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Il giorno della lettera

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Il giorno della lettera

Guido su di una strada che costeggia la riva sgombra di un piccolo fiume. Deve essere profondo poco più di mezzo metro, perché vi sono tantissimi pescatori in ammollo fino alla cintola rivestiti da stivaloni di gomma che arrivano loro fino all’inguine. Utilizzano piccole canne da pesca lanciando e ritirando la lenza di continuo, in quel modo tipico dello spinning. C’è qualcosa che mi stupisce, però, l’esca è troppo grande. Accosto e mi fermo. Scendo dall’automobile per vedere meglio ed un dolce calore primaverile mi avvolge.
Mi avvicino alla sponda del piccolo fiume e la curiosità che mi ha portato lì abbandona immediatamente la mia mente, sostituita da un’immagine fantastica: non so se è realtà o immaginazione, ma mi ritrovo come steso sul fondo di quel fiume ad osservare lo scafo di una barca che passa sopra la mia testa. L’acqua è estremamente limpida, vedo i raggi del sole attraversarla nitidamente fino a raggiungermi. La piccola imbarcazione rilascia una scia di schiuma che l’acqua sta velocemente dissolvendo. In quei pochi attimi di visione posso osservare come da ambo i lati della barca vi siano delle corde alle cui estremità sono annodati per il collo piccoli conigli, scoiattoli ed altri roditori che in questo momento non so riconoscere. So, però, che quei piccoli animali soffrono pene orribili, perché sono legati a quel modo vivi e si spengono lentamente: per le corde che gli serrano la gola, per l’acqua che riempie loro i polmoni, o divorati dai pesci.

Mi trovo ora in una foresta ed è come se non fossi mai stato nel luogo da cui provengo, non sono nemmeno bagnato. Di fronte a me si staglia la figura odiosa dell’Uomo Terribile; così lo chiamo in questo momento e così lo chiamerò per sempre. È accostato da quegli animali, che chiedono soltanto di essere aiutati. Per essere "attaccati" a quella barca gli servono vivi e vispi; al primo segno di cedimento li prende e su di un ceppo di legno li scuoia orribilmente, cominciando con lo strappare loro le viscere con una mannaia; sembra provare tantissimo piacere nel farlo.
I miei occhi e la mia anima non possono osservare di più: mi ritrovo un coltello fra le mani, il quale mi spinge, quasi mi dirige ad infierire sul corpo dell’Uomo Terribile. Nelle sue tenere carni cerco di spegnere il mio odio represso, ed egli soffre, soffre tantissimo, fino a quando non lo finisco con un colpo di rivoltella, da quale dove sia comparsa non so dirlo.
I piccoli animali che ho valorosamente salvato da una fine orribile, sembrano ora assumere le sembianze di bambini ed al più grande di loro affido l’arma da fuoco, raccomandandolo all’attenzione. Mi volto altrove, aspettando, non so perché, che qualcosa accada. L’aria è così fragrante in questo luogo sperduto di fantasia ed ho appena compiuto qualcosa di buono, sicché la mia anima è colma di immenso orgoglio.
Avverto una leggera pressione sullo stomaco; l’animale-bambino più grande mi si accosta all’orecchio e mi sussurra: «Hai sbagliato», e poi, la detonazione.

Nessun dolore, nessuna fiamma mi esplodono nell’addome. Mi trovo ora ai comandi di un idrovolante con tutta la ciurma di quelle strane creature che mi tengono sotto controllo, ed io devo portarli via da lì. Compio una strana manovra per mettermi in corrispondenza di un’apertura nella foresta da cui proviene una strana luce bianca. Metto in prima con un cambio uguale a quello di un’automobile ma senza frizione e mi dirigo verso quel punto.
Come lo varco si aprono con un rumoroso tonfo le ante in legno di ciò che mi appare essere una specie di ospedale. Sono seduto su di una sedia a rotelle; attraverso a grande velocità innumerevoli corridoi bianchi. Non voglio voltarmi per vedere chi mi spinge, perché so che non c’è nessuno. Una strana forza mi sta attirando verso qualche buio recesso di questo luogo, che un pensiero oscuro della mia mente mi suggerisce essere un manicomio.
La sedia a rotelle mi fa compiere numerosi cambi di direzione, ad una velocità tale che la testa sembra volermisi staccare dal collo. La luce è fiochissima; percorro tantissime stanze e di in volta in volta spalanco con terrore le grandi porte in legno, perché non so mai cosa mi può aspettare al di là di esse. Ma non c’è mai nulla e la mia corsa pazza continua. Ad un certo punto supero una porta aperta sul buio alla mia destra, da cui proviene un canto melodioso: la Voce degli Angeli.
Passano poi sotto ai miei occhi altre stanze, altre porte che si spalancano con un tonfo assordante. Vedo le stesse cose per un tempo che giudico infinitamente lungo e sempre più, la mia anima si sta svuotando delle ultime scintille di speranza che ancora mi rimangono per la mia sorte. Poi, le ultime due ante mi si schiudono davanti; so che sono le ultime, perché la sedia a rotelle si blocca quasi immediatamente lasciandomi al centro della stanza.
La mia mente non ha ancora capito cosa mi si profila davanti, ma il mio corpo ha già percepito l’immane mostruosità, l’eterna sofferenza che essa racchiude, invadendomi di uno strano, innaturale tremore: da un gigantesco portone, grande quanto una casa, scaturiscono enormi lingue di fuoco, i cui movimenti sembrano quelle di anime in pena. A sinistra di quell’entrata sta ad aspettarmi l’Uomo Terribile, completamente ricoperto di sangue. Mentre la sedia a rotelle comincia lentamente a muoversi, la cruda consapevolezza mi si stampa nelle mente: sono al cospetto della porta dell’Inferno, ma la cosa più orribile è che ci sto andando incontro!
È questa dunque la mia fine? È questo che devo pagare per aver commesso un errore in buona fede?
No! Non può finire tutto così! Non possono i miei giorni finire là dentro, mai!
Come per magia mi sollevo da terra con la sedia a rotelle e ho la sensazione che nell’altra "realtà" l’idrovolante si stia alzando in volo, anche se doveva averlo già fatto. Prendo sempre più velocità verso il portone, ma proprio all’ultimo vado a sbattere sopra di esso.

Mi trovo ora a questa scrivania, la luce è tenue, ma posso vedere che al mio fianco vi è l’Uomo Terribile; non provo più odio o paura nei suoi confronti. Mi avverte di una lettera. L’apro e la leggo.
E qui sta l’inconsistenza del mio falso eroismo e dell’inganno. L’ipocrisia, l’egoismo, l’odio, l’infondato dolore patito in questo viaggio dentro me stesso… È tutto così inutile a confronto di quanto sto leggendo: lo sconosciuto che mi scrive si scusa per il ritardo, ma ha potuto approfittare solo del Giorno della Lettera per farlo; mi avverte che Lei è morta…

La mia anima si sta dilavando di qualsiasi percezione comune della realtà. Un amaro gelo autunnale mi avvolge ed, insieme, stiamo precipitando irrimediabilmente all’Inferno…


Diego Matteucci

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