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Unione Europea post-2019: riforme necessarie per continuare a esistere

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«I Dieci Comandamenti contengono 279 parole, la Dichiarazione Americana d’Indipendenza 300
e le disposizioni della Comunità Europea sull’importazione di caramelle esattamente 25.911
»
(Franz Josef Strauss, politico tedesco, 1915-1988)
 
I risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo[1] hanno portato nell’emiciclo di Strasburgo ciò che nei paesi membri già si conosceva da tempo: la società del Vecchio Continente è cambiata e continua a cambiare così come le sue esigenze; i rappresentanti politici e gli equilibri che questi creano nel sistema dell’Unione devono trovare dunque nuove formule per gestire il sistema.
Aspetto però cruciale per poter affrontare le sfide di questo tempo, è il riconoscimento che lo stesso progetto europeo oggi necessita di una riforma radicale e precisa che in molti cercano di rinviare e che invece i più convinti europeisti desiderano promuovere.
Io, che mi annovero tra questi, cercherò in questa sede di delinearne i contenuti che ritengo più rilevanti.
 
La presa di coscienza
Il nuovo europarlamento uscito dalle urne ha palesato un quadro completamente differente da quello cui i cittadini europei erano stati abituati in 40 anni di elezioni dirette dell’istituzione strasburghese: i tradizionali equilibri sono saltati!
Le due storiche famiglie politiche, il PPE, Partito Popolare Europeo, e l’S&D, Socialisti & Democratici, hanno perduto la maggioranza e per esprimere il presidente dovranno trovare un accordo, forse con i Liberali. Dall’altra parte, gruppi eurocritici quali l’ENL, Europa delle Nazioni e Libertà, l’EFDD, Libertà e Democrazia Diretta, ed ECR, Conservatori e Riformisti, potrebbero unirsi tra loro e creare una sinergia programmatica con alcuni esponenti più conservatori del PPE e divenire la seconda forza scalzando i socialisti.
Situazione questa che in alcuni paesi membri è divenuta molto delicata per il sorpasso avvenuto dal voto europeo rispetto alle precedenti consultazioni nazionali: in Francia, il Rassemblement National su En Marche del presidente Macron; in Italia, la Lega sul Movimento 5 Stelle.
In questo quadro risulta fondamentale arrivare a una presa di coscienza sui diversi aspetti della crisi che continua a caratterizzare l’UE ed elaborare azioni concrete per contrastarne la sclerotizzazione che potrebbe condurre alla fine del progetto.
La crisi economica partita dagli Stati Uniti nel 2008 e poi passata ai mercati europei e alle tasche dei cittadini, ormai è superata o meglio è divenuta sistemica e quindi organica: un elemento con il quale misurarsi quotidianamente perché immanente.
Da ciò deriva che la crisi sociale non è un fenomeno accidentale da prevedere e per cui adottare misure di emergenza, bensì è ora un momento organico immanente da inserire nelle ordinarie agende di lavoro di politici e amministratori pubblici.
Strettamente collegato alla condotta dei decisori vi è la crisi della rappresentanza ormai metabolizzata in tutte le realtà, locali e globali: si è alla ricerca di nuove figure che possano raccogliere il gonfalone della nostra contrada e farci vincere il palio a tutti i livelli.
Se queste sono le dimensioni critiche dell’attuale Europa, gli ambiti nei quali si sono manifestate e continuano a farlo sono prevalentemente quello economico con una prevalenza dell’appoggio al sistema finanziario rispetto a mirati interventi di promozione sociale, quello delle relazioni esterne con una colpevole incapacità di affrontare il fenomeno migratorio e indisponibilità a elaborare una vera strategia di cooperazione allo sviluppo, quello del comune patrimonio culturale europeo che ha continuato a cedere davanti all’avanzata di egoistiche visioni nazionaliste perdendo i valori di apertura, accoglienza, coesione e sviluppo alla base della nostra costruzione.
Quanto sopra descritto in maniera sintetica si è concretizzato nel voto per il Parlamento Europeo dove l’affluenza alle urne è stata di poco superiore al 51% e le persone inviate a Strasburgo sono sempre più euroscettiche: purtroppo il progetto europeo si impoverisce a impoverirsi, il fronte euroscettico si allarga e consolida.
 
