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Diamo fondo ai Fondi!

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Diamo fondo ai Fondi!
Passato prossimo, presente incerto e futuro complesso dei finanziamenti europei per le regioni
«L’Europa deve rinnovare le basi della sua competitività,
aumentare il suo potenziale di crescita e la sua produttività e rafforzare la coesione sociale,
puntando principalmente sulla conoscenza, l’innovazione e la valorizzazione del capitale umano»
(Conclusioni della Presidenza, Consiglio Europeo – marzo 2005)

Da un po’ di tempo a questa parte ogni qual volta si parli di Europa l’immediata associazione di idee conduce a pensare a drastiche misure per rispettare i parametri di Maastrich per esser degni di permanere nel club della moneta unica, a provvedimenti che sembrano tanto folli quanto poco verosimili quali quelli che prevedono la lunghezza minima delle banane ammesse a circolare nel mercato comunitario o, ancora, a quella pioggia di finanziamenti di cui molti parlano ma che, tra Bruxelles e Lamezia Terme, sembrano perdersi in mille rivoli e non giungere mai a chi potrebbe impiegarli in maniera proficua per lo sviluppo di qualche innovativo progetto imprenditoriale.
Proprio su quest’ultimo punto, periodicamente si sprecano milioni di parole per deprecare l’incapacità di utilizzare milioni di euro e, proprio per questo motivo, ci sembra opportuno dedicare al tema un approfondimento condotto con il nostro stile: semplice e diretto ma, al contempo, preciso e documentato.
Parlando di fondi europei è bene chiarire subito che si sta trattando di una serie di strumenti finanziari che, regolati da norme comunitarie e finanziati dal bilancio dell’Unione Europea, sostengono lo sviluppo economico e sociale dei Paesi membri attraverso sovvenzioni dirette a progetti di vario genere.
Ma quali sono questi strumenti?
Innanzitutto, abbiamo il FESR, Fondo Europeo di Sviluppo
Regionale, attraverso il quale si attuano interventi per tentare di ridurre gli squilibri esistenti tra le diverse regioni dei Paesi membri; viene, poi, il FSE, Fondo Sociale Europeo
, che offre risorse finalizzate alla lotta alla disoccupazione, all’innalzamento dei livelli occupazionali, alle pari opportunità e allo sviluppo sociale duraturo attraverso la formazione e riqualificazione delle risorse umane.
Accanto a questi vi è, quindi, il FEAOG, Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia
, che rappresenta uno dei maggiori strumenti comunitari a sostegno della PAC (la Politica Agricola Comune): si articola in due sezioni, quella di Orientamento, per il sostegno a progetti di implementazione delle strutture di produzione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli e per lo sviluppo rurale, quella di Garanzia, per la regolamentazione dei mercati agricoli attraverso interventi di stabilizzazione dei prezzi.
Di non secondaria importanza, vi è lo SFOP, Strumento Finanziario di Orientamento per la Pesca
, che sostiene le azioni strutturali a favore delle regioni dipendenti dal settore della pesca, dell’acquacultura e della lavorazione e commercializzazione dei prodotti ittici.
Da ultimo il Fondo di coesione, che contribuisce al rafforzamento della coesione economica e sociale dell’Unione con il finanziamento di progetti nel settore dell’ambiente
e dei trasporti.
Tutto questo viene coordinato da un regolamento generale che offre un quadro di riferimento unico e coerente per i vari interventi, nel rispetto di quanto previsto dalle norme base del Trattato
.
Se questi sono gli strumenti esistenti, interessante diviene il comprendere di quali risorse siano stati dotati, a quali scopi tali risorse siano destinate e, ancor di più, come siano state utilizzate.
Nell’attuale periodo di programmazione economica (2000-2006), la maggior dotazione è stata dell’Obiettivo 1, quello destinato a sostenere la crescita e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, promuovendo una politica di coesione a livello europeo, con il 69,7% delle risorse, cioè circa 135,9 miliardi di euro, di cui 31, 95 miliardi di euro alle regioni dell’Italia meridionale ed insulare
.
L’Obiettivo 2, invece, si pone la finalità di cofinanziare la riconversione economica e sociale ed il riequilibrio territoriale delle zone con difficoltà strutturali, al fine di colmare il divario esistente con i contesti più sviluppati; la percentuale destinatavi è pari al 11,5% della dotazione globale dei fondi strutturali, cioè circa 22,5 miliardi di euro, di cui 7,2 miliardi di euro all’Italia.
Da ultimo, l’Obiettivo 3, che deve favorire l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione delle regioni europee, ha disponibilità per circa 24,05 miliardi di euro, pari al 12,3% degli stanziamenti strutturali, con una quota per il nostro Paese pari a circa 8,66 miliardi di euro.
Ma se questo è il quadro teorico sulla carta, ben diverso risulta la pratica quotidiana dal momento che enti locali responsabili a livello regionale e operatori economici del mondo delle PMI, spesso, si trovano nell’impossibilità di impiegare tali risorse per i propri progetti di sviluppo locale a causa di inefficienze amministrative, da una parte, o di carenza di spirito imprenditoriale e di propensione al rischio, dall’altra, con la conseguenza che i fondi non utilizzati ritornano nella disponibilità della Commissione Europea di Bruxelles che provvede a ridistribuirli con logica premiale a quelle regioni che si sono dimostrate più performanti nel precedente periodo di riferimento.
Tale sorta di “Robin Hood alla rovescia”, che toglie ai poveri ed incapaci per dare ai poveri ma virtuosi, se da un verso può apparire una condanna senza appello per alcuni Paesi (tra cui l’Italia, che restituisce ogni anno miliardi di euro inutilizzati), dall’altro ha già dimostrato i suoi benefici effetti sullo sviluppo di buone prassi amministrative e sulla formazione e riqualificazione di un apparato pubblico a livello locale efficiente e business oriented (si veda, ad esempio, l’Irlanda, uscita dal novero delle regioni in ritardo di sviluppo grazie all’impiego intelligente delle risorse stanziate).
La norma in questione è quella nota come «n+2» o meccanismo di disimpegno automatico, secondo la quale le quote di impegni finanziari non liquidate, quindi non versate ai beneficiari finali, entro due anni dall’impegno stesso devono essere retrocedute a Bruxelles e ridistribuite. Se guardiamo ai conti di casa nostra in quest’ottica, il panorama è disarmante: le regioni in Obiettivo 1, al 30 giugno di quest’anno
