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Il risveglio del dormiente

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The next generation

IL RISVEGLIO DEL DORMIENTE

SEGUITO DE:
"IL RAPIMENTO"
PUBBLICATO DA KULT UNDERGROUND NEL NUMERO DI GIUGNO 1998


Capitolo Uno

Il Dormiente non sognava mai.
Rinchiuso nella sua cella di stasi attendeva pazientemente che il lungo inverno su Kendas Tre avesse finalmente termine.
L’animazione sospesa era una tecnologia molto praticata fra i popoli di quel Quadrante, come molte altre razze simili i Kendassiani sentivano l’irresistibile bisogno di entrare ciclicamente in una fase letargica all’approssimarsi dei primi freddi.
L’intera popolazione planetaria si rintanava nelle loro abitazioni entrando in un sonno profondo, affidando al Dormiente il compito di vigilare durante i quindici mesi di torpore e naturalmente a risvegliarli una volta sopraggiunta la primavera.
Quello era il compito principale del Dormiente, ogni settantadue ore esatte il sistema automatico della camera di stasi lo ridestava permettendogli d’effettuare i controlli di routine alle apparecchiature elettroniche ed a registrare gli sviluppi del loro sole ormai instabile.
Già, il loro sole, una volta fonte inesauribile di vita ed adesso una minacciosa palla infuocata prossima ad entrare in fase di supernova.
Gli scienziati studiavano quel fenomeno ormai da decenni e malgrado i loro sforzi comuni per trovare una concreta soluzione non seppero fare altro che consigliare il governo ad iniziare la ricerca di nuovi luoghi da colonizzare.
Le stime più ottimistiche indicavano che entro settanta anni l’astro sarebbe esploso travolgendo nell’immensa deflagrazione l’intero sistema solare Kendassiano, i più pessimisti invece non si concedevano più di tre od al massimo cinque anni, ad ogni modo tutti erano concordi su di una cosa certa: la loro razza si sarebbe estinta per sempre.
Rendendosi conto dell’urgenza della situazione la classe dirigente scelse di seguire il consiglio degli scienziati, scegliendo tuttavia mezzi alquanto discutibili con i quali ottenere il risultato finale.
I militari, una classe ormai inutile ed in netto declino fra la popolazione, colsero la palla al balzo iniziando ad assoggettare le popolazioni che abitavano i pianeti più vicini costringendole ad imbarcarsi sulle loro navi da guerra.
Ben presto sottomisero qualsiasi essere incapace di contrastare la loro indubbia superiorità bellica.
Molti fra i moderati cercarono di opporsi sperando che infine il buon senso trionfasse sulla violenza, ma non ci fu nulla da fare, il processo era ormai irreversibile, da società pacifica i Kendas divennero il terrore dell’intero Quadrante Delta, incrementando le loro razzie e spingendosi ben oltre il loro territorio.
Si diceva che fossero stupidi e privi di creatività, probabilmente a causa del loro aspetto sgraziato, le loro teste abnormi ondeggiavano come la sommità di un albero sui loro corpi sghembi altri più di tre metri.
Eppure quelle creature seppero costruire delle lune artificiali in grado di muoversi agilmente nello spazio e nel tempo, sviluppando tecnologie del tutto innovative mai viste precedentemente in tutta la Galassia.
Malgrado fossero istintivamente spietati i Kendas non erano del tutto privi di coscienza, ed almeno all’inizio, erano perfettamente consci di compiere delle azioni prive di etica, ma l’apocalisse incalzava inesorabilmente ed il sole aveva già iniziato a disperdere anomali flussi di vento solare che avvelenava senza tregua i loro mondi.
L’epidemia, il male più temuto, non si fece attendere a lungo, forse la loro stella madre aveva voluto punirli in anticipo per le loro scempiaggini, una malattia genetica si diffuse a macchia d’olio decimando la popolazione e rendendo sterile ogni essere vivente.
Fu quella la grande rivincita dei militari, dimostrando di essere stati più lungimiranti dei sognatori pacifisti, i quali con ogni mezzo avevano ostacolato il loro sogni d’espansione territoriale.
Cosi fu l’inizio, da allora nessuno fra i superstiti recriminò più nulla verso le autorità, il fine giustifica i mezzi, incitavano i pochi giovani rimasti fra le fila dei militari, nessuna pietà verso le vittime, solo merce da utilizzare e schiavizzare a piacimento.
