LO ZOO DI BERLINO featuring PATRIZIO FARISELLI Resistenze Elettriche
Lo ZOO di Berlino, torna con un nuovo lavoro in un periodo ricco di impegni e dopo l’ultimo album di canzoni con Ivana Gatti e Gianni Maroccolo, si è dedicato alla produzione di diversi progetti, tra cui la ristampa rimasterizzata di “AREA 1978, gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!” ed il nuovo album di Patrizio Fariselli, “100 Ghosts”, usciti per la Warner Italia.
Resistenze Elettricheè un progetto speciale, in uscita il 25 aprile 2019 in collaborazione con New Model Labele distribuito da Goodfellas.
Un album, concept, che nasce pensato per il vinile.
Il lato A che racchiude le registrazioni dal vivo del mini tour in Emilia Romagna presso i luoghi della Resistenza, in occasione del progetto “Materiale Resistente 2.0”, in cui il gruppo insieme al loro mentore Patrizio Fariselli si lancia in improvvisazioni radicali partendo dai temi di alcuni classici del repertorio degli Area. Chiude questo set dal vivo una versione di “Aria”, dall’ultimo album di Patrizio Fariselli e dedicato ai caduti della Resistenza.
Il lato B è caratterizzato invece da 4 inediti di Lo ZOO di Berlino, rigorosamente strumentali, in trio, senza chitarre e voce, dal suono sempre ricercato.
Apre il lato B “De Waiting War” un devastante pezzo di musica futurista dove la sezione ritmica di basso e batteria è accompagnata dal Theremin e dagli “intonarumori” di Luigi Russolo suonati dal tastierista Andrea Pettinelli. Il brano è ispirato alla prima parte della suite “War”, L’aspettazione, di Francesco Pratella, compositore del movimento futurista italiano.
Il futurismo lascia dunque il posto all’epoca contemporanea di “Control Freak”, un j’accuse alle guerre asimmetriche fatte su internet mediante troll militari e controllo dei social network.
“Ganz Egal Marcela Lagarde” è invece un brano dedicato all’attivista politica messicana ideatrice del neologismo “femminicidio” in cui partecipa Christiane Felscherinow(meglio conosciuta come Christiane F) con delle outtake di sue vecchie registrazioni.
Chiude il lato B ed il disco una rielaborazione funk rock molto personale di “Bella Ciao!”.
In “Resistenze Elettriche” si ritrovano gli equilibri sonori tra l’avanguardia anni ’70 ed il post-rock contemporaneo, in cui l’ingresso del nuovo batterista Massimiliano Bergo, (proveniente dai Senzabenza) supportato dal basso granitico di Diego Pettinelli, consolidano definitivamente il sound già ben rodato degli esordi.
“Resistenze Elettriche” da un punto di vista sonoro e compositivo anticipa i due prossimi lavori, il secondo capitolo della trilogia del “Rizoma” e l’annunciato “POPS!”, l’album tributo al rock italiano anni ’70 in cui Lo ZOO di Berlino riprende alcuni classici ospitando sia gli interpreti e musicisti originali sia special guest della scena italiana e non di oggi.
L’artwork è di Mauro Biani, fumettista ed illustratore per Il Manifesto, L’Espresso, Internazionale, Le Monde e diverse altre testate.
Discografia:
Live Bootleg (2005)
Articolo Uno (2012)
Rizoma – pre release (2013)
Rizoma – Elements (2016) featuring Elio, Patrizio Fariselli, Dario Fo (immagine di copertina)
Dial Pop (2017) featuring Rovescio della Medaglia, Patrizio Fariselli, Howie B
Stereocosmica (2017)ideato, scritto e prodotto con Gianni Maroccolo, Ivana Gatti e Marcello Ravesi (L’ipotesi di Aspen).
Biografia
Il gruppo dopo varie esperienze come produttori e session man nel dietro le quinte di vari progetti tra cui Area, IG, Banco, diversi EP, compilation e live bootleg, pubblica nel 2016 un album di inediti, “Rizoma-Elements”, che vede la partecipazione di 3 grandi maestri: Dario Fo, come autore della copertina dell’album (l’ultima opera pubblicata dal Premio Nobel ed unica band a fregiarsi di tale dono), Elioal flauto traverso e Patrizio Farisellidegli Area al piano.
