al suicidio. Nell’antica Grecia, il suicidio era considerato con rispetto (si pensi al gesto di Socrate) ma lo sviluppo della professione medica e il consolidamento di norme etiche e deontologiche portarono già Ippocrate, nel 420 a.C. circa, a prevedere nel suo giuramento l’impegno a non somministrare, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerire di assumerlo.

Tra ‘400 e ‘500, Tommaso Moro[4], uomo di legge, scrittore e uomo politico inglese, santo della Chiesa cattolica, nel suo Utopia scrive: «Nella migliore forma di repubblica i malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, molesto agli altri, gravoso a sé stesso, sopravvive insomma alla propria morte, lo esortano a morire liberandosi lui stesso da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsene strappare dagli altri…sarebbe un atto religioso e santo».

Bisogna, però, arrivare all’inizio del XVII secolo per trovare l’uso del termine eutanasia da parte del filosofo Francesco Bacone[5] nel suo testo sul Progresso della conoscenza (1605) ad invitare i medici a non abbandonare i malati inguaribili e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però, nell’idea di Bacone, il concetto esplicito di dare la morte: lo scopo del medico doveva essere solo quello di far sì che la morte (comunque naturale) fosse non dolorosa.

L’intervento diretto e attivo del personale medico per procurare la morte ha iniziato a delinearsi solo verso la fine del XIX secolo quando è emersa l’idea dell'”uccisione per pietà” (o “omicidio del consenziente”) come pratica accettabile e, anzi, da ricercare e promuovere.

Oggi, il panorama normativo a livello internazionale è dei più variegati.

In Olanda, paese che, nel 2000, per primo al mondo ha legalizzato l’eutanasia, questa è praticabile a condizione che sia richiesta ripetutamente e personalmente dal paziente al proprio medico. La richiesta include la compilazione di un questionario di 50 domande. Inoltre, si deve trattare di una patologia per la quale non vi sia una cura praticabile, è necessario il parere conforme di un secondo medico e la procedura deve essere comunicata alle competenti autorità. A partire dal 2004, l’eutanasia ha trovato applicazione anche per bambini di età inferiore ai 12 anni per i quali, però, è necessaria l’autorizzazione dei genitori.

In Austria, viceversa, nel 1977 è stata abrogata una legge permissiva sull’eutanasia.

Nella Confederazione Elvetica, è previsto e tollerato il suicidio assistito, attuato in strutture private all’esterno delle istituzioni medico-ospedaliere: in alcuni casi, comunque, risulta alquanto labile la linea di confine tra simili pratiche e l’eutanasia passiva.

In Portogallo, sono condannate espressamente le tecniche di eutanasia attiva e passiva, ma il Consiglio Etico ha, in alcuni casi considerati “disperati”, ammesso l’arresto dei trattamenti terapeutici.

In Belgio, dal settembre del 2002 è in vigore una legge che disciplina l’eutanasia a condizione che la domanda dell’interessato sia conseguente ad uno stato di “costante ed insopportabile sofferenza fisica e psichica”.

Nei paesi scandinavi, il panorama è abbastanza omogeneo: in Svezia, l’eutanasia attiva è vietata mentre il suicidio assistito è tollerato; in Finlandia, risulta legalizzata l’eutanasia passiva; in Norvegia, per procedere all’eutanasia passiva è necessaria la richiesta dell’interessato o di un suo prossimo congiunto, in caso di incoscienza.

In Germania, il suicidio assistito è tollerato e praticato, purché il malato sia capace di intendere e di volere e ne faccia esplicita richiesta; l’eutanasia attiva, invece, è proibita.

In Francia, la recente legge dell’aprile 2005 relativa ai diritti dei malati terminali riconosce loro la possibilità di richiedere una “degna morte”: viene confermato il primato delle cure palliative e, regolando l’eutanasia passiva, si ribadisce il divieto di quella attiva.

Nel Regno Unito, l’eutanasia è assimilata all’omicidio e passibile di pene fino a 14 anni di carcere; alcune pronunce difformi, comunque, sono state adottate da corti locali.

In Grecia, l’eutanasia è legalizzata e la si può applicare senza eccessive limitazioni tanto soggettive quanto oggettive.

In Ungheria, è ammessa la sola eutanasia passiva su richiesta dell’interessato.

Negli Stati Uniti d’America, la Corte Suprema ritiene legittima l’eutanasia passiva e il governo federale ha autorizzato i singoli stati a regolamentare nello specifico la delicata materia; soltanto l’Oregon ha adottato un proprio atto per il suicidio assistito escludendo tuttavia l’eutanasia.

In Canada, l’eutanasia è vietata ma, in alcune province, vi è una sorta di tolleranza verso le forme passive.

In Colombia, l’eutanasia non è disciplinata per legge, ma è consentita grazie ad un pronunciamento della Corte Costituzionale.

In Cina, dal 1998, gli ospedali sono autorizzati dalla legge a praticare l’eutanasia ai malati terminali.

Da ultimo, allo stato attuale, in Italia l’eutanasia attiva è assimilabile, in generale, all’omicidio volontario (ex art. 575 cod. pen.). In caso di consenso del malato, ci si riferisce all’art. 579 cod. pen., rubricato come omicidio del consenziente, punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è un reato, in virtù dell’art. 580 cod. pen., “Istigazione o aiuto al suicidio”. L’eutanasia passiva viene consentita in ambito ospedaliero, nel reparto di rianimazione, solo nei casi di morte cerebrale: devono, comunque, essere interpellati i parenti dell’interessato e si richiede la presenza e il permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale. In caso di parere discordante fra medici e parenti, si va in giudizio e in questo caso è il giudice a decidere.

Al di là delle diverse tonalità che le scelte normative hanno prediletto, certo è l’interesse che l’opinione pubblica manifesta nei confronti di una realtà che coinvolge sempre più persone e che, con il progresso della scienza medica e il miglioramento delle condizioni di vita anche per i portatori di disabilità, risulta d’impatto per molti.

Oggi, anche alla luce dell’invito raccolto dal nostro Presidente della Repubblica, confidiamo nell’avvio di un confronto serio ed intelligente tra le parti politiche e la società civile che possa convergere su una soluzione condivisa e rispettosa di tutte le posizioni etiche ma, soprattutto, della dignità della persona umana che, prima di ogni altra cosa, deve essere tutelata sempre.

 



[1] Cfr., ad es., in http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/09_Settembre/22/welby.shtml, «Caro Presidente, lasciatemi morire», Corriere della Sera, del 22.09.2006; oppure in http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/cronaca/eutanasia-welby/eutanasia-welby/eutanasia-welby.html, «Signor presidente, voglio l’eutanasia», la Repubblica, del 22.09.2006.

[2] Le definizioni riportate nell’articolo sono tratte e rielaborate dalle versioni italiana, francese, inglese e spagnola dell’enciclopedia libera on-line Wikipedia, in http://www.wikipedia.org.

[3] I Samuele 31:4.

[4]  Nato nel 1478; morto nel 1535.

[5]  Nato nel 1561; morto nel 1626.

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