La loro ossessione divenne legge di stato, presto avrebbero trovato una nuova patria adatta alle loro esigenze ed un luogo dove potersi trasferire in massa.
Tuttavia la loro prima missione esplorativa non ebbe successo.
Casualmente intercettarono la nave stellare Voyager dispersa nel Quadrante Delta, dal loro computer di bordo impararono ciò che rappresentava la Federazione Unita dei Pianeti, esultarono per la felice scoperta decidendo di procedere senza ulteriori ritardi con l’invasione.
Nel tentativo di fronteggiare un vascello meno potente ed agguerrito di quello che i loro sensori rilevavano decisero di spingersi indietro nel tempo, quando la razza, denominata: umana, aveva iniziato a muovere i primi passi nell’esplorazione dello spazio profondo.
Catturarono senza troppe difficoltà una nave stellare più piccola, sulla sua sezione a disco erano riportate le seguenti parole: USS Enterprise, ma ovviamente questo per i Kendas non rappresentava assolutamente nulla, come del resto gli esseri che incontrarono al suo interno.
Sequestrarli ed imprigionarli fu più facile del previsto.
Risalendo le sommità del tempo con il loro bottino i razziatori iniziarono il rastrellamento del Quadrante Alpha, giungendo ben presto alla conclusione che quello fosse realmente il luogo ideale per reperire nuovi schiavi e personale adatto alla terraformazione delle lune artificiali.
I sogni di conquista s’infransero quando il capitano dell’Enterprise unì le forze con il suo parigrado, intervenuto per ritrovare il consigliere di bordo rapito da un soldato Kendas durante una ricognizione nei pressi della stazione Deep Space Nine.
Poco prima del sabotaggio della prigione al comandante alieno, ancora allibito per come si fossero svolti gli eventi, rimase solo il tempo d’inviare un breve rapporto in patria, indicando i punti deboli dei loro avversari.
Il tentativo successivo sarebbe stato più efficace.
Pochi mesi mancavano ormai al risveglio, e le nuove attrezzature appositamente realizzate per l’offensiva li attendevano in orbita intorno a Kendas Tre, pronte ad entrare in funzione contro quell’inferiore ed arrogante specie primitiva.
Il Dormiente ancora non lo sapeva, ma non avrebbero mai raggiunto la Federazione, né nessun altro luogo in tutta la Galassia.
Sul suo giaciglio attendeva che il sistema automatico entrasse in funzione e lo riconsegnasse ai suoi doveri, malgrado fosse in uno stato di semi incoscienza riusciva in qualche modo a sentire il battito ritmico della macchina al suo fianco, ormai era divenuta la sua unica compagnia durante quel lungo inverno, il suo ticchettio lo rilassava e lo confortava ricordandogli che in fondo non era del tutto solo su quel pianeta addormentato.
Quanto mancava ancora? Un’ora o forse due giorni?
L’attesa stava per terminare, se solo nel frattempo avesse potuto sognare avrebbe immaginato che al suo risveglio il sole brillasse alto nel cielo con il suo tipico colore giallo pallido invece del rosso accecante che gli feriva gli occhi costringendolo ad uscire indossando un casco anti radiazioni.
Ma non importava, la nuova terra promessa lo attendeva a poche migliaia di anni luce di distanza, il risveglio lo avrebbe condotto lì, e probabilmente avrebbe iniziato una nuova esistenza.
In fondo non desiderava altro.
Un suono ignoto improvvisante raggiunse le sue enormi orecchie facendolo girare di lato, non aveva mai sentito precedentemente un rumore così strano, sembrava che alcuni apparati meccanici ed elettronici si muovessero ritmicamente vicino alla cupola traslucida.
Il primo istinto fu quello di risvegliarsi di scatto ed analizzare cosa stesse succedendo, ma il computer non gli avrebbe consentito di muoversi fino allo scadere del tempo di rigenerazione.
Probabilmente le sue erano solo vaghe impressioni di un essere lasciato troppo a lungo da solo fra i meccanismi automatici.
Si convinse che era stata la sua immaginazione a confondergli le idee, e conseguentemente decise d’ignorare la cosa tentando d’immergersi nuovamente nel sonno profondo.
Se avesse potuto sognare non avrebbe udito il vetro di protezione frantumarsi, e le due protuberanze metalliche penetrargli con inaudita violenza la vena giugulare immettendogli nel sangue una miriade di minuscole nanosonde.
E non si sarebbe reso conto di essere stato appena assimilato dai Borg.

