“OK, Houston, abbiamo avuto un problema qui”.
John Swigert (Missione N.A.S.A. Apollo 13, 14/04/1970)
L’era del diritto dello Spazio iniziò il 4 ottobre 1957 quando l’Unione Sovietica lanciò in orbita
[2] lo
Sputnik: a questo primo satellite artificiale seguirono molti altri satelliti, sovietici e statunitensi, di mole e di altezza rispetto alla superficie terrestre (apogeo) sempre crescenti
[3].
Da questi primi “esperimenti” fu subito chiaro che i singoli Stati, e la Comunità internazionale tutta, non si sentivano vincolati alle norme tradizionali circa la sovranità sullo Spazio aereo, cioè sullo spazio sovrastante la superficie del proprio territorio nazionale sul quale il tradizionale diritto della navigazione estende la piena sovranità dello Stato sottostante, a differenza dello Spazio aereo sovrastante l’alto mare, per cui vige il principio della piena libertà di uso e passaggio
[4]. In ogni caso, sia l’Unione Sovietica, sia gli Stati Uniti non si curarono mai di chiedere autorizzazioni di sorvolo, e nemmeno di notificare il passaggio dei loro satelliti, così come gli Stati “sorvolati” non elevarono proteste di alcun genere
[5].
L’Organizzazione delle Nazioni Unite adottò, appunto pochi giorni dopo il lancio dello
Sputnik, la Risoluzione 1148 del 14/11/1957, che “raccomandava”, nell’ambito del principio del disarmo, lo studio di un sistema di controllo finalizzato ad assicurare che il lancio di apparati nello Spazio fosse per scopi esclusivamente pacifici e scientifici
[6]; successivamente venne creato un apposito “Comitato per le utilizzazioni pacifiche dello spazio”
[7] che predispose due Risoluzioni (n°1721 del 20/12/1961 e n°1962 del 13/12/1963), adottate dall’Assemblea Generale dell’ONU, contenenti principi molto rilevanti per il Diritto Internazionale, tanto che considerato il carattere assolutamente non vincolante, per gli Stati membri, delle Risoluzioni (né il Diritto Internazionale generale, né la Carta ONU riconoscono all’Assemblea Generale il potere di creare norme giuridiche, ma soltanto di fare “raccomandazioni”, artt. 11-14 Carta), si ritenne di dover confermare e sviluppare in un vero e proprio “Trattato sullo Spazio” (
Trattato sui Principi che reggono le attività degli stati in materia di esplorazione e ed utilizzazione dello Spazio extra-atmosferico, ivi compresa la Luna e gli altri Corpi celesti –
Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies[8]), approvato dall’Assemblea Generale il 19/10/1966, entrato in vigore il 10/10/1967, con l’adesione e la ratifica della stragrande maggioranza degli Stati. Dopo vivaci discussioni (mai spente tra gli esponenti della dottrina internazionalistica
[9]), riguardo la natura e la conseguente disciplina giuridica dello Spazio Cosmico (o ultra-atmosferico/
outer space), si affermò tra i giuristi (e nel Trattato ONU), la tesi per cui “lo Spazio (Cosmico) è di tutti (
res totius)”
[10]. L’art. I definisce la finalità ed il campo di applicazione dell’accordo: “
L’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio, compresa la Luna e gli altri corpi celesti, dovranno essere attuate a beneficio e nell’interesse di tutti i Paesi, indipendentemente dal loro grado di sviluppo economico o scientifico, e dovranno essere aperte a tutta l’umanità.”. L’art. II stabilisce “
Lo Spazio, ivi compresi la Luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione nazionale, né a pretese di sovranità attraverso l’uso e l’occupazione, né con nessun altro mezzo”.
Se avesse prevalso l’altra tesi in campo e cioè che lo Spazio Cosmico non è di nessuno (
res nullius), avrebbe trovato applicazione il diritto internazionale tradizionale per cui i territori non sottoposti alla potestà di alcun soggetto internazionale, possono essere occupati dai soggetti internazionali (non dai privati) attraverso i loro organi
[11]. Nei primi anni dell’era spaziale anche questa diatriba giuridico – diplomatica aveva spinto l’Unione Sovietica, nella speranza di ottenere una priorità politicamente importante su tutti gli Stati mondiali (e di anticipare in particolare le analoghe mire statunitensi), ad inviare verso la Luna la sonda spaziale LUNIK 2, che colpì la superficie del nostro satellite il 13 settembre 1959, e che conservava al suo interno piccole placche metalliche con gli emblemi dell'URSS e le parole "Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche – settembre 1959", al fine di poter vantare diritti territoriali sulla Luna nel caso avesse prevalso la normativa internazionale “tradizionale”. Risale proprio a quegli anni la parallela decisione degli Stati Uniti di dare l'avvio a un progetto spaziale di grande respiro per portare l'uomo sulla Luna
[12].
In realtà l’Unione Sovietica, fin dal 1959, dichiarò espressamente di “non avere alcuna intenzione di stabilire dei diritti di sovranità sulla Luna”, e a maggior ragione, a Trattato sullo Spazio già entrato in vigore, dieci anni dopo quando il 20 luglio 1969 Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11 della NASA
[13], toccò il suolo lunare e piantò la bandiera degli Stati Uniti, questa bandiera (e le placche con gli emblemi dell'Unione Sovietica della capsula LUNIK 2), furono paragonate alla bandiera inglese che sir Edmund Hillary piantò sulla cima del monte Everest, per la prima volta raggiunta il 29 maggio 1953, e cioè essenzialmente un simbolo della presenza del genere umano, non certo di proprietà “nazionale” di un luogo.
