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“Possesso vale titolo” e presunzione legale di proprietà

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En fait de meubles,
la possession vaut titre
Brocardo francese
 
Con la prima espressione ci si riferisce a una regola generale presente nel nostro ordinamento, e contenuta nell’articolo 1153 del Codice Civile[1] per la quale colui che possiede una cosa “mobile” ne “acquista la proprietà” per effetto del possesso immediatamente, cioè nel momento stesso in cui la riceve in consegna e inizia a possederla, purché egli sia in buona fede e la consegna avvenga in forza di un “titolo astrattamente idoneo”.
Dunque al semplice “possesso” di beni mobili[2], inteso come una situazione di fatto che consiste nell’utilizzare una cosa e nel disporne, nei modi e con i poteri tipici del proprietario[3], la legge attribuisce una sorta di “funzione pubblicitaria” capace di dimostrare a tutti la titolarità del diritto di proprietà su quel bene (c.d. pubblicità di fatto), in capo al possessore, a condizione che, come accennato prima, nel momento della consegna (traditio):
·                     sia in buona fede (cioè ignori di ledere un diritto di altri, in particolare che il suo venditore/dante causa non era, in realtà, proprietario, c.d. “acquisto a non domino“)[4],
·                     il suo acquisto si fondi su un TITOLO astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, anche se in concreto inefficace, in quanto proveniente dal non proprietario[5].
La regola risponde a esigenze di sicurezza e rapidità della circolazione, particolarmente forti in materia di beni mobili. Chi acquista un generico bene mobile, infatti, difficilmente può accertare in modo semplice e rigoroso se il venditore (il “dante causa”) è effettivamente proprietario. C’è quindi il rischio che, temendo di compiere un acquisto inefficace, rinunci ad acquistare, o acquisti solo dopo lunghi e faticosi controlli: in ogni caso, la “circolazione della ricchezza mobiliare” ne risulterebbe impacciata. La regola “Possesso Vale Titolo” evita questo inconveniente, rendendo l’acquisto inattaccabile[6]. Inoltre, in caso di “conflitto fra più acquirenti” dello stesso bene mobile, la regola di cui parliamo vale anche per dirimere il conflitto: acquista la proprietà quello tra gli acquirenti che per primo ha conseguito in buona fede (con la consegna) il possesso della cosa[7].
A conferma del fatto che beneficiario della tutela dell’art.1153 C.C. è l’acquirente e non l’alienante, da un lato, l’art. 1479 C.C. prevede che quest’ultimo, venuto a sapere che il “venditore” non è il proprietario, preferisca chiedere la risoluzione del contratto e, dall’altro lato, il proprietario reale può rivalersi (per eventuale risarcimento danni) sul proprietario apparente (alienante) e non già sull’acquirente[8].
Certo che nell’ipotesi di furto, l’evento non fa perdere al derubato la proprietà della cosa, però gli sottrae il potere di fatto sul bene stesso: il derubato resta proprietario, ma non è più possessore. Possessore ora è il ladro, che ha la cosa nella propria disponibilità e si comporta da proprietario, pur senza avere diritto.
In mancanza di una valida prova del precedente legittimo possesso da parte del derubato, l’attuale possessore/ladro potrà, se scoperto, limitarsi a rispondere “possideo quia possideo[9]“;
infatti, a fronte dell’azione di reintegrazione[10] o di rivendica che un soggetto intraprenda contro il possessore di un bene del quale assuma sia stato spogliato e del quale pretenda la restituzione, costui potrà limitare la sua difesa alla semplice indicazione del possesso di fatto, essendo solo questo sufficiente. L’onere probatorio è, dunque, a carico dell’attore, che deve provare in giudizio (con immaginabili grandi difficoltà), la piena e legittima titolarità del suo diritto.
Questo principio fa parte, assieme ad altri, del novero dei cosiddetti commoda possessionis. Non si tratta, malgrado l’assonanza (commoda), di un “comodo trattamento di favore” nei confronti del possessore, ma di un principio regolatore coerente con il senso dell’onus probandi[11], per il quale non è il convenuto a dover provare la validità del suo titolo, ma chi la mette in discussione, cioè l’attore, anche perché se così non fosse l’ordinamento non riuscirebbe a tenere i titolari dei diritti al riparo da azioni strumentali, o a fini di disturbo, e per conseguenza l’ordinamento non tutelerebbe a sufficienza i diritti che invece riconosce. In quest’ultimo senso, i commoda possessionis non ricevono un trattamento particolare rispetto ad altri diritti, ma quelle sul possesso materiale sono solo una delle categorie di diritti evidentemente maggiormente oggetto di controversie. Il possideo quia possideo vale ovviamente solo per il diritto civile, non è opponibile ad esempio in procedimenti del diritto tributario o di quello penale[12].
A questo punto mi vorrei soffermare su una particolare (per la sua forza invasiva della sfera di persone fisiche e giuridiche) e ulteriore applicazione di questa “presunzione generale[13]” derivante dal “possesso” di beni mobili, che è apprezzabile in materia di “pignoramento mobiliare[14]” presso il debitore dove, appunto, opera una “presunzione legale di appartenenza (o proprietà)” dei beni mobili presenti nella sua “casa” (o azienda o altro luogo a lui appartenente)[15].
Anche questa presunzione risponde ad esigenze di pratica effettività degli atti esecutivi e, come di regola per le presunzioni legali relative (o “iuris tantum“), ammette la prova contraria nei limiti permessi dalla legge (Art.2728 Codice Civile: “Prova contro le presunzioni legali”), attraverso una inversione dell’onere della prova: colui che allega il fatto per il quale è prevista la presunzione non dovrà fornirne alcuna dimostrazione e sarà onere dell’altra parte provare che, nel caso di specie, il fatto non sussiste (il debitore, in altre parole, deve provare che i beni mobili trovati nei luoghi a lui appartenenti non sono di sua proprietà[16]).
Si deve aggiungere la previsione dell’art.621 Codice Procedura Civile[17], per cui il terzo, soggetto “estraneo” che afferma di essere il reale proprietario dei “mobili”, non può servirsi di testimoni per provare le sue ragioni, e ciò per il timore che questi, d’accordo col debitore, si dichiari proprietario dei beni sottoposti a pignoramento al solo scopo di sottrarre al creditore procedente beni su cui questi intende soddisfare il proprio diritto di credito. Il terzo, tramite un’azione di “accertamento negativo”, dovrà superare la presunzione di appartenenza al debitore producendo un atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento[18].
Unica deroga al divieto della prova testimoniale è rappresentata dal fatto che la professione esercitata dal terzo o dal debitore, renda probabile l’appartenenza dei beni ritrovati allo stesso terzo, o poco probabile la proprietà in capo al debitore: solitamente in questi casi, non c’è un atto scritto che documenti il rapporto tra terzo e debitore per cui diventa necessario poterlo provare mediante prova testimoniale.
Su questo aspetto, molto penalizzante per chi condivide l’abitazione con persone gravate da debiti e potenzialmente soggette a procedure esecutive mobiliari presso il luogo di residenza, la Corte di Cassazione si è espressa più volte precisando che: “La presunzione, valevole in sede esecutiva a norma dell’art. 621 cod. proc. civ., per cui tutti i mobili che si trovano nell’azienda o nell’abitazione del debitore sono di sua proprietà, opera sul presupposto di una relazione di fatto tra il debitore e questi particolari spazi di vita professionale o familiare, perché chi ne gode può liberamente introdurvi e solitamente vi introduce cose che gli appartengono. A tal fine è azienda del debitore anche quella ubicata in un immobile preso in locazione, non diversamente da come è casa del debitore quella da lui condotta in locazione[19]. Anche le “eccezioni” sollevate da persone conviventi col debitore (es. i Genitori che sostengono che il figlio e “nullatenente”, o è “ospite”), secondo le quali il pignoramento sui beni famigliari è illegittimo, in realtà non sfuggono al principio della presunzione legale di cui all’art.513 C.P.C., in quanto la casa del debitore, nel caso in cui questi sia un figlio maggiorenne ivi residente anagraficamente, coincide con l’abitazione dei Genitori.
 
