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Scrivi per pochi e sarai letto da pochi

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Scrivi per pochi e sarai letto da pochi

Molti autori incompresi spesso si scagliano contro il nostro sistema editoriale con le seguenti argomentazioni

Noi viviamo in un paese che non tiene in alcun conto le opere d’arte linguistiche.
Noi viviamo in un paese che preferisce di gran lunga il penultimo e l’ultimo degli autorucoli
americani e in generale anglofoni ai migliori scrittori che si esprimono nella nostra lingua.
Noi viviamo in un paese che ritiene che non sia nemmeno il caso di prendere in
considerazione il romanzo di un autore italiano se questo non è già famoso, o non è
americano, o non è un comico televisivo, o non scrive noir.

Ora benchè in genere l’autocommiserazione sia da considerarsi come una risorsa piuttosto discutibile, soprattutto per gli scrittori rifiutati dalle case editrici, vale la pena di soffermarsi su questi punti, perché se ne sente parlare veramente molto, troppo spesso.

Cominciamo a parlare dei comici televisi. Sì d’accordo non si può dire che le loro opere abbiano un’alta valenza culturale, forse non sono nemmeno letteratura, magari non sono neanche scritti bene. Ma hanno un loro mercato. Vendono. E fino a prova contraria una casa editrice è a tutti gli effetti un’impresa commerciale vera e propria, e quindi perché lamentarsi se insegue il profitto, come tutte le aziende sane e vitali dovrebbero fare, in qualsiasi settore commerciale esse operino?

Viene poi il caso degli autori famosi. Che io sappia nessuno è mai nato imparato. Nessun autore si è presentato ancora in fasce come un autore affermato, nemmeno se figlio d’arte. Anzi. Si dà il caso che autori oggi considerati "famosi", siano emersi nella maniera consueta e ben nota a noi tutti. Concorsi letterari, premi, antologie, e la classica scalata alle case editrici piccole e meno piccole. Per nessuno la strada è mai stata tutta in discesa, semplicemente alcuni sono più avanti di noi. Magari sono più bravi. Magari sono solo partiti prima di noi. In ogni caso niente e nessuno ci impedisce di emularli.

A questo punto come maggiori responsabili a cui imputare la scarsa fortuna editoriale dei poveri autori italiani rimangono i romanzieri in lingua inglese e quelli di narrativa di genere.

Parliamo del Noir. Innanzitutto, all’interno del genere noir, thriller, giallo o poliziesco che dir si voglia si possono trovare autentici capolavori di autori attenti alla forma e allo stile, veri pilastri della letteratura, a partire da Simenon per finire con Ellroy. E in questo settore oggi la concorrenza è talmente forte che non è affatto vero che basta scrivere un noir qualsiasi per vederselo automaticamente pubblicato. Certo il mercato c’è, la richiesta pure. E dunque torniamo ai canoni economici. Se è un genere richiesto, che vende, se il settore tira, niente di strano che le case editrici dedichino collane su collane a questi segmenti narrativi. Anzi.

Però il Noir è spesso accusato di essere, come dire, una letteratura di bassa lega, una categoria di serie B, un prodotto facile, vendibile, commerciale, ideato e proposto appositamente per incontrare il maggior favore dei lettori. E cosa c’è di male? Ci siamo forse dimenticati che il fantomatico lettore è o almeno dovrebbe essere il cardine attorno a cui ruota tutta l’intera industria editoriale, scrittori compresi?

Io credo che i tanti autori incompresi invece di attribuire il loro insuccesso a vari fattori totalmente estranei e incontrollabili, dovrebbero per prima cosa chiedere a se stessi, in tutta umiltà: Ma dove ho sbagliato? Prima di scagliare sacri dardi contro l’industria editoriale, o il mercato, o il pubblico, o le istituzioni, forse lo scrittore dovrebbe cercare un po’ più vicino le motivazioni del suo insuccesso.

Credo che molti dimentichino che la scrittura è sempre essenzialmente un veicolo di comunicazione. Che l’autore, chiunque egli sia, deve mantenere intatta la sua capacità di incontrare il lettore, di sorprenderlo, di emozionarlo, di catturarlo nella sua rete. E se questa capacità non ce l’ha deve capire perché.

Prima di protestare contro gli scrittori noir che rubano spazio ai "veri" scrittori, questi dovrebbero imparare qualcosa da loro.E’ il caso di Niccolò Ammaniti, forse l’unico degli ex giovani cannibali ad aver assimilato la lezione. Capace di impossessarsi di un filone narrativo di genere senza mai abbandonare il contatto medianico con il lettore. Una lezione di cui fanno spesso tesoro oltreoceano, anzi oltremanica, dove scrittori anche non di genere nutrono un forte interesse e un altissimo rispetto per il lettore. Come è giusto che sia.

Afferma Kurt Vonnegut (un autore che certo non può essere considerato volgarmente commerciale) che un romanziere deve "avere compassione per i lettori", perché "anche loro hanno un lavoro duro da fare, e hanno bisogno di tutto l’aiuto che possono ricevere da parte nostra". Questo significa che quando si scrive lo si deve fare non per se stessi, o per le acclamazioni della critica, ma soprattutto per il lettore, un fulcro dal quale non si può prescindere, un fattore che non è possibile ignorare. Il lettore è il fine ultimo della narrazione, il cardine stesso della letteratura, l’apologo e l’epilogo.

Dice ancora Vonnegut "Le nostre scelte stilistiche in quanto scrittori non sono né numerose né affascinanti, dal momento che i nostri lettori tendono a essere artisti così imperfetti. Il nostro pubblico vuole che siamo (…) sempre pronti a semplificare e chiarire, mentre noi preferiremmo librarci alti sopra le moltitudini, cantando come usignoli".

Se molti degli autori italiani oggi sentono di non ricevere la meritata attenzione è forse perché non sono stati abbastanza attenti ai desideri dei lettori, alle tendenze del mercato, al tipo di richiesta editoriale del momento. Il lirismo e l’ispirazione non valgono nulla se non hanno un pubblico. Mentre invece spesso è il pubblico stesso ad essere fatto oggetto di indifferenza e di una sorta di malcelato disprezzo. Non c’è arte senza passione. Non esiste mezzo espressivo senza l’amore. Non esiste musica celestiale che non sia rivolta a qualcuno, composta per qualcuno, eseguita appositamente per qualcuno. Il pubblico è il nostro bene più prezioso. Un obiettivo sul quale dovremmo essere sempre disposti ad investire tutte le nostre forze e le nostre capacità artistiche.

A meno che non vogliamo restare per tutta la vita dei geni incompresi che declamano i loro versi dalle aspre sommità di una vetta tibetana, pronti a scagliarci contro un mondo che non ci capisce e non ci merita.

Sabina Marchesi

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