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Storia di un ragazzino elementale

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Storia di un ragazzino elementale

La seconda ricerca fu lunga e sospettosa, dovevo dimenticare i miei spasmi e le mie voglie soddisfatte subito, dovevo imparare ad insinuarmi morbido lungo ciò che la strada mi proponeva, così silenzioso imparai a camminare tanto e tanto e tanto che le mie gambe furono più forti e più robuste. Dopo aver camminato per ore tornavo vicino alla mia tana, un piccolo rifugio di legno situato in cima a un sentierino che s’inerpicava solitario in mezzo agli alberi. Tornavo e prendevo a calci gli alberi fino a farmi sanguinare i piedi, ma quasi non sentivo dolore. Fumavo dell’erba che mi cresceva spontaneamente accanto per lenire anche quel poco di male e per non pensare alla stanchezza, e mi svegliavo con la stessa voglia di rifare tutto, giorno dopo giorno, pescatore corridore e guerriero, rimasi da solo così per un anno. C’erano sempre con me le mie pagine piene di disegni e di parole magiche ed erano il mio ristoro serale, quando mi abbandonavo ancora al caldo ed affettuoso fuoco in fondo all’anima. Procedevo dritto e deciso verso un obiettivo non troppo lontano, ma questa volta dovevo affrontare altri esseri umani e altre difficoltà.
Mi sedevo al limite del sentierino, dove si incrociava con un sentiero più grande che quasi poteva essere definito strada, per quanto abbandonato e immerso in un folto bosco. Ospitai alla mia capanna alcuni viandanti, facevo da mangiare, li ascoltavo parlare per sapere tutto ciò che c’era da sapere, per capire dove andare e andarci con la nozione di ciò che avrei fatto. Sentii parlare di Meralba e di Anumix, sentii la leggenda di Kim e Janine, sentii parlare delle armi prodigiose e degli artisti inarrivabili. Sentii parlare delle donne meravigliose. Cominciai a capire quanto della strega c’era in ognuna di loro. Volevo approfondire l’argomento.
Così cominciai ad allontanarmi dalla mia solitudine, così cominciai talvolta a raggiungere i paesi vicini e a guardare le donne che giravano lì, mi mettevo seminascosto al limite delle strade e cominciavo a capire, poi mi avvicinavo. La maggior parte di loro erano esseri senza senso, capaci solo di stare zitte o di gridare, senza via di mezzo. La maggior parte di loro mi guardava con l’idea che io fossi un demonio o un santo, ancora una volta, niente vie di mezzo. Le più giovani, però tenevano testa, o perlomeno sembrava che la curiosità in loro schiacciasse la paura.
Ne incontrai alcune da sole. Le attiravo con sorrisi e le portavo alla mia capanna. Ero impacciato ma loro sembravano non farci caso, alcune stufe prendevano l’iniziativa, altre ridevano e mi davano consigli, altre aspettavano pazienti che io trovassi l’illuminazione sulla miglior cosa da fare. Ma poi nessuna di loro rideva più o parlava più. Mi guardavano sorprese e con gli occhi pieni di domande. Le più intelligenti le tenevano dentro agli occhi, quelle domande. Le più idiote le lasciavano uscire e poi più tardi piangevano in silenzio. Ed io invece mi divertivo, io capivo tutto, io sentivo ciò che loro sentivano, io continuavo a crescere e gioivo di questa mia ricerca densa e senza fine. Io amavo come un folle che diventa saggio giorno dopo giorno.
Poi arrivò Anna, fu lei a trovarmi mentre io mi aggiravo ancora discreto e attento come ogni buon cacciatore nella festa del villaggio, un matrimonio, non so, diverse coppie, musica, vini buoni, alcuni discorsi dalle voci grosse degli anziani. Tutto mi pareva così splendido che rimasi incantato a ricevere tutto, ad assorbire tutto, finchè lei (la mia seconda strega preferita) girando i suoi occhi pieni di noia alla ricerca di qualcosa di interessante, incontrò i miei. Io ci misi un attimo a rendermi conto di essere osservato, e questo non faceva molto onore alla mia carriera di cacciatore. Ma bastò un secondo perchè lei leggesse l’universo che avevo dentro gli occhi e sulla mia pelle liscia, e decidesse di avvicinarmi. Lo fece con una disinvoltura impressionante, come una persona che lo fa di mestiere. Era lì davanti a me, io la guardavo e parlavo poco mentre lei si proponeva pericolosa, mi sorrideva, parlava di cose lontane, mi infilava con domande strane. Io ero lontano, questo lei lo capiva. Mi vedeva rimanere lontano nonostante la sua aggressione e questo la spinse ad avvicinarsi ancora. E cadette nella mia ragnatela.