Errantibus, non dormientibus iura subveniunt
(Il diritto soccorre chi sbaglia, non chi dorme)
Brocardo latino


[1] Art.1153, Codice Civile, LIBRO TERZO – DELLA PROPRIETÀ, Titolo VIII – Del possesso Capo II – Degli effetti del possesso: Effetti dell’acquisto del possesso
“Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente.
Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno”
Sempre secondo l’art. 1153, quindi, come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo stesso modo si possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
 
[2] Ovviamente, per i beni immobili e per quelli soggetti a registrazione (Automezzi, imbarcazioni, aeromobili), invece acquista la proprietà del bene il soggetto che trascrive per primo sugli appositi Registri Pubblici (Pubblico Registro Automobilistico, Catasto Immobiliare ecc.) il proprio atto di acquisto a titolo derivativo (cioè derivante da un precedente proprietario).
 
[3] Art.1140 C.C.: Possesso
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale
Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
Nel linguaggio giuridico, la Proprietà e il Possesso, corrispondono a due concetti diversi: la Proprietà è un diritto, il Possesso è una situazione di fatto
 
[4] Tuttavia secondo l’art. 1154 Codice Civile, questa ignoranza non giova, ed è equiparata a Mala fede, se l’acquirente comunque conosce l’illegittima provenienza del bene, e in particolare che questo è stato a suo a tempo rubato; se invece effettivamente non conosce l’origine furtiva della cosa, ciò permette il suo acquisto.
Art.1154: “A colui che ha acquistato conoscendo l’illegittima provenienza della cosa non giova l’erronea credenza che il suo autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario“.
 