Segue nel 2017 “Dial Pop” con la partecipazione di Howie B (produttore di Bjork, U2, Tricky) in un inedito remix e del Rovescio della Medaglia.
Sempre nel 2017 “Stereocosmica” è invece un album di canzoni inedite a tripla firma con la cantautrice Ivana Gatti e Gianni Maroccolo.
Gli amanti del rock progressivo cercano in tutti i modi di incasellare Lo ZOO di Berlino tra il novero della contemporanea scena prog, tant’è che diversi sono i giornalisti ed alcuni artisti, ad esempio Gianni Nocenzi (l’ex Banco con cui collabora stabilmente), a definirli “post-prog”.
Il gruppo ovviamente non disdegna la grande scuola del rock italiano anni ’70 (di cui si nutrono), tuttavia l’intenzione è di andare oltre, con una certa affinità con l’odierno post-rock, musiche da colonna sonora e più sperimentali, rifuggendo dunque qualsiasi etichetta.
La loro musica, a tratti minimale, molto dinamica, articolata tra momenti melodici ed esplosioni sonore fino al noise e musica aleatoria, è prodotta con soli 3 strumenti: basso, batteria e piano elettrico preparato, senza voce né chitarra.
La sintassi della struttura dei loro brani strumentali mette al centro della scrittura una ricerca raffinata dei timbri e lo sviluppo di nuovi e diversi modi espressivi.
Lo ZOO di Berlino è un laboratorio autentico, una vera fucina degli artigiani: scrivono, registrano, missano, masterizzano e producono ogni loro lavoro.
Tracklist:
1.Internationale Improft P. Fariselli
2.Eléphant Blanc Impro ftP. Fariselli
3.Arbeit Impro ftP. Fariselli
4.Aria (di P. Fariselli)
5.De Waiting War (from Pratella’s War)
6. Control Freak
7.Ganz Egal Marcela Lagarde
8.Bella Ciao
Preorder su: https://lozoodiberlino.bandcamp.com/
Intervista
Davide
Dicono che lo zoo di Berlino sia uno dei più interessanti giardini zoologici del mondo, ma l’unico zoo di Berlino che conosco è quello del libro di Christiane F. Voi perché avete scelto di chiamarvi in omaggio a Christiane Vera Felscherinow, almeno così suppongo dal momento che in questo vostro ultimo lavoro vi partecipa con l’uso di alcune sue vecchie registrazioni?
Lo Zoo di Berlino
Ciao Davide.
Christiane F fu per noi uno spunto interessante, perché nel leggere da adolescenti la sua storia, trovammo dei punti di contatto col suo disagio del vivere (l’aspetto legato alla tossicità è del tutto marginale).
Nonostante lei vivesse a Berlino, grande Capitale europea (al netto delle sue contraddizioni) e noi in provincia, attraverso il suo sguardo sulla città notammo che vivevamo le stesse sensazioni: il vissuto di adolescenti tra asfalto, cemento armato, luci al neon, lampioni sgarrupati, parcheggi e casermoni prefabbricati abbandonati (le classiche cattedrali nel deserto, preda dei reietti della società). Il tutto condito da olezzi sparsi nelle zone periferiche, poli industriali e delle stazioni ferroviarie.
Una gioventù dunque, proprio come la nostra, abbandonata a se stessa, senza un luogo di ritrovo, senza servizi, senza spazi, privi delle condizioni base per una qualunque prospettiva (per incapacità politica delle classi dirigenti).
Per dei bambini è facile perdersi dentro certi meandri (diciamo questo non come giustificazione, ma solo per centrare il tema della riflessione).
La storia di Christiane rappresenta anche il perbenismo di facciata e l’uso strumentale che viene fatto dei giovani e della loro condizione (in questo il libro è molto più chiaro rispetto al film): giovani additate/i come merce avariata, salvo poi, di notte, ambirle/i a preda delle proprie perversioni.
Le musiche del film, ovviamente, ci folgorarono, anzi diremmo che ci hanno corrotto al punto tale da modificare il percorso della nostra vita, portandoci a trasformare la nostra passione in mestiere.
Pensa a Bowie, Fripp, Eno e Below tutti insieme appassionatamente per il brano Heroes…
Davide
Riascoltare più di quarant’anni dopo la musica degli Area e scoprire che non è ancora “datata” come invece molta altra del periodo, che c’è ancora e sempre qualcosa da scoprire qua e là. Rileggere oggi la musica degli Area, in che modo? Qual è stata la vostra chiave in questa occasione condivisa con il grande Fariselli?