Volevo portarla alla mia capanna ma non feci a tempo. Lei mi baciò in mezzo alla foresta e io sentii crescere qualcosa di nuovo, un desiderio che non aveva più niente a che fare con la semplice curiosità, niente di paragonabile alla sensazione semplice di scoperta che mi accompagnava insieme alle altre donne. Io la spinsi a terra, la spogliai e mi lasciai spogliare. Era una notte calda di Giugno densa di rumori, era una notte magica che presto si aprì in una dolcissima pioggia. Pioveva fresco sulla nostra pelle nuda, ero percorso da brividi.
Fu davvero una notevole prova per me. Questo nuovo tipo di desiderio era invaso di violenza, era pieno di contrasti, mi spingeva quasi a farle del male. Ero costretto a trattenermi, lei era bella, non come la strega ma comunque molto bella e questa sua bellezza m’infiammava, richiamava il fuoco dei miei occhi, la vedevo fin troppo bene esporsi ai miei colpi, soffrii per trattenere le mie mani, la mia voglia di farle del male. L’amai, anzi mi lasciai amare con il mio quieto atteggiamento, cercai di farla sentire circondata, cercai di farla rimbalzare dentro me per un po’, cercai di essere quanto mai fluido e resistente. Lei si abbandonò dentro me con una facilità incredibile, quasi fossi nato per lei, si fece trasportare con fiducia infinita. Fu difficile ma ne valse la pena. In quella notte la distrussi a poco a poco con la mia insistenza, con la mia lucidità, con il mio calore. La sua arroganza svanì nel buio. I suoi dolori nascosti scivolarono via ma scivolando le strisciavano sulla pelle facendole male. Era esausta quando giunse l’alba, era completamente assente. La portai nella mia capanna. Dormimmo e parlammo senza nemmeno sfiorarci per ore.
Fu lei a tornare su di me la sera successiva, fu lei a baciarmi ovunque, fu lei a cercare di circondarmi. Di nuovo, la lasciai fare partecipando con morbidezza, ma questa ragazza mi esplodeva dentro, non riuscivo a trattenermi, la presi sempre più male, sempre più forte, finchè i mugugni divennero lamenti, finchè i lamenti divvenero urla e io non mi fermavo, io esplodevo, io lasciavo che l’antico fuoco riesplodesse dentro me. Io avevo fallito. Immobile, stordito, passai ore a guardare il vuoto mentre Anna piangeva sommessamente.
Lei sembrava un fantasma, niente di più. Era infreddolita e stanca e il giorno dopo non parlò nemmeno, sembrava alla ricerca di qualcosa di se stessa perduto nella notte sotto il mio violento attacco. Capii qual era stato il mio errore: avevo visto in lei la strega. Capii che da lì proveniva tutta la mia cattiveria. Pensai al tempo stesso che sì, avrei ridotto in briciole la strega, avrei fatto molto peggio, quando fosse venuto al momento; ma questa ragazza forse non meritava tutto questo.
Va bene, adesso, viene la parte più dura, mi dissi. Questa ragazza è stata randellata. Come potrà fidarsi nuovamente di te se non passerà molto tempo accomodandosi in te come se tu fossi un cuscino?
Lo feci. Diventai morbido per lei. Andai a trovarla, le parlai, le portai regali. Ci volle tempo e pazienza, all’inizio tornavo spesso alla mia capanna teso e sul punto di scoppiare, e per sfogarmi prendevo di nuovo a calci gli alberi, con rabbia, con dolore. In quel periodo, mi salvò il velo sugli occhi che Anna sembrava avere nei miei confronti, non riuscì ad intuire la verità. Ma poi riuscii a cambiare. Ad adattarmi. Ad essere sereno. Ero quieto, senza essermi addormentato: avevo addomesticato la mia potenza.
Anna era felice, completamente. Sorrideva sempre. Sentiva il mio mondo ai suoi piedi. L’avrei portata con me, mi aveva dato tanto: ma continuava ad avere quel velo davanti agli occhi. Si era fermata lì ad aspettarmi e io l’avevo raggiunta e superata; con dispiacere, capii che non meritava il seguito. Non era una buona allieva. D’altro canto, come farla sopravvivere al dolore della mia partenza?
Un anno dopo l’attirai alla mia capanna per sposarla, e invece le piantai un coltello nella schiena, la uccisi senza farle guardare i miei occhi che bruciavano troppo.
Bene, avevo imparato ad aspettare e ad adattarmi, ero fluido, potente, inarrestabile come un corso d’acqua. Lasciavo che il mondo entrasse in me, lo avvolgevo senza fretta e poi riprendevo il mio corso. Il secondo elemento era stato assorbito. La mia potenza cresceva. Seppellii Anna e ripresi la mia ricerca.

Alessandro Zanardi
(continua)

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