Le sensazioni che provava il Dormiente erano piuttosto contrastanti.
Da quando le nanosonde avevano infettato il suo corpo, raggiungendo indisturbate il sistema nervoso principale, le sue percezioni avevano assunto delle sfumature confuse e poco realistiche.
Il laboratorio, una volta così familiare e rassicurante, adesso gli appariva stranamente fluido, come se lo stesse osservando attraverso una spessa lastra di vetro affumicata; talvolta invece gli strumenti elettronici iniziavano a roteare intorno ai loro baricentri causandogli una nausea intollerabile.
La perdita di coscienza e della realtà circostante erano i primi sintomi dell’assimilazione, le vittime entravano in una fase di catalessi simile alla trance, permettendo in questo modo ai loro aggressori di condurli indisturbati verso il luogo dove avrebbero subito la definitiva trasformazione in droni Borg.
Verso l’alcova d’assimilazione del gigantesco cubo alieno che stazionava nel centro della piazza cittadina.
Trascinato di peso da quattro Borg il Dormiente oltrepassò la camera di stasi, percepì chiaramente le sue lunghe gambe urtare contro gli stipiti della porta, in realtà ad ogni secondo che passava tutto il suo essere diveniva sempre più debole ed inerte.
Una voce distante iniziò ad insinuarsi nei suoi pensieri.
"Noi siamo i Borg, la resistenza è inutile, voi sarete assimilati."
Non comprese con esattezza il significato di quelle oscure parole, e benché risuonassero come una sirena d’allarme nel suo cervello decise di non lasciarsi suggestionare
Scelse invece di lottare con tutte le forze per mantenere la propria identità.
La distanza che li separava dal cubo non era eccessiva, al massimo trecento metri, strisciò le braccia a penzoloni sul selciato sentendo fremere le ossa, poi volgendosi di lato intravide centinaia di suoi simili convergere verso l’astronave aliena trasportati di peso proprio come lui.
Istintivamente alzò lo sguardo e vide il sole che faceva capolino dietro quella sinistra struttura, rimase alquanto sorpreso notando che la luce della stella non gli dava più fastidio, sì, qualcosa in lui stava già cambiando, malgrado fosse del tutto impotente restò estasiato a fissare il sole di Kendas prima di venire condotto all’interno del cubo.
Un senso d’appartenenza s’impossessò della sua anima rendendola consapevole della mente esterna che la stava profanando, una mente collettiva, probabilmente antica di secoli, determinata ad assimilare qualsiasi specie incontrasse sul suo cammino.
Il Dormiente aveva progetti diversi per il futuro, sogni ai quali non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, eppure quella nuova sensazione non lo spaventava, adesso non era più solo, migliaia di menti interagivano con la sua scambiandosi freneticamente informazioni e sensazioni diverse, rimase felicemente sorpreso di quella nuova esperienza concludendo che probabilmente l’avrebbe trovata perfino piacevole.
Malgrado gli sforzi pressanti della mente collettiva per cancellare la sua personalità, il Dormiente comprese, non senza sorpresa, di poter resistere agevolmente alle loro aggressioni, docilmente si lasciò condurre al centro del velivolo dove l’attendeva un manufatto del tutto simile ad una alcova cibernetica, con misteriose e sofisticate attrezzature che a prima vista non seppe riconoscere.
Lo adagiarono insieme agli altri contro l’impalcatura dando inizio alla fase seconda dell’assimilazione, luci intense di colore verde smeraldo s’accesero ad intermittenza mentre i bracci meccanici ridisegnavano e segavano le sue ossa troppo lunghe per essere rinchiuse nel corpo standard di un Borg.
Il tempo sembrò rallentare mentre il Dormiente ripiegava la mente al loro richiamo incessante.
"Noi siamo i Borg, la resistenza è inutile, voi sarete assimilati."
Poi perse conoscenza sperando che al suo risveglio potesse ancora riconoscere il proprio volto.