Lo Zoo di Berlino
Seguendo proprio i consigli di Fariselli la chiave è stata quella di essere noi stessi, senza scimmiottare nessuno, consapevoli dei propri limiti e coraggiosi nel proporre un proprio pensiero musicale, magari pure in modo arrembante, ma autentico.
Gli AREA, non ce ne vogliano gli altri, sono stati una realtà unica. Sono stati i primi ad utilizzare strategie del marketing (anzi fu Gianni Sassi, il loro produttore fondatore della CRAMPS, che prima di essere un discografico fu un grande pubblicitario) ma senza mai tralasciare l’autenticità o tradire la loro vera essenza. C’era un duro lavoro, appassionato, fatto con abnegazione. Ogni elemento, sul proprio strumento ha fatto percorsi di esplorazione inimmaginabili.
Poterci anche solo avvicinare a tutto questo, (date le premesse di cui sopra nella prima domanda) puoi solo immaginare cosa può essere stato per noi giovani di periferia della provincia.
Tutto ciò è stato anche una salvezza.
Davide
Perché improvvisare? Cosa significa per voi il fatto che suonare non sia solo qualcosa di scritto o esatto, deciso e replicabile nota per nota?
Lo Zoo di Berlino
La ripetizione è un elemento suadente, è come quando dici a qualcuno “racconta ancora un po’ di quella volta che…” perché si ha il piacere di riascoltare quella storia che emoziona.
Ma dopo un po’ entra in gioco il meccanismo della noia, è bene perciò alternare! 🙂
Dunque l’improvvisazione è un ricercare in diretta altre soluzioni, altri argomenti da affrontare.
È un mettersi in gioco, una sfida, una prova di coraggio verso chi ti ascolta, perché ci si assume un rischio nell’improvvisazione e fare un concerto senza assumersi nessun rischio ci sembra un fare un po’ debole.
È un buon modo per rendere tutto frizzante, benché la nostra musica non sia classificabile come esclusivamente improvvisata.
Un altro elemento su cui porre attenzione è che quando si compone, fuori dunque dalla perfomance live, in realtà si sta improvvisando: al momento della composizione non c’è nulla di scritto, no? Una volta individuato il brano, un tema, un fraseggio, non si fa altro che riproporre un’idea che non è più estemporanea. Ci riserviamo così dal vivo dei momenti per rendere partecipe il pubblico a quei meccanismi che ci spinge all’ideazione di un pezzo. Siamo in piena ricerca e allenamento su questo aspetto.
Davide
Perché la scelta di quei tre precisi brani (L’internazionale, L’elefante Bianco e Arbeit Macht Frei)?
Lo Zoo di Berlino
Oltre ad essere tra i brani più popolari degli AREA hanno anche una forte connotazione politica. Li scegliemmo come omaggio agli AREA per un mini tour in Emilia Romagna fra i luoghi della Resistenza, per il progetto “Materiale Resistente 2.0” ideato dall’ANPI e dal MEI.
Davide
La bellissima “Aria” da “100 ghosts” di Fariselli, antica melodia tracia, è stata dedicata ai Partigiani Caduti. Il brano è stato da voi eseguito in un mini tour presso i luoghi della Resistenza in Emilia Romagna… E non manca una vostra rielaborazione del canto partigiano per eccellenza (ormai in Italia si fa polemica su tutto, quest’anno, ahinoi, è toccato anche al “25 aprile” e a “Bella Ciao”). Cosa è per voi Resistenza oggi?
Lo Zoo di Berlino
La Resistenza, oggi, è un percorso di continua e rinnovata rivendicazione della propria Libertà.
Libertà che va difesa, perché non è affatto scontato che essa sia ormai perpetuamente acquisita: basti pensare agli episodi odierni e alle logiche di Governo che si susseguono da anni. Perfino a sinistra emergono idee neoliberiste farcite di un conservatorismo e bigottismo che sembravano sepolti dopo la rivoluzione francese.
Davide
“De Waiting War” rievoca il Futurismo ispirandosi da una parte a “La Guerra: L’aspettazione”, di Francesco Balilla Pratella, dall’altra riesumando il suono degli intonarumori inventati da Luigi Russolo. Sappiamo tuttavia che gli intonarumori sono andati tutti distrutti, perduti. Avete usato delle ricostruzioni? Il Futurismo, sia il primo (1909) che il secondo (1918-1938) purtroppo hanno anticipato due dei peggiori momenti della storia umana oltre che italiana. Avevate qualche presagio o paura oggi e per il futuro da scongiurare nel fare e nel titolare questa composizione?