Il Trattato sullo Spazio ha avuto il suo completamento con
l'Accordo che regola le attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti, meglio noto come
Trattato sulla Luna o
Accordo sulla Luna che venne formalmente adottato il 18 dicembre 1979, entrato in vigore per le parti ratificanti l’11 luglio 1984
[14], ma che non può certo dirsi “a larga diffusione” (a differenza del Trattato sullo Spazio esso non richiede l’adesione degli Stati Uniti e della Russia, succeduta all’Unione Sovietica, principali potenze aerospaziali, e non è stato ratificato anche da
Cina, India, Giappone ed
ESA[15]). Esso introduce il diverso (e più evoluto) concetto di “Patrimonio comune dell’umanità” per la Luna (art.11 del Trattato), e intende stabilire un regime per il suo uso simile a quello stabilito per i fondali marini, indicato con la categoria romanistica delle
res comunes omnium[16]. Il Trattato ribadisce che la Luna deve essere usata per il bene di tutti gli Stati e di tutte le persone della comunità internazionale, prevedendo una serie di
divieti: tra gli altri, all’uso militare del corpo celeste, all’alterazione dell’ambiente, alla rivendicazione di sovranità o di diritti di proprietà. Inoltre, l’accordo prevede che le
attività di produzione ed estrazione di risorse siano condotte sulla base di un regime internazionale, così come dichiara che per ogni oggetto prelevato durante le attività di ricerca, lo Stato che lo ha prelevato deve considerare la possibilità di mettere parte di esso a disposizione di tutti i Paesi e della comunità scientifica perché possano fare le proprie ricerche. Da sottolineare anche il divieto di alterazione dell'ambiente dei corpi celesti e l’obbligo per gli Stati di assumere misure adatte ad evitare contaminazioni accidentali.
Ad oggi nessuno Stato rivendica diritti sulla Luna. Ma in mancanza dell’adesione e della ratifica al Trattato dei Paesi più importanti,
il regime giuridico del nostro satellite rimane ambiguo[17]. Allo sbarco del primo uomo sulla Luna agli occhi della gente era iniziata la colonizzazione dello spazio, e rappresentazioni futuristiche immaginavano la Luna pullulante di stazioni di ricerca e studio, abitate in permanenza da esseri umani. In realtà dopo il 1969 la Luna è stata "violata" da esseri umani solo altre cinque volte
[18], e la colonizzazione della Luna è oggi relegata al livello di progetti per un futuro non immediato. Anche i risultati scientifici del programma Apollo, che richiese la mobilitazione di un milione e mezzo di addetti (tutti ad alta professionalità), ed una spesa costata al contribuente americano più di qualche migliaio di dollari a testa, furono di scarso rilevo
[19]. E’ generalmente noto che la conquista della Luna, fra gli anni '50 e '60, fu una operazione tecnica e scientifica con pesanti motivazioni politiche, nel clima della Guerra Fredda e della contrapposizione tra
USA e
URSS, a cui gli Stati Uniti in particolare, dopo il Trattato del 1967 che stabiliva l’inappropriabilità della Luna, non poterono rinunciare per motivi economici (ormai i fondi pubblici erano stati, in buona parte, già stati investiti), e d'immagine (ritirarsi sarebbe stato vissuto dalla opinione pubblica come incapacità dell’America di arrivare davvero alla Luna); inoltre se gli americani non avessero mai raggiunto la Luna, i Sovietici avrebbero anche potuto ritirare la loro firma all'accordo del 1967, nella convinzione di averla raggiunta per primi (con le loro sonde) e dunque di poterla raggiungere, prima o poi, anche con equipaggi umani.
Oggi l’evoluzione tecnologica e le esigenze energetiche del nostro pianeta sembrano aver rianimato l’interesse per la conquista della Luna, anche se l’opinione pubblica non può essere più entusiasta all’idea di vedere alcuni uomini passeggiare sulla Luna, soprattutto al pensiero dell’enorme quantità di denaro pubblico necessario per mandarli. Attraverso l’ambizioso programma Constellation (Amministrazione G.W.Bush), la NASA intendeva inviare un equipaggio sul satellite per studiare la possibilità di crearvi una base permanente; l’Amministrazione successiva del Presidente Obama ha chiuso il programma tagliando fortemente i fondi alla NASA per esigenze di bilancio.
La Luna è
ricca di molti minerali utili, come l’alluminio, il calcio, il ferro, il magnesio, il titanio, l’Elio-3
[20], e, forse, anche l’oro. Resta da stabilire, però,
se l’estrazione di queste risorse sia economicamente sensata. La Russia punta molto sull’Elio-3, ma l’industria spaziale (pubblica o privata) russa non vive un momento facile, a differenza dell’India che dispone di intelligenze e capacità finanziarie e tecniche (ha già inviato una sonda sulla Luna nel 2008). In altri termini, non è assolutamente da escludere che in un futuro più o meno lontano una compagnia privata intraprenda attività lucrative nell’ambito di un programma di ricerca spaziale sul nostro Satellite naturale, e chi sarà in grado di impedire a questi privati (con forti capacità tecniche ed economiche), di estrarre minerali dal suolo lunare? I Governi nazionali avranno la forza di far rispettare gli impeccabili principi stabiliti da un Trattato del 1967? Oppure i profitti per le grandi multinazionali e la garanzia di energia e materie prime per la nostra Terra (soprattutto per le sempre più fameliche
economie emergenti), potrebbero, in definitiva, fare comodo a tutti, dando il via alla “privatizzazione” della Luna? E’ fantascienza…
“L’Aquila è allunata!”
Neil Amstrong. (Missione N.A.S.A. Apollo 11, 20/07/1969)