, hanno in media impegni per il 50,5% dei contributi stanziati a loro favore ma solo il 29,9% del totale è già stato speso. Fanalino di coda è la Sicilia con solo il 46,9% degli impegni e il 25,4% di spesa degli 8,46 miliardi di euro a sua disposizione e la prospettiva, oramai abbastanza verosimile e vicina, di dover rinunciare a quanto non utilizzato. Più efficienti si sono dimostrate, invece, le regioni in Obiettivo 3, con una media di impegni pari al 77% e una spesa del 54,9% e, tra queste, l’oscar è da attribuire alla Lombardia con il 71,2% dei fondi già spesi al 30 giugno. Tra questi due estremi, le altre regioni si dispongono in ordine sparso, dimostrandosi peggiori là dove più importanti risultano essere le risorse disponibili e, quindi, più gravi le inefficienze di gestione dei fondi.
Purtroppo, da ciò si evince che l’arretratezza strutturale di cui soffrono molte regioni si estende a tutti gli ambiti e contamina l’insieme del corpo locale aggravandone ulteriormente le condizioni: carenza di risorse finanziarie, imprenditori poco stimolati, amministrazioni inefficienti, incapacità di impiegare i fondi disponibili, sviluppo frenato, e così via in un vortice implosivo che non giova al sistema.
Se poi pensiamo che, dal 1° maggio dello scorso anno, sono entrati a far parte dell’Unione Europea altri dieci Paesi
che, per il loro sviluppo socio-economico, si pongono dietro alle nostre già più arretrate regioni capiamo immediatamente quale sarà la futura destinazione dei fondi europei per gli interventi strutturali nel prossimo periodo di programmazione, 2007-2013.
Senza voler essere delle cassandre, ci sembra abbastanza chiaro leggendo le proposte di regolamenti presentati a Bruxelles che l’incapacità dimostrata dal nostro Meridione ci farà pagare un caro prezzo di cui beneficerà l’Europa allargata.
Il pacchetto che costituisce la riforma in esame comprende cinque regolamenti
.
Il primo regolamento, che possiamo considerare “quadro”, contiene i principi generali applicabili a tutti i fondi a finalità strutturale (FESR, FSE e Fondo di coesione). Questo regolamento dovrebbe delineare un nuovo processo di programmazione e di cooperazione tra istituzioni europee e singoli Stati membri, nonché nuovi strumenti per attuare la gestione, il controllo e la valutazione della ricaduta delle risorse impiegate.
Vengono ridefiniti pure gli Obiettivi prioritari degli interventi: il nuovo Obiettivo 1, “Convergenza”, sarà teso a facilitare la convergenza economica delle regioni meno avanzate. Tra le sue aree di attenzione troviamo la realizzazione di condizioni più propizie alla crescita e all’occupazione, il sostegno ad investimenti nelle persone e nelle risorse umane, nell’innovazione e nella società della conoscenza (ICT), l’adattabilità ai cambiamenti socio-economici, la tutela dell’ambiente, e (ultimo ma non ultimo) l’efficienza amministrativa.
A tale Obiettivo dovrebbe essere destinato circa il 78,54% delle risorse, pari a circa 264 miliardi di euro per l’Europa dei 25 grazie all’intervento del FESR, FSE e Fondo di coesione.
Il nuovo Obiettivo 2, invece, definito “Competitività regionale e occupazione”, si vedrà sostenere da circa 57,9 miliardi di euro, pari al 17,22% dei fondi strutturali, con l’impegno di FESR e FSE, per progetti di sviluppo occupazionale delle regioni che siano volti ad anticipare i cambiamenti socio-economici, sostenere l’innovazione e l’imprenditorialità locale, tutelare l’ambiente; a livello nazionale, inoltre, si cercherà di avviare programmi integrati per agevolare l’adattabilità della forza lavoro alle mutevoli condizioni del mercato.
L’Obiettivo 3, “Cooperazione territoriale europea”, finanziato dal FESR con 13,2 miliardi di euro, pari a circa il 3,94% delle risorse, tenderà ad implementare la cooperazione tra regioni di Paesi vicini a diversi livelli: transfrontaliero, transnazionale, europeo.
Vi saranno, a seguire, i tre regolamenti specifici per i singoli fondi strutturali che non vengono riformati radicalmente rispetto al presente ma semplicemente adeguati al nuovo quadro: il regolamento FESR, per il sostegno agli investimenti e la riduzione degli squilibri regionali; il regolamento FSE, per la promozione dei livelli occupazionali; il regolamento Fondo di coesione, per gli interventi nei settori dell’ambiente e delle reti di trasporto transeuropee.
Il quinto regolamento, invece, rappresenta una novità: si tratta del “Gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera” che, se pur pare duplicare una priorità dell’Obiettivo 3, nella mente del legislatore europeo vuole amplificarne le potenzialità con la creazione di uno strumento giuridico ad hoc che offra la base per la futura creazione di autorità, agenzie, organi europei aventi come mission la cooperazione europea nell’ottica del basilare principio della sussidiarietà per cui «La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal … trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato».
Bisogna riconoscere che la riforma che risulta dall’insieme di questi strumenti non si può certo definire “strutturale”: inalterati rimangono i principi di base quali la programmazione pluriennale e il necessario meccanismo di partenariati verticali; permane l’obbligo di cofinanziamento degli interventi tra Unione Europea e Stati nazionali che si pongono, dunque, quali artefici di una complementarietà sistemica; identici gli strumenti di valutazione dell’efficienza ed efficacia del processo.
Le novità (dichiarate) dovrebbero rinvenirsi, d’altra parte, sulla strategia complessiva che seguiranno i tecnici preposti alla guida degli strumenti strutturali sia a livello centrale, a Bruxelles, sia a livello decentrato, nelle singole amministrazioni nazionali e locali. E proprio il forte decentramento, accompagnato da una semplificazione procedurale, dovrebbe essere una potente leva di responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, anche alla luce del fatto che questi sono aumentati notevolmente aumentando più che proporzionalmente la complessità dei rapporti inter-organici.
Pare, dunque, di trovarsi di fronte ad una modifica tecnica più che ad una vera riforma, dettata più dalla necessità di far lavorare insieme e con una medesima “attrezzatura” funzionari di 25 Paesi diversi e di centinaia di amministrazioni locali, piccole e grandi, che dal sincero desiderio di agevolare l’impiego degli strumenti strutturali da parte di tecnici, funzionari, imprenditori, cittadini.
Da parte nostra, solo la speranza di poter godere, da cittadini europei, di un vero sviluppo economico e sociale, condotto nel rispetto delle regole e delle persone, nostro e delle generazioni che ci seguiranno, dei singoli Stati membri, dei popoli europei e di quella tradizione pan-europea che tanta strada ha percorso e che tanta, ancora, si trova davanti.