Le riforme necessarie
A fronte di una analisi tanto negativa, l’unica strada da intraprendere per offrire una nuova opportunità all’Europa e secondo me quella di avviare una nuova stagione di riforme strutturali e integrali: riforme che dovranno ridisegnare tanto l’impianto istituzionale quanto quello delle politiche.
La prima, fondamentale e improcrastinabile riforma è quella relativa al riequilibrio delle competenze delle istituzioni europee: per colmare definitivamente lo storico gap democratico e procedere ulteriormente verso la realizzazione della vera Unione politica.
Dunque, al Parlamento[2] andrebbe riconosciuto un pieno potere legislativo, dall’iniziativa all’adozione del provvedimento, la potestà di esprimere i membri della Commissione, di dar loro la fiducia ed eventualmente di sfiduciarli; la Commissione[3], dal canto suo, dovrebbe veder consolidata la sua funzione esecutiva e di “guardiana dei Trattati”, sganciata dagli interessi degli stati membri e sottoposta solo al Parlamento ma con competenze esclusive ben maggiori (difesa comune, politica estera, fisco, sviluppo economico); il Consiglio[4], quindi, verrebbe ridimensionato a una sorta di Camera Alta partecipe della funzione legislativa ma limitatamente a particolari e specifiche materie sensibili, senza alcun potere di veto sull’azione del Parlamento e con una revisione dei meccanismi di voto al suo interno; per quanto riguarda poi la Banca Centrale Europea[5], prevedere il coordinamento dello sviluppo economico con la politica monetaria quali obiettivi della sua azione renderebbe il sistema sicuramente più efficiente e competitivo.
Un riassetto di tali dimensioni, peraltro in questa sede solo abbozzato, obbligherebbe i partner europei a rimettere in discussione i propri rapporti in maniera profonda e a riconsiderare pure quali e quante parti di sovranità nazionale siano disposti a condividere o cedere al livello europeo.
Di sicuro, in una prima fase d’avvio, anche per cercare di rispondere in maniera credibile ed effettiva alle sfide rappresentate dall’analisi sopra descritta, sarebbe opportuno rilanciare una comune politica sociale, elaborare una politica fiscale condivisa, pensare e governare una politica per lo sviluppo economico, creare una unica politica estera e di cooperazione europea.
Sono consapevole che non sia facile né celere avviare un processo di riforma di tale portata ma visto che mi sono cimentato in tale esercizio mi permetto anche di suggerire alla eventuale futura conferenza intergovernativa alcune misure urgenti e più facilmente adottabili in attesa dei cambiamenti strutturali.
Il modello potrebbe essere quello del Fiscal Compact[6], uno strumento a suo modo “agile” redatto e adottato in tempi rapidi per dotare il sistema costituzionale dell’UE di alcuni ulteriori utensili tecnici, quasi “Trattatelli di servizio” o al servizio dei Tratti maggiori.
Ecco allora che si dovrebbero prevedere in primis un Social Compact, sistema di cooperazione rafforzata per un’azione rapida ma strutturata ed eventualmente continuativa in tema di sicurezza sociale: disoccupazione, previdenza, disparità e bisogni primari per non parlare di migrazioni interne ed esterne.
Pensare poi a uno Human Compact, per avere un quadro di riferimento comune e una cassetta degli attrezzi di immediato impiego in tema di pratiche di governance per rendere effettivi quei diritti umani che costituiscono la base della comune convivenza civile per tutti coloro che si trovano all’interno dell’Unione senza alcuna distinzione.
E chiudere la terna con un Green Compact, relativo alle politiche di difesa dell’ambiente e di lotta ai cambiamenti climatici, per permettere di realizzare in maniera uniforme e continuativa quelle best practices che erano state il centro della COP 21 di Parigi[7] ma che poi sono state da molti accantonate e dimenticate.
 
L’Unione Europea post-2019
Oggi l’Unione Europea si trova a un bivio cruciale della sua storia: può dimostrare di voler riprendere il ruolo di modello di progresso, convivenza e coesione incarnato almeno sino all’entrata in vigore della sua moneta unica, l’Euro, o rifilarsi quale comparsa secondaria sullo scenario globale.
Rappresentare un unicum sempre più originale e capace di innovazione sociale, politica, culturale o diventare un circolo finanziario.
Il processo di revisione dei Trattati tendente a ridefinire il modello istituzionale come da me proposto necessita di tempi molto lunghi; l’adozione dei Trattatelli, invece, sarebbe più rapida.
La politica e la diplomazia europee non sono pronte a un impegno di questo genere, i cittadini europei, invece, ne hanno fortemente bisogno, e il mondo intero ne sarebbe positivamente impattato.
La mia speranza, in occasione dell’avvio del mandato del nuovo Europarlamento, e che l’azione dei neoeletti consenta alla nostra Europa di essere meno fortezza ma acquisire e dimostrare più forza
 

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