Capitolo Due

Il Commissario Hadley osservò il capitano Picard con la sua tipica espressione di diffidenza.
Esausto per le tensione sostenuta nelle ultime ore Picard si volse verso il comandante Data, seduto alla sua destra, sperando che gli fosse richiesta una spiegazione più esauriente dei fatti.
La Commissione per il controllo delle infrazioni temporali era stata istituita da pochi anni, per volere diretto del Consiglio della Flotta Stellare, nella sua breve esistenza aveva già condannato numerosi capitani di navi stellari a pene piuttosto severe.
Si vociferava che l’asprezza dei provvedimenti fosse divenuta una prassi normale per il Commissario Hadley, per sua esplicita ammissione tale condotta sarebbe servita di monito per gli altri comandanti ed i loro equipaggi, ai quali era stato specificatamente proibito d’interferire in alcun modo con il continuum temporale.
La trama del tempo era veramente una cosa troppo labile per rischiare che venisse alterata accidentalmente da un’astronave in missione esplorativa.
Versandosi da bere il Funzionario riprese con una certa urgenza l’interrogatorio.
"Capitano Picard, vorrebbe gentilmente ripetere alla Corte cosa è successo all’interno della base aliena?"
"Signore, con tutto il rispetto, è la centesima volta che le ripeto i dettagli della nostra azione contro i Kendas, probabilmente il signor Data potrebbe fornirle ulteriori indicazioni che possono essermi sfuggite a causa della stanchezza. Non desidera ascoltare anche il suo punto di vista?" domandò trattenendosi dall’asciugarsi la fronte imperlata di sudore.
Hadley sorrise beatamente, aveva intravisto negli occhi dell’imputato un momento di sconforto, indice di un iniziale abbassamento delle difese nei suoi riguardi, erano cinque giorni che non attendeva altro, lottò duramente per giungere a quel momento culminante, con interrogatori sempre più lunghi ed estenuanti, ancora qualche domanda chiave e l’accusato avrebbe ammesso apertamente tutte le sue colpe davanti alla Corte.
Reggendo senza alcun problema lo sguardo stremato del capitano, terminò di sorseggiare la bevanda deglutendo rumorosamente.
"Non mi sono mai fidato degli androidi." confessò senza alcuna remora non degnando il signor Data di uno sguardo.
Picard sospirò, umettandosi le labbra secche ribatté con decisione.
"Commissario, lei conosce perfettamente lo stato di servizio del comandante Data, e pur sapendo i meriti riconosciuti in centinaia di missioni a bordo dell’Enterprise, si rifiuta di ascoltarlo a causa di antiquati pregiudizi razziali?"
Il Magistrato non perse il buonumore, la vittoria era troppo vicina per permettersi di perdere il controllo, indicando l’androide seduto nella parte ribassata del palco puntualizzò con leggerezza.
"Gli androidi sono delle macchine e possono essere facilmente manomesse ed istruite a mentire."
"Non è certamente questo il caso!" tuonò Picard facendo risuonare la sua voce in tutta la sala.
Imbarazzato per quella reazione eccessiva il Giudice si trovò costretto a riportare l’ordine in aula.
"Capitano, le ricordo che è sotto giuramento ed è tenuto a rispondere esclusivamente alle mie domande, senza aggiungere nessuna opinione personale. Adesso vuole essere così cortese d’abbassare il tono della voce e riferire esattamente come si sono svolti i fatti, oppure preferisce essere condotto in cella d’isolamento?" puntualizzò Hadley agitando ritmicamente il campanello in modo plateale.
Picard si sforzò di ritrovare la calma, non permise che l’avversario traesse vantaggio da quel suo momentaneo scatto d’ira, volgendosi sconsolato verso la Corte si apprestò a riferire per l’ennesima volta l’operazione condotta all’interno della base avversaria.
"Entrammo di sorpresa all’interno dell’installazione Kendas sfruttando il mascheramento fornito dal raggio teletrasporto e per prima cosa minammo la pista di decollo e le infrastrutture di comunicazione, solo successivamente scoprimmo che fra i prigionieri catturati dal passato vi era anche l’equipaggio dell’originale Enterprise. Insieme al capitano Kirk progettammo un piano di fuga, ma quando ci rendemmo conto del paradosso temporale decidemmo di dividerci in due squadre percorrendo strade completamente diverse. Non ci fu nessuna interferenza nel continuum temporale, ed il comandante Data potrebbe facilmente verificare la mia affermazione, l’intero equipaggio fece ritorno al suo tempo alcuni giorni prima della cattura da parte della sonda Kendas. Conseguentemente il corso della storia è stato ripristinato, anzi, dal loro punto di vista i fatti avvenuti all’interno della luna artificiale non si sono mai verificati. "
Picard parlò con tale trasporto da fare mormorare la giuria riunita di fronte a lui, le sue doti di oratore erano ben conosciute fra i diplomatici della Federazione, ma onestamente non si sarebbe mai immaginato di doverle utilizzare al meglio in simili circostanze.