Lo Zoo di Berlino
Seppur il Futurismo si sia manifestato in momenti nefasti come hai sottolineato e spesso strumentalizzato, senza cognizione di causa, rimane un movimento interessante e ancora da esplorare (l’unico movimento che nasce dall’Italia per conquistare il mondo intero, che contamina il cubismo per la pittura, o porta i compositori alla musica destrutturata, seriale, contaminando le diverse avanguardie del 900). Quindi il nostro interesse va oltre.
Abbiamo usato delle ricostruzioni e dei riadattamenti degli intonarumori (come motori elettrici per seghe circolari, pialle ecc. cioè la primissima tecnologia inventata dall’uomo con l’avvento dell’elettricità e della Rivoluzione Industriale). Successivamente abbiamo campionato ed intonato i suoni per renderli suonabili nel sistema temperato.
“De Waiting War” è proprio come dici tu: un esperimento sonoro che pone però una riflessione nello scongiurare un futuro prossimo che può diventare inquietante.
Questo era un brano che stavamo scrivendo per un progetto internazionale, in occasione di alcune nostre date estere. Ci chiedevamo come comunicare agli altri Paesi europei il nostro immaginario, i nostri contenuti mantenendo un legame con il territorio, evitando di passare per quelli che fanno il verso agli anglo-americani. Abbiamo anche pensato che forse in altri Paesi questi temi potevano essere colti con una certa sensibilità e in più di aver trovato una formula musicale e sonora efficace.
Se notiamo il filo nero che collega Farage, Putin, Orban, Salvivi-Di Maio con Bannon che fa da collante a tutto, esiste un progetto di estrema destra che si sta allargando a tutto il globo. È un fenomeno dunque degno di essere evidenziato. “De Waiting War” si colloca dentro questa osservazione.
Davide
“Da venticinque secoli la cultura occidentale cerca di guardare il mondo. Non ha capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta. La nostra scienza ha sempre voluto controllare, contare, astrarre e castrare i sensi, dimenticando che la vita è rumore e solo la morte è silenzio”. Così ha scritto Stefano Pivato nel suo “Il secolo del rumore. Il paesaggio sonoro nel Novecento. Cos’è per voi l’estetica del rumore? In che modo per voi si rapporta con la musica, tra quali equilibri o disquilibri?
Lo Zoo di Berlino
Nella musica c’è anche rumore. In natura non esistono suoni privi di rumore, che sia il leggero fruscio dell’archetto mentre scorre sulle corde di un violino o i rumori della meccanica di un pianoforte. Il rumore è un componete naturale del suono, talvolta la bilancia si sposta più verso il suono (e ci piace) ma altre si sposta verso il rumore (e ci piace anche di più). Ad esempio Cage non riteneva neanche necessario che il suono fosse organizzato o in equilibrio particolare, (basti pensare al suo 4’.33” di Silenzio) si poteva anche lasciarlo esprimere nella sua aleatorietà.
Dunque il Rumore è suono e in quanto tale aumenta le possibilità di espressione.
Nell’Internazionale Fariselli ha pensato all’uso di trattori, mezzi cingolati, martelli pneumatici per intonare il tema dell’Inno dei Lavoratori.
Quando ce lo propose la cosa ci piacque molto, così come puro gusto sonoro, senza alcun significato più profondo. Chiedemmo ovviamente come mai quella scelta e lui, seraficamente “sono i suoni del lavoro”. Cosa banale, probabilmente, ma per noi fu un’illuminazione e un’esperienza didattica nel gestire il cosiddetto rumore.
Quelli erano i suoni del lavoro della generazione di Fariselli, quali erano i suoni del lavoro della nostra generazione? A quel punto noi rispondemmo con l’ingresso di un quartetto d’archi pizzicato, per ironizzare il tutto, in contrappunto ai suoni dei computer, call-center, suonerie degli smartphone-tablet ecc. …Fariselli ci rispose: bene, ci siamo, ora possiamo andare avanti.
