Il film inizia con Stephane che cammina per una strada ghiacciata (solo in seguito scopriremo che si tratta della Romania); scarpe scucite, capelli spettinati ed una borsa rossa. Quando è stanco di camminare accetta un passaggio e cerca di trovare un posto dove passare la notte ma trova solamente un vecchio (non ancora) ubriaco che si dispera per l’arresto del figlio. Senza accorgersene Stephane si risveglia col mal di testa nella casetta dell’anziano compagno di sbronze, circondato dagli sguardi curiosi, sospetti e divertiti di decine e decine di zingari. Serve un po’ di tempo per ricostruire come "lo straniero" abbia potuto dormire a casa di Izidor, un po’ di tempo durante il quale qualcuno lo accusa di essere un ladro di polli, qualcun altro lo crede alto oltre 2 metri, un altro ancora lo addita come un vagabondo e addirittura una donna pensa che sia venuto per rubare i bambini. Stephane non può far altro che alzarsi ed allontanarsi tra le occhiate taglienti di questa gente tanto colorata e sorridente quanto chiusa ed inquietante. Quando Izidor si ricorda finalmente dello straniero ecco Stephane ritornare con dei regali per lui. Amicizia è fatta. Izidor "adotta" Stephane che continua intanto a cercare Nora Luca, il nome di una cantante gitana che è anche tutto quello che sa su di lei. Da questo momento in poi Stephane impara, senza dover prendere nessuna lezione, la tolleranza e la cortesia della gente del villaggio Rom che si offende continuamente senza malizia, che balla e canta ad ogni occasione, che non riesce ad integrarsi coi cittadini rumeni coi quali sono costretti a "convivere" loro malgrado. Sabina, la più affascinante delle ragazze del villaggio, gli racconta di Ceausescu e delle continue rappresaglie nei loro confronti, Izidor gli fa vivere il dramma della morte e dell’abbandono ballando sulla terra ancora smossa della tomba di un amico. Stephane intanto registra e annota quello che sente e quello che vede, cerca di fissare l’allegria, la cultura e la tradizione che sta imparando insieme alla lingua Rom. Un evento tragico concluderà la sua ricerca e con essa il desiderio, vano, di "rubare" i pensieri e le parole della gente che lo ha accolto.
"Gadjo dilo" è scritto e diretto da Toni Gatlif, regista zingaro-algerino che mette in scena le sue diverse provenienze. Roman Duris (Stephane) e Rona Harner (Sabina) riescono bene a trasmetterci l’imbarazzo e la curiosità del francese di fronte al caotico e profondo senso di civiltà di una popolazione vista finalmente senza luoghi comuni. Gatlif traccia un ritratto dei gitani paragonabile solo a quelli di Kusturica, con la differenza che quest’ultimo è più ironico e artificiale nella sua ricostruzione mentre con "Gadjo Dilo" è la realtà nuda che fa il film.
"Gadjo dilo" sarà visibile a Modena in Gennaio (niente pubblicità gratuita, cercarlo sarà facile).
La tolleranza degli altri
Senza troppi preamboli esordisco dicendo che "Gadjo dilo" ("Lo straniero pazzo") è un film bellissimo, nella forma e nella sostanza. Non è una banalità quella che chiude la frase precedente perché ne "Gadjo dilo" ci sono paesaggi, volti e colori che non possono lasciare indifferenti, e sono quelli del villaggio Rom dove il protagonista Stephane, francese alla ricerca di una musicista locale, si torva "costretto" a vivere per un po’ di tempo. Allo stesso modo in "Gadjo dilo" c’è l’accoglienza, la diffidenza, la tolleranza e la xenofobia che qualsiasi popolazione riserva ad uno straniero anche se, in questo caso, lo straniero è francese e la popolazione è Rom. Il film è quindi una meravigliosa parabola al contrario sull’intolleranza e sul razzismo, ammantata però da una continua vivacità e da una spontaneità incredibile.
Michele Benatti