[5] Titolo idoneo è ad esempio un “contratto di compravendita”, in quanto ha l’effetto di trasferire il diritto reale (diritto di proprietà sulla res, cosa/bene,); tuttavia se il venditore non è davvero il titolare del diritto, il titolo sarà idoneo al trasferimento solo “astrattamente” giacché l’effetto traslativo (di passaggio) sarà impedito proprio dalla mancanza di legittimazione. Il titolo, infine, non deve presentare altri difetti: non è, ad esempio, idoneo un titolo nullo. Il Titolo deve essere Valido: non è valido, ad esempio, il contratto di compravendita stipulato con un incapace legale.
 
[6] L’art. 1153 comma 2, prosegue prevedendo che se sulla cosa trasferita esistono diritti altrui; cioè diritti reali di godimento (come l’Usufrutto), essi si cancellano e l’acquirente acquista la proprietà piena, a condizione che tali diritti risultino dal titolo e che egli sia in buona fede, cioè ne abbia ignorato l’esistenza.
 
[7] Se Mario vende un tavolo a Franco, e tre giorni dopo, disonestamente lo vende anche a Marco, a cui però consegna subito l’oggetto, fra Franco e Marco ne diventa proprietario Marco, anche se il suo acquisto è posteriore nel tempo (art.1155 Codice Civile: “Se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore“).
 
[8] Art.1479 Codice Civile LIBRO QUARTO – DELLE OBBLIGAZIONI Titolo III – Dei singoli contratti Capo I – Della vendita: Buona fede del compratore
“Il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l’ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.  
… il venditore è tenuto a restituire all’acquirente il prezzo pagato anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; deve inoltre rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto”.
 
[9] Frase latina che letteralmente significa: “Possiedo poiché possiedo”.
Brocardo latino elaborato nell’ambito degli studi dei giureconsulti civilisti, usato anche nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare nelle controversie riguardanti il possesso di un bene.
 
[10] L’azione (civile), di reintegrazione rientra nella categoria delle “azioni possessorie”, ad essa è legittimato chiunque sia stato con violenza, anche non fisica, oppure occultatamente spogliato del possesso ed è volta ad ottenere la reintegrazione nel possesso stesso. In diritto italiano l’azione è regolata dall’articolo 1168 del Codice Civile. Legittimato all’azione non è solamente il possessore ma anche il detentore qualificato, che non detiene, cioè, per ragioni di servizio o di ospitalità o di amicizia. L’azione deve essere iniziata entro il termine di decadenza di un anno dallo spoglio ovvero, dal giorno della scoperta di esso.
 
[11]Onus probandi incumbit ei qui dicit”, l’onere della prova incombe su colui che afferma qualcosa.
 
[12] Cfr. voce “possideo quia possideo” in Wikipedia “L’enciclopedia libera”
 
[13] Per presunzione (o prova indiretta) si intende ogni argomento, congettura, illazione, attraverso cui, essendo già provata una determinata circostanza (c.d. “fatto base” o “indizio”, nel nostro caso il possesso), si giunge a considerare provata un’altra circostanza, sfornita di prova diretta (la proprietà del bene). Cfr. Torrente, Schlesinger “Manuale di Diritto Privato”, Giuffrè Editore, Milano.
 
[14] E’ l’atto con cui si inizia l’espropriazione forzata che segue l’esistenza, e la notifica, di un titolo esecutivo e di un precetto, cioè i documenti che secondo la legge obbligano il debitore ad adempiere al pagamento o in mancanza a subire l’esecuzione forzata da parte dell’Ufficiale Giudiziario. Quest’ultimo redige un verbale dal quale risulta, oltre che l’ingiunzione di “astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che sono oggetto dell’espropriazione” (divieto di vendita, distruzione volontaria, dispersione), la descrizione di tutti i beni mobili pignorati, il loro stato (tramite rappresentazione fotografica o audiovisiva) e la determinazione approssimativa del presumibile valore di realizzo (il prezzo che potrebbe essere ricavato dalla vendita all’asta di questi oggetti).
 
[15] Art.513 Codice Procedura Civile, LIBRO TERZO – DEL PROCESSO DI ESECUZIONE Titolo II – Dell’espropriazione forzata Capo II – Dell’espropriazione mobiliare presso il debitore.: Ricerca delle cose da pignorare 1°comma: “L’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. Può anche ricercarle sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro”.
 
[16] Cfr. Arcangelo D’Aurora “Manuale operativo del pignoramento”, ed. Experta Edizioni S.p.A, Forlì 2006, pp.176 e ss.
 
[17] Art.621 Codice di Procedura Civile, LIBRO TERZO – DEL PROCESSO DI ESECUZIONE, Titolo V – Delle opposizioni  Capo II – Delle opposizioni di terzi: Limiti della prova testimoniale
“Il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”.
 
[18] Scrittura privata autenticata (da Notaio o altro Pubblico Ufficiale), oppure registrata presso gli Uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrare del Ministero dell’Economia e delle Finanze (già Ufficio del Registro). Non è necessaria la prova del solo diritto di proprietà ma di qualunque altro diritto reale vantato dal terzo.
 
[19] Cassazione civ. Sez. III, 09-02-2007, n. 2909

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