Il Magistrato non poté che prendere nota della sua dichiarazione, del resto identica a decine di altre rilasciate precedentemente, ma prima di sospendere l’udienza si affrettò a precisare.
"Per il momento è sufficiente capitano, potete andare, le faremo sapere al più presto le decisioni di questa assemblea."
Picard e Data non se lo fecero ripetere due volte, si alzarono di scatto dalle poltrone e si diressero speditamente verso l’uscita scortati dalle guardie di servizio.
Pochi metri prima di varcare la soglia la voce beffarda del Giudice li raggiunse costringendoli a voltarsi nuovamente verso l’auditorio.
"Aspetti signor Data, mi perdoni, ma vorrei conoscere la sua opinione personale riguardo quell’episodio, se non si sente troppo stanco come il capitano Picard, le dispiacerebbe rispondere a qualche semplice domanda?"
L’androide tornò sui suoi passi fermando a pochi metri dall’inquisitore, con la sua tipica espressione buffa disegnata sul volto biancastro rimase pazientemente in attesa, poi dopo una pausa incredibilmente lunga sottolineò.
"Commissario, devo farle notare che gli androidi non provano stanchezza, quando vuole può procedere a suo piacimento."
Hadley lo squadrò incuriosito sperando che potesse tradire qualche segno d’emozione, ma com’era facilmente intuibile la sua speranza fu del tutto mal riposta.
Lasciò trascorrere alcuni secondi intravedendo in lontananza lo sguardo ammonitore di Picard che attendeva con impazienza il suo compagno nei pressi dell’uscita.
"Dunque signor Data, supponendo la veridicità del racconto del capitano Picard, quello che mi lascia alquanto perplesso, anzi, addirittura sconcertato, è la causa dell’esplosione del generatore principale della stazione aliena. Dai rapporti non ci risulta che dalla vostra posizione potevate in qualche modo raggiungerlo e tanto meno minarlo con dell’esplosivo. Come lo spiega questo?"
Data elaborò immediatamente migliaia di possibili risposte alla domanda, il suo cervello positronico iniziò a valutare tutte le possibili variabili e circostanze del caso, poi dopo un battito di ciglia si preparò ad esporre le sue conclusioni.
"Commissario, sono virtualmente certo che prima di lasciare la stazione il capitano Kirk abbia voluto lasciare un segno indelebile della sua fuga colpendo il generatore con un tiro preciso di siluri fotonici, regalandoci così una possibilità di salvezza. Non ci fu interferenza nel continuum temporale poiché nel caso non fosse riuscito nel suo intento la nostra Enterprise avrebbe agevolmente completato l’azione, anche se nel frattempo, con il novantatrè virgola due per cento di probabilità, noi saremmo tutti morti per mano dei Kendas. Del resto se fosse avvenuta l’infrazione per la quale siamo attualmente indiziati, io, lei, e la giuria non saremmo qui a parlare. Mi permetta di ricordarle signore che, malgrado la sua scarsa considerazione nei miei riguardi, il primo dovere di un ufficiale della Flotta Stellare è quello di prestare soccorso ai propri compagni in difficoltà. Da qualsiasi tempo essi provengano."
Le parole dell’androide lasciarono interdetta la Corte e turbarono perfino la coscienza del Commissario Hadley, il quale fingendo di versarsi nuovamente da bere indicò distrattamente l’uscita.
"Può andare signor Data, la ringrazio per la sua testimonianza."
L’androide ammiccò tentando disperatamente d’imitare un sorriso umano, rendendosi conto dell’inutilità del tentativo senza alcun indugio rispose.
"Di nulla signore, sono sempre a sua disposizione, deve solo convocarmi e sarò ben lieto di fugare qualsiasi ulteriore dubbio lei potesse avere in merito a questa missione, in effetti si potrebbero postulare anche altre soluzioni alternative che implicherebbero tuttavia interazioni quantistiche…."
Il Commissario Hadley tremò al solo pensiero che quell’androide presuntuoso iniziasse una discussione accademica proprio in quella sede, annuendo con maggior vigore indicò nuovamente il capitano Picard.
"Ho capito signor Data, se sarà il caso discuteremo le sue teorie metafisiche…adesso può andare, grazie."
"Prego." rispose semplicemente il Secondo Ufficiale raggiungendo compiaciuto il suo compagno.
Uscendo dal salone Picard emise un profondo sospiro di sollievo.
"Lo sa? Lei sarebbe stato un ottimo avvocato signor Data, probabilmente l’unico impedimento alla sua brillante carriera è rappresentato dal semplice fatto che lei non è in grado di mentire."
"Ne è proprio certo capitano?"
"Più che certo signor Data. Comunque, grazie per l’aiuto."
"Prego." ripeté meccanicamente l’androide non comprendendo appieno perché ultimamente tutti lo volessero ringraziare per dei banali atteggiamenti di base della sua programmazione interna.
Notando lo sfinimento del capitano preferì soprassedere, si ripromise tuttavia di chiedere ulteriori spiegazioni al suo amico Geordi La Forge una volta risalito a bordo dell’Enterprise.

Claudio Caridi

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