Davide Caocci

1
Cfr. Regolamento (CE) n.1783/1999 del Parlamento e del Consiglio del 12 luglio 1999 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale.
2
Cfr. Regolamento (CE) n.1784/99 del Parlamento e del Consiglio del 12 luglio 1999 relativo al Fondo sociale europeo.
3
Cfr. Regolamento (CE) n.1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti.
4
Cfr. Regolamento (CE) n.1263/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 relativo allo strumento finanziario di orientamento della pesca.
5
Cfr. Regolamenti (CE) n.1264/1999 e 1265/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999, che modifica il regolamento (CE) n. 1164/94 e suo allegato II.
6
Cfr. Regolamento (CE) n.1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.
7
Cfr. artt.158-162 Trattato che istituisce la Comunità Europea, Roma, 1957, nella sua versione consolidata.
8
Per l’esattezza, le 7 regioni ricompresse nell’Obiettivo 1 sono: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
9
Dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
10
Per l’esattezza, i 10 nuovi Paesi membri dell’U.E. sono: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria.
11
Cfr. il sito della DG Politiche Regionali, http://europa.eu.int/comm/regional_policy/index_it.htm
12
Cfr. art. 5 Trattato che istituisce la Comunità Europea, Roma, 1957, nella sua versione consolidata.

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