Quella fu la fine della lezione su come gestire il rumore! J
Davide
E poi ancora Marcela Lagarde, rappresentante di spicco del femminismo latinoamericano, a cui avete dedicato “Ganz Egàl Marcela Lagarde” e i trolls militari… Dopo centinaia di interviste posso dire che è molto raro trovare qualcuno che sia andato oltre la scrittura di testi per canzoni o titoli che vadano oltre il solitamente definito “quotidiano personale” e un generico uso dei termini “intimismo” ed “emozione” o un “non mi interessa la politica”. Perché è importante (e per me lo è molto) che un brano musicale indichi, anche solo nel titolo o in una dedica, qualcosa o qualcuno di preciso da conoscere nel mondo? C’è una funzione socio-culturale che l’Artista ha perso in quest’epoca e di cui si dovrebbe riappropriare?
Lo Zoo di Berlino
Abbiamo sempre diffidato di coloro che dicono “la musica non deve mescolarsi con la politica”. Certo non è obbligatorio, è una scelta. Ma ogni idea, sentimento, è per noi una manifestazione politica. C’è uno slogan degli anni ’70 che quando lo scoprimmo nelle nostre ricerche ci colpì molto: “il personale è politico”, cioè il vissuto di una persona è manifestazione politica.
Chi dunque si tiene lontano da certe manifestazioni temiamo che sia nella maggior parte dei casi solo paura di scontentare qualcuno. Invitiamo dunque al coraggio. La musica se è un’espressione della vita, per chi come noi è organizzato in forme cosiddette sociali, la politica è un elemento fondamentale: gestisce la nostra vita, condiziona il futuro, la qualità del nostro quotidiano. A meno che una persona non provenga da famiglie ricche e/o di musicisti affermati, chi sceglie di fare nella vita il musicista o l’artista in genere, fa un atto politico, perché solo una forte motivazione ti spinge a percorrere un sentiero impervio rispetto a quello più battuto.
Noi veniamo dalla scuola di Dario Fo dove ci insegnava che l’arte deve avere una morale: è un dovere dell’artista porre l’attenzione sui temi.
Ma si può immaginare una forma artistica senza un contenuto?
Anche chi dice “non si deve fare politica con la musica” è un atto politico.
Davide
Mi piacerebbe – se fosse possibile – rivolgere almeno una domanda a Patrizio, a cui chiederei: perché è importante sperimentare, avventurarsi, ricercare e non smettere mai di farlo? Come lo direbbe ai giovani che iniziano a studiare e a fare musica oggi? La stessa domanda naturalmente è rivolta allo Zoo di Berlino…
Lo Zoo di Berlino
A questo può rispondere in maniera più completa Patrizio, perché lui è il Maestro e colui che ha fatto e sta facendo la storia con la sua musica. Per quello che riguarda noi, seppur non ci sentiamo in grado di dare grandi indicazioni, possiamo semplicemente dire che se un ragazzo ha una passione, qualunque essa sia, al di là della musica, deve trovare il modo, magari insieme ad altri, in forme collettive, di non rassegnarsi e perseverare, capendo, di risultato in risultato (sia postivo che negativo) come poter rettificare il tiro, capendo cosa ha funzionato e cosa no.
Patrizio Fariselli
Ciao Davide, grazie per la domanda.
Penso che un artista degno di questo nome, nel momento della sua maturità, debba tendere a elaborare un suo pensiero musicale, una sua “visione del mondo” in sintonia con il suo talento naturale e la sua preparazione.
Motore principale di questo processo è necessariamente l’amore per la conoscenza e la pratica appassionata in cui continuamente ci si mette in gioco.
A questo punto, parole come ricerca e sperimentazione definiscono condizioni per me talmente naturali da diventare pressoché inutili. Sarebbe come chiedere a un pesce se l’acqua per lui è importante.
Davide
Cosa seguirà?
Lo Zoo di Berlino
Siamo già a lavoro su 3 album distinti, di questi uno è un side project, per il quale sveleremo più avanti di cosa si tratta: seguiteci, abbandonati in estasi senza fare circospetto! 😀
Anzi in realtà stiamo lavorando su 4 album: una tiratura speciale per il tour europeo alle porte ed altri 2 che sono il secondo capitolo della trilogia del Rizoma e l’album tributo al rock italiano anni ’70, che vede la partecipazione dei membri originali delle band omaggiate ed altri featuring.
Non ci facciamo mancare nulla.
Davide
Grazie e à suivre…